venerdì 28 giugno 2019

"...vediamo chi sono questi stronzi che dobbiamo schiacciare"


Queste limpide parole...
No, non siamo da Valerio, al bar della piazza a fine serata, con tante Ceres sul tavolino sbilenco e un mazzo di carte curvo e untuoso. No, non è il nostro Tiziano, ormai fatto, nervoso e aggressivo, a sfogare la sua depressione attiva contro i potenti, ladri della sua libertà.
No, l'espressione non viene dal "basso" sofferente e fragilmente precario, ma dai piani alti della società, dall'Università, da  un ceto intellettuale vittima perenne del successo in nome di un danarismo avvilente, dove la parola d'ordine è sempre la stessa: Vincere! ("schiacciare gli stronzi".... In siciliano esiste un termine più penetrante.)
La mentalità dei baroni maschi dell'università italiana ha un antico imprinting di dominio castale e macho, una consuetudine a delinquere innata, per niente scalfita da anni di studi e  dalla lettura di indigeribili tomi.
Per cambiare servono nuove generazioni.
La cultura non alberga necessariamente all'università, tra libri e convegni; la cultura è appannaggio di ogni persona libera sempre pronta a dire il suo no per gli intrighi del malaffare, abbia o no meditato con Kant.
O no?
Severo Laleo

domenica 16 giugno 2019

Rutger Bregman, sei proprio coraggioso



Ti ricordi, vero, caro Scapece?
Ti avevo già parlato, quando erano in pochi ancora ad averlo letto,
del bel libro di Raffaele Simone sulla Grande Immigrazione;
ora ha avuto il suo meritato successo, grazie, molto probabilmente,
alla recensione di E. Galli della Loggia sul Corriere.
(Evidentemente anche i lettori spesso, pigri nella scelta, diventano "dipendenti"!)
Quando andai nei primi mesi di quest'anno a comprare il libro alla Feltrinelli,
trovai tutti i libri pro migranti esposti in bella mostra, mentre nessun posto
per  "L'ospite e il nemico".  Mah! Mi sembrò molto strano. E che è!
Giocano a nascondino!
Anche per questo, e tu lo sai, continuo a pensare che la scuola è il solo posto
dove i nascondimenti non sono possibili: senza la scuola -ma è solo uno sfogo-
la democrazia sarebbe più povera (e infatti in questi ultimi decenni
hanno tentato e tentano, a destra e a sinistra, di chiuderla in un asfittico
retrobottega burocratico).
E tanto solo per la testimonianza di un fatto, perché non sono certo
un sostenitore delle tesi di Simone. Anzi. Però del libro di Raffaele Simone
ho raccolto la mole dei suoi dati e la tensione seria e preoccupata
delle sue argomentazioni, per meglio comprendere il fenomeno
dell'immigrazione nella sua complessa dimensione,  anche se nel merito
continuo ad essere un "estremista" d'altri tempi, fiducioso nelle capacità
umane di risolvere i problemi sociali.
Sono contro ogni idea di chiusura del nostro spazio nazionale a chi voglia
liberamente stabilirvisi, ma aperto a un controllo attivo di ogni territorio
con una presenza continua, utile, interventista, civile, persino amorevole
del Servizio Pubblico, specie dove è necessaria la predisposizione di strumenti
e azioni di cura e attenzione. Anche spendendo molto.
Se esistono strumenti per chiudersi dentro i confini, per respingere gli "estranei",
esisteranno anche strumenti per aprire e aprirsi agli "ospiti", per accogliere,
senza paure e sospetti.
E attenzione, caro Scapece, non sono certo parte a livello di idee
del Club Radicale che è aperto a chiacchiere verso i migranti, lontani e distanti,
ma pratica al suo interno una sprezzante chiusura verso chi ha idee diverse.
(Come capita a chi ha un solo metro di giudizio, il proprio!)
E vabbè!
Sempre per tentare di capire di più sull'argomento, avevo preso tra le mani,
anche un po' per caso, grazie a una recensione, o non so/ricordo bene cosa,
il libro di Rutger Bregman, Utopia per realisti. Come costruire davvero 
il mondo ideale, già vecchio di qualche anno. E, sai, non granché interessato
a seguire il dibattito storico e filosofico sull'idea di utopia, per correre subito
al nostro tema, ho cercato nell'indice analitico la voce "immigrazione":
macchè, niente! Ho cercato "migranti", e ancora niente.
Così, non nascondendomi una sincera delusione, mi sono deciso a leggere
tutto dall'inizio.
Un libro strano, almeno nella sua struttura narrativa, con salti e ritorni,
pieno di dati interessanti e di notizie, tra la storia e, a volte, l'aneddotica,
anche curiose (lo sapevi tu che il primo "gruppo di controllo" si trova descritto
nella Bibbia, in Daniele I, 1-16?), un libro in grado di aprire con dati di fatto
una discussione seria sul "reddito di base", un reddito annuo garantito
senza contropartite, riportando i risultati molto interessanti
di un esperimento canadese (Mincome). E non solo.
La lettura è andata avanti abbastanza facilmente (a volte Rutger, per rendere
godibile la lettura, sembra utilizzare stratagemmi un po' ingenui,
ma è giustificato dalla non leggerezza degli argomenti) tra riduzione
di tempo di lavoro e incremento di tempo libero, fino a quando non mi sono
imbattutto in questa affermazione: "...confini aperti. Non solo per banane, 
derivati e iPhone, ma per tutti, i lavoratori della conoscenza, i profughi 
e la gente qualsiasi in cerca di prati più verdi". E qui il mio estremismo ideale
a difesa del diritto di migrare trova finalmente la sua soddisfazione.
"Aprite i cancelli" a chi lascia il proprio paese di origine in cerca
di nuova fortuna, sostiene Rutger, non è più tempo di tenerli
"sbarrati e lucchettati". "L'articolo 13 della Dichiarazione universale 
dei diritti dell'uomo sostiene che tutti hanno diritto di lasciare il loro paese 
ma non garantisce a nessuno il diritto di trasferirsi nella Terra dell'abbondanza. 
E coloro che chiedono asilo scoprono presto che la procedura è ancora più irta 
di burocrazia...forse tra un secolo o giù di lì potremo guardare questi confini 
come oggi guardiamo lo schiavismo o l'apartheid. Però una cosa è certa: 
se vogliamo rendere il mondo un posto migliore, non possiamo eludere il problema dell'immigrazione...
Se tutti i paesi sviluppati facessero entrare il 3 per cento in più di immigrati, 
i poveri del mondo avrebbero 305 miliardi di dollari in più da spendere, 
sostengono gli esperti della Banca Mondiale...Come scrisse nel 1987 
Joseph Carensuno dei principali fautori dei confini aperti, "non sarà possibile 
ottenere immediatamente l'immigrazione libera, ma è una meta 
verso la quale dovremmo puntare."
Caro Scapece, purtroppo per molte persone mie amiche, mi trovo d'accordo
con questa idea, l'idea dell'immigrazione libera, nonostante tutte le paure
e i problemi.
E vorrei dire a Rutger, grazie, sei coraggioso a sostenere queste idee
nel buio di oggi.
E a te, caro Scapece, vorrei ricordare la nostra lettura negli anni '70
del Rapporto del Club di Roma, I limiti dello sviluppo, quando per dare
una speranza al nostro '68, e per non perdersi, si cominciò a credere
non senza coraggio nell'utopia di un mondo migliore.
E questo è tutto, Scape'!
Buone cose e a presto,
il tuo Severo

