In questi giorni di insensata festa di governo all'insegna dell'esaltazione
del carcere per la punizione di un condannato, è toccato a Sofri pronunciare parole chiare e condivisibili sull'assurdità della pena della "cella". Scrive Sofri:
"Capisco, mi pare, il desiderio dei famigliari delle vittime di vedere chiuso in carcere il responsabile provato - o colui che credono il responsabile provato - del loro lutto. Io però ho da tantissimo tempo, e molto prima che mi riguardasse così da vicino, un'obiezione di coscienza radicale alla galera, salvo quando la reclusione sia il solo modo per impedire a qualcuno di fare ancora del male. Un'abitudine pigra, ma niente è più ostinato dell'abitudine, continua a identificare il risarcimento dovuto alla vittima e alla comunità con la cella. Io provo solo disgusto e vergogna per la cella, con tanta forza che non mi succede mai, nemmeno fra me e me, di augurarmi che le persone che detesto e considero nemiche (ce ne sono, infatti, com'è umano) finiscano loro in galera. Perché la galera, chi la conosca da carcerato o da carceriere, e resti umano, nobilita il prigioniero e contagia di ignobiltà chi la augura.
...il carcere è il luogo più disadatto al vero pentimento. Il carcere è così disumano e cattivo e assurdo da attenuare fino a cancellare la stessa differenza fra innocenza e colpevolezza, da insinuare nel detenuto una sensazione di umiliazione e di offesa che prevale sulla ragione che ce l'ha portato. In carcere si può 'pentirsi' solo maledicendo l'accidente che vi ci ha portati: una lezione a delinquere meglio, la volta che ne sarete usciti. Chi attraversi una conversione vera dei propri desideri e della propria vita lo fa non grazie alla galera, ma nonostante la galera. La quale, che lo si voglia oppure si pensi e si proclami di non volerlo, è una vendetta."
Dai, stavolta con Sofri si può davvero essere d'accordo.
O no?
Severo Laleo