lunedì 2 dicembre 2013

D’Alema, Renzi, le Iene e la mia generazione


La mia generazione, anno più anno meno, è la generazione di D’Alema (e Mussi); la generazione grata a Berlinguer per aver richiamato la nostra attenzione, in un paese di gaudenti in nuce, sulla questione morale da un punto di vista strettamente politico;
la generazione sempre pronta a scendere in piazza, in grandi manifestazioni, a battersi per la pace comunque e dovunque;
la generazione del nuovo diritto di famiglia, delle discussioni
sul divorzio, dei dibattiti laceranti sull’aborto; la generazione del lutto
da terrorismo disumano; la generazione del rispetto delle istituzioni, nonostante le aspre battaglie del ’68 contro l’autoritarismo;
la generazione dell’onestà politica, della disobbedienza alla don Milani, del linguaggio serio, mai sgangherato, a prescindere dagli interlocutori, 
in una parola, la generazione politically correct. E D’Alema era 
per tanti di noi un punto di riferimento. E giustamente. Difensore strenuo dell’orgoglio rosso. Poi venne la Guerra del Kossovo 
e per tanti giunse definitiva la separazione.
Oggi D’Alema, sia pure con le Iene, parla un’altra lingua, diversa, cedendo frivolo al degrado dei tempi e al giovanilismo sciocco
e innaturale (anche se i giovani hanno ragione a lamentarsi
di una generazione incapace di “lasciar posto”).  Ecco la sua lingua (prendo il testo da l’Unità):
Hai visto che a Renzi ho fatto dire che non ti deve più rompere i coglioni? «Sì, ma l'ha detto proprio perché gliel'hai estorto tu. Comunque se lui
non li rompe a me, io non li rompo a lui. Parliamoci chiaro: io non sapevo manco chi era Matteo Renzi. Lui si è affermato sulla scena politica avendo come principale parola d'ordine 'rottamare Massimo D'Alema'. Mettiti nei miei panni. Arriva uno che dice: voglio rompere le ossa a quello là. Tu come ti metteresti?». Così Massimo D'Alema intervistato da Enrico Lucci per 
Le Iene su Italia 1. 
«Io me sarei incazzato», aggiunge Lucci. «Ti saresti incazzato? E pure io», replica D'Alema che alla domanda se gli 'rode' non essere più in Parlamento, dice: «Assolutamente no. Faccio cose che mi interessano di più, viaggio,
ho meno vincoli, meno obblighi. Il Parlamento purtroppo, a me dispiace,
è talmente screditato che una signora mi ha detto: onorevole! Ed io: 'Non so
più onorevole, non sto più in Parlamento'. E lei: 'Bravo mi ha detto, come se avessi fatto chissà cosa». 
Il tempo passa, per tutti. Ma continuo a difendere la mia generazione
(e anche di Mussi), nelle sue idee, nel suo linguaggio, nelle sue aspirazioni di democrazia matura, magari diretta e conviviale, lontana, almeno per ora, e molto, dall’agire politico, prepotente e rozzo, di Renzi e D’Alema. A loro modo s’intendono.
Forse per la mia generazione è una sconfitta ancora più dura.
O no?
Severo Laleo

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