sabato 15 giugno 2019

La fortuna delle tre "I" da Berlusconi a Lotti


Dopo le tre "i" di berlusconiana memoria (inglese, impresa, informatica),
proposte per dare nuova linfa a una vecchia Scuola, anche Lotti,
per dare nuova scossa a una "vecchia" Politica, propone non di introdurre,
ma di liberarsi di altre tre i: ideologia, invidia, ipocrisia.
Ecco il testo lottiano:
"Quanti miei colleghi, durante l’azione del nostro governo e dopo, 
si sono occupati delle carriere dei magistrati? Davvero si vuol far credere 
che la nomina dei capiufficio dipenda da un parlamentare semplice 
e non da un complicato quanto discutibile gioco di correnti della magistratura? 
Davvero si vuol far credere che la soluzione a migliaia di nomine sia presa 
nel dopo cena di una serata di maggio? Davvero si vuol prendere a schiaffi 
la realtà in nome dell’ideologia, dell’invidia, dell’ipocrisia?"
Il Lotti usa le tre "i" per difendere la sua posizione politica,
tutta immersa nella "realtà", contro chi l'accusa di trame inammissibili.
Per Lotti le trame inammissibili sono  pane quotidiano e per giunta inutili.
Buone solo per le chiacchiere di moralisti senza morale.
Secondo il nostro giovane uomo già di governo, ma ancora in servizio,
chi l'accusa di aver partecipato a incontri per decidere le carriere dei magistrati
è notoriamente incapace di comprendere  la "realtà",
perché affetto da ideologia, invidia (?) e ipocrisia.
Chissà, forse questa è la nuova morale del riformismo nella sua  versione
toscana, senza ideologia (cioè, senza princìpi etici),
senza invidia (boh! la parola è entrata nel lessico politico soprattutto
grazie a Berlusconi, e aveva, nel suo caso, una qualche giustificazione;
ma invidia, in questo caso, pare proprio fuori misura),
e senza ipocrisia (nel senso: perché scandalizzarsi, si sa che gira così!).
O no?
Severo Laleo

P.S. Spero esistano davvero magistrati, soprattutto con funzioni dirigenziali,
dalle carriere libere e indipendenti.

venerdì 14 giugno 2019

Palamara, Palamara


Quando mi capitava di vedere in TV il volto parlante di Palamara, con i suoi occhi sempre distratti dal vuoto in un viso tondo nero barbuto ...
... possibile sia un magistrato?
Ora sappiamo il suo mestiere: aspirante allocatore di poltrone.
Un mestiere esercitato con altri aspiranti suoi amici, magistrati e due politici (si fa per dire!) ... del PD (Ferri, Lotti).
Del PD?
È possibile ancora attribuire un partito a Ferri e a Lotti?
Un tempo gli intrallazzi di un rappresentante di partito erano gli intrallazzi del suo partito.
Ora questi intrallazzi a chi appartengono? E chi rappresentano veramente Ferri e Lotti? Per chi si agitano tanto? E in fretta?
In una democrazia moderna è un guaio grosso, grosso. Un guasto da riparare.
Ora se il segretario del PD, il tranquillo Zingaretti, ha in mente un partito inconciliabile con gli
intrallazzi di Lotti e Ferri -e l'ha dichiarato- per quanto tempo ancora i due aspiranti giocatori di poltrone possono dirsi del PD?
Forse una decisione importante per fare finalmente chiarezza e per assumere un impegno di una trasparenza assoluta nel servizio alle istituzioni è d'obbligo.
O no?
Severo Laleo
P.S.
Però i maschietti, quando si riuniscono di notte in un albergo, si sente che sono maschi! O no?

sabato 8 giugno 2019

Quando il Potere dimentica la sua funzione...sorteggio

Grazie (si fa per dire!) alle cene notturne di qualche magistrato
con qualche politico, tutti maschi, sia chiaro, dove liberamente
(“La sera uno può fare quello che vuole -è convinto l'ex magistrato Ferri-
ed incontrare chi vuole!) si discuteva del più e del meno
circa i Procuratori Capi, a qualcuno è venuta/tornata in mente l’idea,
previa riforma, di scegliere per sorteggio i membri del CSM,
proprio considerando molto sconveniente questo parlar segreto al buio
tra amici influenti e a volte molto interessati a conservare "influenza".

Ma l’idea di una riforma del CSM con questo tratto distintivo,
è stata subito bocciata sia dal vicepresidente del CSM, Ermini,
per "l’irrazionalità nella selezione dei candidati", sia da Valerio Onida,
perché non si tratta di una proposta sensata.
(“Il sorteggio non garantisce magistrati più adatti”.)
E non aggiungono altro di convincente.

Eppure sarebbe tutto più facile, razionale e sensato.
E senza la necessità di cene notturne, e molto altro ancora non svelato,
per nostra fortuna di cittadini appena onesti, dai trojan!
Basterebbe studiare criteri seri, adeguati, completi e controllabili per definire
una graduatoria di “meritevoli” e "competenti" dalla quale scegliere,
per sorteggio, in numero pari uomini e donne, tutti i consiglieri.
Chiunque si trovi nella posizione di scelto/a per sorteggio,
ha molte più possibilità, date le sue doti certificate di merito e competenza,
di tenere alta la sua funzione di consigliere indipendente e imparziale.
O no?
Severo Laleo


giovedì 25 aprile 2019

25 Aprile: Maria Penna, il popolo sei tu




Mi è capitato di assistere, un po’ per caso, a una discussione,
a tratti ambigua,
sull’entità della partecipazione di “popolo” alla Resistenza.
Per troppe persone, attente soprattutto ai numeri, all’oggettività dei numeri,
la Resistenza fu una lotta di una piccola minoranza contro il nazifascismo.
Si sa, dicono, quanti sono stati i partigiani, uomini e donne insieme.
E si sa, dicono, qual è stato il contributo sul piano militare
alla vittoria finale: importante, sì, ma … relativo.
In breve la Resistenza non è stata affar di “popolo”.
Il popolo, dicono, è arrivato dopo, con le schiere dei partecipanti
con bandiera rossa alle manifestazioni/celebrazioni del 25 Aprile:
anzi, da una parte il popolo del 25 Aprile, festante della vittoria
per la libertà di tutte/i, al centro della piazza,
dall’altra il popolo muto, eppur libero, in disparte, ai margini della strada.
E ieri un ineffabile ministro, sulla scia di leader (povera Italia!)
tutti travolti dalla retorica del calcio/pallone, e con la violenza stupida
di chi non comprende il dolore universale della guerra, dichiara baldanzoso,
con un sorriso stampato, sempre uguale da mane a sera,
per non scegliere da che parte stare, di non voler partecipare 
al derby del 25 Aprile!
Derby? Il 25 Aprile un derby? Le parole del calcio, in questo paese,
hanno sostituito/distrutto politica e storia. E favorito il populismo.
E il populista sbraitante di oggi non merita e non ha un popolo,
ma solo seguaci,
spesso osannanti, imbrigliati nella grande Rete.

Per nostra fortuna seguace non era Maria Penna, classe 1905,
nata nel Sud Italia,
e torturata e uccisa a Firenze dai nazifascisti nel giugno 1944.
Per nostra fortuna non era una seguace Maria Penna,
lavoratrice e madre di quattro figli,
semplicemente una persona libera, determinata nella scelta politica
di difendere la libertà di tutti.
E’ Maria Penna a morire per la nostra libertà; sulla sua scelta di vita
si fonda la nostra Costituzione. Insieme a tantissime altre vittime,
sparse in tutto il Paese, da Sud a Nord, ha testimoniato, 
con la Resistenza,
l’unità ideale di un Paese.

Se esiste ancora un popolo, quel popolo ha il nome di Maria Penna.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 3 aprile 2019

Stranieri alle porte? Meglio nell’agorà




Zygmunt Bauman, con Stranieri alle Porte, ancora una volta
lancia un invito all’umanità intera a praticar la pace;
anche perché l’alternativa alla pace -aggiunge-, e quindi
al civile convivere, è la fine dell’umanità stessa.
Insomma, è possibile con-vivere senza massacrarsi?
E’ necessario! E per questo esercitare l’arte del dialogo,
del confronto, della conversazione diventa il metodo libero,
oltre le regole, attraverso il quale è possibile giungere
alla comprensione dell’Altro, del diverso da Noi;
e oggi l’Altro è soprattutto il migrante in cerca di “vita”.

In verità gli stranieri incutono paura se si presentano e sono alle porte,
magari in silenzio, incapaci di aprir bocca, sospettosi e sospettati.
Se al contrario diventano parte integrante, ognuno a suo modo,
di una situazione di conversazione, si amplia la civiltà dell’agorà,
da intendere nel suo significato/simbolo di spazio 
della relazione discorsiva.
Se si dà la concreta possibilità, con l’accoglienza, di sperimentare
la conversazione, si attiva la comprensione, e quindi -Zygmunt usa
qui le parole di Gadamer- il processo di “fusione di orizzonti”;
senza accoglienza, avrà successo l’esclusione, e da qui,
almeno per i più fragili, separazione, distacco, chiusure, rancore,
odio, conflitto, guerra.
Zygmunt scrive che è un piacere; ha una scrittura nitida, chiara
con un andamento molto gradevole e coinvolgente;
ogni parola non è mai fuori posto; e ha una visione illuminata
dei problemi, non ideologica, ma argomentata e confortata
da dati e e autori.

Se il mondo occidentale, mondo liberale, difensore delle libertà,
sperimenta oggi la sua massima contraddizione,
perché da una parte apparecchia tutti i diritti ai suoi cittadini
e dall’altra esclude da ogni diritto gli altri,
adottando all’occasione con caparbietà pratiche illiberali,
evidentemente qualcosa ancora non funziona nella nostra civiltà.
E si corre il rischio di abituarsi all’idea di veder sospese
un domani garanzie di libertà per tutti noi, con il pretesto
di una difesa di un benessere mai realmente in minaccia.
Costruire muri per i dannati è facile; ed è facile mietere
consenso con la promessa di salvezza dagli invasori;
difficile è elaborare un progetto di pace perpetua (Kant è ancora vivo),
di civilizzazione della società, e insieme trovar strumenti,
risorse e persone utili a costruire/salvare l’umanità.
E il difficile è una prerogativa umana.
O no?
Severo Laleo



domenica 31 marzo 2019

Il femminismo è là...in basso




Se ti capita di andare in libreria e di chieder il libro di Susan Okin,
Diritti delle donne e multiculturalismo,
gentile il libraio (si fa per dire!), consultato il suo display,
ti invita ad aver pazienza un po' di giorni,
solo il tempo d'obbligo tra ordinazione e arrivo in libreria.
Eppure premuroso, pronto a rispondere alla tua urgenza culturale,
ti accompagna a un  mal posto scaffale,
e cortese soggiunge:
"Il femminismo è là, in basso".

Non più di una decina di testi in una libreria grandissima.
Questo è il nuovo clima.
Forse Verona è vicina.
O no?
Severo Laleo

domenica 24 marzo 2019

Non c'è fede che tenga: basta il no al multiculturalismo?

Caro Scapece,
ma quando ci vediamo? Che devo venire a Napoli? O ci si vede a Benevento?
Dai non rimandare oltre, ho da raccontarti tante cose e costringermi
(oddio, è sempre un piacere!) a scriverti, riduce, e tu sei d'accordo,
la qualità alta dell'intesa colloquiale. E poi, non mi avevi promesso
di mettermi al corrente dei tuoi nuovi impegni? E vabbuò! Aspetto.

In questo periodo, credo d'averti già detto, sto cercando
di leggere un po' di cose intorno ai problemi dell'immigrazione,
compatibilmente, ovvio, con la cura dei nipoti: ho questa fortuna!
Dopo il libro di Raffaele Simone, "L'ospite e il nemico", ho letto,
uscito qualche mese fa, il "Manifesto laico contro il multiculturalismo"
che è sì il sottotitolo del libro di Cinzia Sciuto "Non c'è fede che tenga",
ma in pratica è il vero titolo.
Si tratta di un lavoro onesto, quasi militante, spesso coinvolgente,
pieno di quella sana voglia di intervenire,
a livello etico-politico e giuridico, sul complesso fenomeno, "ambivalente",
dell'immigrazione, con l'obiettivo di spingere la sinistra ad abbandonare
il multiculturalismo nella soluzione dei problemi legati ai processi
di integrazione, finalmente superando il vizio, appunto presente
a sinistra, di un malinteso rispetto delle identità
dei gruppi minoritari a scapito della libertà dell'individuo, e dei suoi diritti,
con conseguenze a volte disastrose.
Te lo consiglio, si legge bene, anche per la varietà
della scrittura (dall'analisi storica alla riflessione filosofica,
dal racconto di esperienza personale alla disamina normativa).
La sua tesi è chiarissima (appunto, non c'è fede che tenga): la laicità
(insieme ai diritti dei singoli) è un bene irrinuncibile in una società
a democrazia avanzata e rinunciare ad essa
per accontentare gruppi minoritari (si dice minoritari,
ma il riferimento palese è soprattutto ai gruppi di religione islamica),
concedendo l'inconcedibile, è un grave errore.
Ora, per evitare di concedere l'inconcedibile, lo stato laico si deve assumere
"la responsabilità  di entrare nel merito di quel che accade dentro le comunità  
per farsi garante dei diritti dei singoli cittadini". (p.34)
Hai detto niente!, caro Scapece.
E così, da libertaria e laica, Cinzia Sciuto si trova
a invocare l'intervento del salvifico Stato per l'estensione d'obbligo
della laicità! E come la chiesa ha praticato l'"evangelizzazione forzata" ,
ora si invoca, per tenere a bada le comunità religiose,
anche una laicizzazione forzata.
Eppure il problema non è tanto o solo la laicità - secondo Susan Okin-
ma la persona e i suoi diritti. Gli stati i quali hanno approvato la dichiarazione
universale dei diritti umani non possono consentire né al multiculturalismo
né al comunitarismo la violazione dei diritti della persona.
Questo è molto convincente, Scapece, o no? Il come è importante.
Comunque la contraddizione, se così si può dire, di Cinzia Sciuto è sopportabile
(anche se per chi bazzica con i personalisti difficile da accogliere),
perché è connotata di una civilissima sincerità d'azione/soluzione.
Per noi, so che sei d'accordo, ogni percorso verso l'autonomia personale
è sempre imprevedibile, complesso, irripetibile e soprattutto non può essere
guidato dall'alto o comunque da terzi; per raggiungere l'autonomia i percorsi
non possono che essere autonomi. E l'autonomia personale è la condizione
fondamentale della laicità anche nel rispetto personale della fede di ognuna/o.

Le parole riguardanti la violenza contro le donne con l'intelligente invito
agli uomini di prendere coscienza che esiste "un problema di genere"
sono assolutamente condivisibili.
Un'ultima cosa, caro mio. Se ancora sono in molte/i ad avere
la preoccupazione che le donne diventeranno strumento fondamentale
nella battaglia per islamizzare la società -sul punto si cita Ruba Salih-,
tu sai quanto io creda il contrario: saranno proprio
le donne, percorrendo la strada personale verso l'autonomia,
e riconoscendosi gruppo oppresso, a modificare/imbrigliare tutti quei progetti
di predominio/egemonia, violenti o no, di stampo maschilista.
La recente manifestazione delle donne in Algeria pare sia un segno
concreto di liberazione.
Chissà, forse anche la laicità, vedrai, uscirà dalle mani delle donne
d'Africa e d'Asia.
O no?
Stammi sempre bene e buone cose,

Severo.

sabato 9 marzo 2019

Houellebecq, a Labrouste la serotonina non serve


Ué, Scapece caro, sei ancora a riposo, eh? 
Così pare, a vedere le foto su WhatsApp
Anche io, sai, almeno per qualche giorno...
poi di nuovo i nipoti. E 'sta volta meno male! 
Perchè l'ultima lettura, invece di distrarmi,
in serena distensione d'animo, mi ha, 
se escludo un po' di pagine, alquanto affaticato.
Altro che capolavoro! Serotonina di Houellebecq, per un lettore, diciamo la verità, superficiale del mio tipo, è un libro, 
per almeno due terzi, depressivo, zeppo di osservazioni/descrizioni, tra una elicoidale (si parla di luoghi, ambienti, strade, alberghi, ristoranti, bevande, cucina, farmaci, malattie, immobili d'ogni tipo, 
pesci, musica, armi, e altro ancora), ripeto, un' elicoidale guida turistica mordi e fuggi, a zig zag, un po' zibaldone, 
a volte pungente e divertita, e un lineare, ripetitivo, 
racconto al sesso, nulla di nuovo. 
(Sì, perché, a dar retta a H., "qualunque cosa si possa 
immaginare in materia di pornografia esisteva già abbondantemente nell'antichità greca o romana".) 
Un'originale presenza, abbastanza frequente, di comparse-con-parola, di complemento all'unico personaggio, è garantita, 
in questa guida sui generis, a camerieri e receptionist: la più empatica è Audry, poverina!
Il protagonista racconta anche di aver sperimentato la felicità. 
Con CamilleMa se per caso ti venisse in mente di capire 
un solo tratto di questa felicità, ti troveresti ancora una volta davanti a un motivo di sesso e basta. Un disastro. 
Un improbabile Labrouste. Accenti più rotondi si trovano 
nel racconto dell'incontro del protagonista con il suo vecchio amico, dei tempi dell'università, Aymeric, un nobile votato all'agricoltura, e spinto, complici alcol e spinelli, da un fallimento finanziario e familiare, al suicidio; sono pagine corpose, 
ne guadagna ai miei occhi anche la scrittura, 
finalmente scorrevole e coinvolgente.
Eppure, per non farsi mancare nulla, Florent-Claude scende, 
nel senso di livello, fino a un incontro ravvicinato 
con un ornitologo pedofilo, giusto per spalancare il suo animo 
a una viltà assoluta o, al minimo, a una indifferenza colpevole.
Le pagine sull'amore dal punto di vista (e di comportamenti di vita) della donna e dell'uomo generano riflessioni profonde: grazie Houellebecq (qui Florent-Claude non c'entra)! E qualcosa altro, sempre in termini di riflessione profonda, aggiungono le pagine intorno alla storia d'amore dei suoi (di Labrouste) genitori. 

Per il resto, sesso dappertutto, esplicito e implicito, reale e pensato. Una fissazione! Ora, a essere sobri, una visione così sconcertante della donna, nel 2000, non è concepibile nemmeno in un depresso alla Labrouste; è troppo chiaro, a Labrouste la serotonina 
non serve! Non so se consigliartelo.
Ma se sei a riposo, potresti lasciar perdere.
O no?
Stammi bene.

Severo

domenica 3 marzo 2019

L'importanza (leggera) degli anni e la democrazia



Presso la Casa del Popolo di Rifredi a Firenze stamani 
si è votato per le primarie del PD
Una persona amica ha voluto consegnarmi questa istantanea. 
"Sai, verso le ore 11 la fila era di circa 30 minuti...una fila silenziosa, eppure densamente espressiva, quasi preoccupata,
di donne e uomini, in piedi e sparsa su sedie, in attesa calma 
e paziente, educata, gentile, molto riflessiva, mite e determinata, quasi tutta con il bianco ordinato in testa e la speranza del futuro salda tra le mani."

Grazie anziane/i, siete l'onore democratico d'Italia, 
e insieme un esempio per tutte le giovani generazioni pensanti, qualunque voto vorranno esprimere.
Forse la democrazia non è ancora finita.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 20 febbraio 2019

Ospite, nemico e comune umanità: convivere senza massacrarsi. A proposito de “L’ospite e il nemico” di R. Simone



Caro Scapece,
lo sai tu, vero, che potrei benissimo essere considerato un appartenente
(solo idealmente, eh!) al Club Radicale?
Sì, il Club Radicale. Non ce l’hai presente? E vabbè, ora ti spiego.
Il Club Radicale, devi sapere, è un club la cui base culturale comune
-scrive Raffaele Simone nel suo libro L’Ospite e il Nemico- “è formata 
da un aggregato poco amalgamato ma assertivo di assunti radical: 
vi confluiscono esigenze comuniste e egalitarie, umanitarie, cristiano-sociali, 
anti-imperialiste, anti-capitaliste e anti-occidentali,
no-global, femministe, omosessuali, non-violente, terzomondiste, 
ambientaliste, vegane e animaliste”. Lo vedi, è proprio il mio Club (insomma!)
sia perché non posso nascondere l’impronta cristiano-sociale 
nella mia formazione, attraverso la quale ho anche filtrato/accolto
esigenze comuniste, femministe, non-violente, sia perché ho sempre riservato
una grande attenzione, forse per deviazione professionale, ai “valori
(se si può ancora usare questa parola) presenti nelle Grandi Carte,
quali la Costituzione Italiana, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani,
eppure, t’assicuro, nonostante l’autore del libro,
appunto Raffaele Simone, sia molto severo e molto critico con il Club,
responsabile tra l’altro di un uso scrupoloso del Politicamente Corretto
nella strategia di comunicazione tendente a nascondere ogni differenza
tra nativi e nuovi arrivati, mi è facile ammettere, abbandonando il vizio grave
proprio del Club (non mio, eh!) di non voler aprire bene gli occhi, 
che il suo libro è fondamentale per avviare una riflessione seria, consapevole, 
informata sulla Grande Migrazione (il titolo completo del libro infatti è: 
L'ospite e il nemico. La grande migrazione e l'Europa, da fine novembre 
nelle librerie).
A leggerlo si capisce chiaramente che il Club Radicale ha le sue responsabilità
se l’Europa non ha saputo affrontare con un serio progetto politico la grande 
ondata migratoria proveniente da Africa e Asia; al contrario, sembra aver favorito 
il sopravvento dell’idea minimizzatrice che tutto si potesse aggiustare, 
magari con il tempo; e la cronaca è piena di esempi di sottovalutazione di episodi 
di violenza qua e là in Europa; così dum Romae consulitur...
Un ruolo negativo nell’affrontare concretamente le questioni legate 
alla Grande Migrazione ha avuto anche la “mitezza” del nostro apparato normativo 
e delle nostre occidentali regole di convivenza. (Forse perché, a mio parere, 
la mitezza, spesso malintesa, per colpa dei governanti, ha vestito i panni 
più del lasciar perdere e dell’accidia che della prudenza attiva.)
Anzi, ti dirò, grazie a questo libro, sebbene ancora mi capita a volte di propendere 
per gli estremisti della libera circolazione (mi è venuta voglia di leggere 
anche il libro, più volte citato da Simone, di Donatella Di Cesare), 
ho cercato di introdurre qualche limite e controllo nelle mie idee “miti”, 
sempre un po’ sfuggenti di fronte ai dati della realtà.

Tu che vivi in una città che ha visto partire i bastimenti per terre assai luntane, 
in cerca di fortuna, che ha visto le lacrime degli emigranti, consapevoli, 
amaramente, di essere carne ‘e maciello, e che ora, ingoiate da tempo 
le lacrime, gioisce perché un suo corregionale, Bill de Blasio, è sindaco 
di New York, sai bene quanto sia importante capire, con la necessaria attenzione, 
cos’è ora la Grande Migrazionemolto diversa, avverte però Simone
dalla nostra di fine ottocento.

E’ un libro da leggere, te lo consiglio. Anzi, aggiungo: dopo aver letto il libro,
mi sento più sicuro nell’affrontare la discussione sull’argomento con chicchessia,
perché ho abbandonato il mio irenismo un po’ superficiale, e non bene informato,
buono per ogni occasione, e ho adottato, con i miei limiti e i miei radicati 
sentimenti, il realismo, sia pure apprensivo, di R. Simone.
E chissà se è ancora possibile coltivare idea/speranza di M. Mauss: "il «segreto» 
della convivenza dei popoli e delle nazioni consiste nel saper trovare ogni volta 
delle modalità istituzionali attraverso cui possano «contrapporsi 
senza massacrarsi, e a “darsi” senza sacrificarsi l’uno all’altro». 
Mauss suggeriva che per rompere il cerchio infernale della guerra 
di tutti contro tutti occorre affidarsi alla logica del dono, 
del donare/ricevere/ricambiare, che è la sola in grado di far «deporre le lance», 
di creare «rapporti stabili» e di trasformare in socius chi prima era considerato 
come nemico." (F. Fistetti in Dal mito della crescita all’homo convivialis” 2014).

Un’ultima cosa. Che nasce, come tu ben sai, solo da una mia fissazione: 
tutto il male, tutta la conflittualità originata dalla Grande Migrazione
e tutte le conseguenti ipotesi di stravolgimento in un futuro prossimo 
dell’assetto europeo così come oggi è dato, ho la sensazione appartengano 
al solito schema di lotta per il predominio di stampo maschilista; 
ci si può interrogare se esiste/esisterà un ruolo delle donne per andare 
oltre il solito schema? (Nella pagina dei ringraziamenti c’è posto 
anche per Ruth…) Tu che dici? E’ lecito o no?
Stammi bene caro Scapece, e buone cose sempre.
Un abbraccio,
Severo






martedì 19 febbraio 2019

Un imbroglio a Cinque Stelle





Il M5S, almeno nei suoi big, è finalmente sollevato e allegro,
ha superato la prova Rousseau,
eppure non sa forse di ridere della sua fine. O almeno di una sua mutazione.

Sì, perché il voto su Salvini (si fa per abbreviare) ha dimostrato l'esistenza
di una frattura profonda, chiara e precisa, immagino irrimediabile,
tra due modi di intendere la politica,
almeno a livello degli attivisti partecipanti al voto online.
E forse anche tra chi ha votato nel 2018 il M5S.

Dei 52.417 votanti, il 59% ha consapevolmente ritenuto corretto
l'operato del Ministro Salvini, che, “per redistribuire i migranti
nei vari paesi europei (parole esatte inserite nel quesito),
ha "ritardato" (eufemismo per non dire “vietato/impedito”) lo sbarco
di 177 migranti, persone migranti.
In parole semplici, il 59% ha ritenuto corretto, giustificabile,
ammissibile usare persone, come mezzi/strumenti, per ottenere
il fine politico di distribuire i migranti nei vari paesi europei.
E ha ritenuto, quel 59%, che l’usar persone come mezzi fosse
per la tutela di un interesse dello Stato”.
Pericoloso stravolgimento di un principio di civiltà!

A quel 59% è bastato il rischio di perdere il governo
per dimenticare d’un colpo il principio etico
di rispetto della persona umana,
tornando a esercitare, arzigogolando, l’arte degli imbroglioni.

Per fortuna, il 59% è solo una parte degli attivisti del M5S;
toccherà all’altro 41% tenere alto l’onore del Movimento.
O no?
Severo Laleo

sabato 9 febbraio 2019

Cazzullo e le donne

Caro il mio Scapece,

per fortuna sei il mio amico mite, così con te posso sfogarmi, scrivendo 

liberamente, anche annoiandoti, lo so, ma senza il timore di beccarmi sbuffi, 

lamentele e mhmm, anche quando uso i testi un po' a mio uso e consumo.

Gran virtù squisita è la mitezza!

Sai, avevo preso il libro di CazzulloLe donne erediteranno la terra

con la personale speranza di impadronirmi di qualche nuova riflessione 

sull’essere donna: non si sa mai, mi son detto, Cazzullo è un giornalista 

serio e preparato. In verità il libro, mischiando storia e cronaca,

offre un’antologia di brevi biografie e curiosità, le più disparate, non poche 

per me nuove, o comunque vestite di nuova luce, tutte utili per comprendere 

meglio l’universo femminile, e per di più di lettura piana, ma non offre riflessioni 

nuove, o comunque non le ho sapute cogliere.

Anche Cazzullo, però, pur spinto da un sincero interesse a scoprire 

le qualità delle donne, quelle qualità appunto che, secondo la sua previsione, 

permetteranno alle donne, sempre più presenti nei posti di “potere”, 

di “ereditare la terra” (espressione non proprio adatta per la sua ineliminabile 

pregnanza religiosa, non facile a aggiornamenti),  in realtà resta legato 

all’antico, classico, ineliminabile schema maschile, cioè questo: 

gli uomini hanno finora dominato il mondo, costruito/modellato il “potere”, 

l’hanno maschilmente gestito e a ogni costo tenuto e conservato,

l'hanno intriso di violenza, e ora questo “dominio” e questo “potere”, 

senza novità e cambiamenti, per “sorpasso”, 

passerà nelle mani delle donne, proprio in questo secolo. 

Eh, no? Possibile non si riesca a uscire dall’idea maschile che il “potere”,

così come è stato inventato e modellato, non può essere “a misura di” donna?

Che molto probabilmente le donne non hanno alcuna intenzione di “sorpassare

gli uomini e semplicemente sostituirli, senza una modifica/cambiamento 

dell’idea stessa di “potere” con tutto il suo armamentario di lotte 

per il predominio tra rivali?

Anzi Cazzullo invoca per le donne “uno spirito di squadra, una vera solidarietà 

femminile, per far crollare l’ultimo diaframma che separa le donne 

dalla meritata conquista del potere.” (sottolineatura mia)

Il problema è dunque sempre lo stesso: prendere il Potere. In breve, se la lotta 

per prendere il potere finora è stata limitata ai maschietti, d’ora in poi, 

in questo secolo, sarà una lotta tra maschi e femmine. 

Fino al sorpasso definitivo. 

Eppure Cazzullo immagina un possibile cambiamento nell’operazione sorpasso

che non sarà solo “un cambio di genere; sarà un modo diverso di fare le cose”,

ma lascia lì cadere l’intuizione. Peccato.

Comunque, caro Scapece, cominciare a divulgare nel grande pubblico 

l’idea di un'inarrestabile “rivoluzione delle donne” è senza dubbio 

opera meritoria.

O no?

Stammi bene e sempre buone cose. Alla prossima. E scrivimi, se vuoi.

Severo

martedì 15 gennaio 2019

La festa di governo per il carcere


In questi giorni di insensata festa di governo all'insegna dell'esaltazione
del carcere per la punizione di un condannato, è toccato a Sofri pronunciare parole chiare e condivisibili sull'assurdità della pena della "cella". Scrive Sofri:
"Capisco, mi pare, il desiderio dei famigliari delle vittime di vedere chiuso in carcere il responsabile provato - o colui che credono il responsabile provato - del loro lutto. Io però ho da tantissimo tempo, e molto prima che mi riguardasse così da vicino, un'obiezione di coscienza radicale alla galera, salvo quando la reclusione sia il solo modo per impedire a qualcuno di fare ancora del male. Un'abitudine pigra, ma niente è più ostinato dell'abitudine, continua a identificare il risarcimento dovuto alla vittima e alla comunità con la cella. Io provo solo disgusto e vergogna per la cella, con tanta forza che non mi succede mai, nemmeno fra me e me, di augurarmi che le persone che detesto e considero nemiche (ce ne sono, infatti, com'è umano) finiscano loro in galera. Perché la galera, chi la conosca da carcerato o da carceriere, e resti umano, nobilita il prigioniero e contagia di ignobiltà chi la augura.
...il carcere è il luogo più disadatto al vero pentimento. Il carcere è così disumano e cattivo e assurdo da attenuare fino a cancellare la stessa differenza fra innocenza e colpevolezza, da insinuare nel detenuto una sensazione di umiliazione e di offesa che prevale sulla ragione che ce l'ha portato. In carcere si può 'pentirsi' solo maledicendo l'accidente che vi ci ha portati: una lezione a delinquere meglio, la volta che ne sarete usciti. Chi attraversi una conversione vera dei propri desideri e della propria vita lo fa non grazie alla galera, ma nonostante la galera. La quale, che lo si voglia oppure si pensi e si proclami di non volerlo, è una vendetta."
Dai, stavolta con Sofri si può davvero essere d'accordo.
O no?
Severo Laleo

sabato 12 gennaio 2019

Roma, Cuarón e l’essere donna





Caro Scapece,

l’hai visto il film Roma? Del messicano Cuarón?
A me è capitato di vederlo ieri sera, grazie a qualche tenera insistenza
di Anna (i figli ormai consigliano i vecchi genitori!).
Vedrai, ti piacerà; ti piacerà!” andava ripetendo. Mah!
E infatti, anche se inizialmente ero sull’annoiato, per via di una lentezza
filmica non usuale (non avendo idea del tipo di racconto),
d’improvviso mi son sentito preso, e ho seguito il film con intensa 
partecipazione.
Lo sai, io sto ai film come l’olio sta all’acqua, quindi non ti aspettare 
un’analisi utile; o discorsi sulla società degli anni 70 in Messico, 
o sulle classi sociali, i ricchi e i poveri, padroni e servi, niente;
vorrei solo dirti il senso della mia partecipazione,
in pratica che cosa ho visto.

Per me Roma è un film, meglio un bel film, sulle “qualità” di genere:
le “qualità” maschili in opposizione alle “qualità” femminili.
Da una parte vedrai immagini penetranti, esemplari, di un mondo maschile
infantile, infedele, irresponsabile, fatuo, irriflessivo, pronto alla violenza,
dall’altro le immagini mirabili, coinvolgenti, di un mondo femminile
sofferente, responsabile, amorevole, pronto ad assumersi ogni responsabilità
nella direzione della cura degli altri.
Gli uomini appaiono o soli, dediti ai propri egoismi, o in bande, ora di parata,
ora di scuola di arti marziali/guerriglia, ora di formazione per l’ordine pubblico.
Anzi, Fermin, il maschio tutto arti marziali, preso a scuola di guerriglia,
viene spogliato d’ogni umanità, ed è mostrato mentre si esibisce
in una danza assurda da duello, tutto nudo, davanti alla “sua”
fidanzata, menando fendenti nell’aria a pene penzolone: vacuità pura;
e quando il guerriero saprà che la “sua” fidanzata aspetta un suo figlio,
scappa via vilmente. Ancora vacuità.
E scappa vilmente dalla sua moglie anche Antonio, maschio acculturato
e benestante, padre di quattro bambini, per inseguire un’amante:
un maschio muto d’egoismo, tutto macchina e viaggi. Vacuo?
Le donne al contrario non sono mai sole, anche quando si trovano
in grosse difficoltà; si cercano e si scambiano solidarietà, in parole e in azioni.
E trovano e vivono un’unità vitale. Ad ogni età. Un abbraccio d’amore.
E' Cleo, ma non solo, il simbolo di questa umanità resistente.
I maschi in truppa, le donne insieme.
Un bel film, una lezione per il futuro, un invito all’amore.
Bravo Cuarón!
O no?
Severo Laleo




mercoledì 26 dicembre 2018

S. Stefano, Salvini e la Nutella





Un po’ di memoria religiosa, per restituire a Stefano la sua dignità:
"Stefano (... – Gerusalemme, 36) -si legge su Wikipedia- è stato il primo
dei sette diaconi scelti dalla comunità cristiana perché aiutassero gli apostoli
nel ministero della fede.
Venerato come santo da tutte le Chiese che ammettono il culto dei santi,
fu il protomartire, cioè il primo cristiano ad aver dato la vita per testimoniare
la propria fede in Cristo e per la diffusione del Vangelo.
Il suo martirio è descritto negli Atti degli Apostoli dove appare evidente
sia la sua chiamata al servizio dei discepoli sia il suo martirio,
avvenuto per lapidazione, alla presenza di Paolo di Tarso
prima della conversione.
La celebrazione liturgica di Stefano è stata da sempre fissata al 26 dicembre,
subito dopo il Natale, perché nei giorni seguenti alla manifestazione 
del Figlio di Dio furono posti nel martirologio i comites Christi
cioè i più vicini nel suo percorso terreno,
i primi a renderne testimonianza con il martirio".

Per Salvini, ministro (davvero!), cattolico confesso (capace di sventolare
il rosario in un comizio), vicepresidente del governo della nostra Repubblica
fondata sul LAVORO, per Salvini S. Stefano è una modalità 
di apertura di giornata.
Per una preghiera? No! Per un ricordo? No! Per un invito a...? No!
Solo per esporsi al gioco “sociale” (e anche il termine sociale, 
una volta pregnante, scivola verso l’evanescenza).
Scrive, infatti, oggi un ammiccante (ma chi sei?) Salvini:

“Il mio Santo Stefano comincia con pane e Nutella😋, il vostro??

Insopportabile!
O no?
Severo Laleo

P.S.
Molto si può perdonare al M5S, ma il fatto di aver dato alla Lega/Salvini 
la possibilità di governare il nostro Paese con sovrana volgarità 
usando malamente i moltissimi voti catturati a persone di sinistra, 
è imperdonabile.
O no?

mercoledì 5 dicembre 2018

"Il" Toscani e Giorgia Meloni





Leggo su HP: "Oliviero Toscani contro Giorgia Meloni. 
Nel corso di La Zanzara, su Radio24, il celebre fotografo attacca 
la leader di Fratelli d'Italia: "Poveretta, lei è una ritardata. 
È brutta e volgare, mi dà fastidio la sua estetica.
È proprio fastidiosa e quindi tutto ne risente, anche l'estetica".

Ecco un altro esempio di violenza. Violenza reale. Quando non si ha idea 
del limite, quando non è stata interiorizzata la cultura del limite
questi sono gli esiti esemplari.
Eppure, anche un "rivoluzionario", in qualunque campo operi, ha da rispettare
sempre un limite, anche se solo "suo", anche se sarà comprensibile 
solo nel futuro. E questo per continuare a essere una "persona".
Ma il "celebre" fotografo sceglie di andare oltre il limite,  
e dimentica il rispetto per la "persona" per esaltare il suo "ego". 
Non è perdonabile. Forse ha ancora molto da leggere, studiare, 
confrontarsi, imparare. E questo per ritrovare la “persona”.

Sempre da HP è giusto riportare la risposta di Giorgia Meloni.
"Il radical chic (con tessera Pd in tasca) Oliviero Toscani,
fotografo di Benetton, dice alla trasmissione "La Zanzara"
che io sono "brutta e volgare", che "gli dà fastidio la mia estetica"
e che "sono ritardata" - ha scritto in un post su Facebook - 
Non risponderei a qualcuno che disistimo così profondamente, 
se non ci fossero in queste poche parole
svariate forme di razzismo viscerale. Razzismo contro le donne, 
costrette - indipendentemente da ciò di cui si occupano - 
a dover rendere conto del loro aspetto fisico. E, molto peggio, 
razzismo verso il dramma di chi soffre di disturbi psichici. 
Voglio dire che sono profondamente fiera che la mia presenza
dia fastidio a una persona così miserabile".

E qui il "miserabile" di Giorgia Melone è davvero perdonabile.
O no?
Severo Laleo

domenica 18 novembre 2018

Il PD, il ticket e la segreteria duale



Condannata da una coazione a ripetere, una gran  parte della nostra classe
politica continua a marcare, anche nel vocabolario, la già immensa distanza
con i bisogni delle persone in carne ed ossa, incaponendosi, ad esempio,
a definire "ticket" la presentazione di una candidatura  doppia, cioè,
nel caso ora del congresso del PD, di un segretario e di un suo vice.
E questo, forse, per apparire moderni e americani, o per pigrizia,
lo si chiama ticket! Mah!
Praticamente è un parlare tra iniziati, perché nella vita quotidiana,
per chi bussa alla sanità pubblica, il termine ticket ha un significato
ben più "pesante"!
Nel Pd, per di più, la richiesta di un ticket appare un'esigenza strumentale,
perché pare servire solo ad ottenere più voti nella competizione interna,
abbinando sì un vice, ma sempre al suo "capo".
Insomma un gioco elettorale, a volte anche con nascosti risvolti.
Infatti, il candidato Minniti ha voluto subito evitare fraintendimenti,
eliminando il ticket "dall'ordine del giorno".

Eppure, se nel Pd si riflettesse, proprio a partire dall'idea strumentale di ticket,
cioè dell'elezione di un "capo" e di un suo vice,  sull'importanza
di una guida duale, di due persone con pari facoltà, in particolare di un uomo
e una donna, forse si scoprirebbe una nuova strada per uscire dal leaderismo 
monocratico, figlio storico del maschilismo, reo di tanti guasti.

Non si riesce a comprendere perché un'idea così semplice, normale,
di buon senso, evidente in sé, l'idea cioè di una segreteria a due, alla pari,
di un uomo e una donna, non possa trovare spazio in un campo, la politica,
dove le decisioni e gli interessi pubblici sono predominanti.

Forse perché le abitudini, quando non si pongono al vaglio critico,
diventano "sacrosante". E il cambiamento, anche in via sperimentale,
diventa difficile.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 14 novembre 2018

Il PD e le donne



In parecchi ora s'accorgono, nel Pd e fuori, della totale assenza di voci
e presenze di donne nella corsa verso la segreteria (in verità Livia Turco
recentemente ha con chiarezza e lungimiranza espresso una sua idea
per il futuro del PD, in piena autonomia, senza sentire la necessità,
prima di prendere posizione, di scegliersi un suo "capo"  maschio).

La presenza di donne in politica, soprattutto nelle sedi decisionali,
a ogni livello,  non può essere affidata al buon cuore del leader maschio
di turno, non può essere una concessione dal sapore strumentale
(è già successo nel Pd), deve solo diventare norma, regola.

In verità, ad aprire la strada verso una nuova esperienza di dirigenza
politica con parità di presenza tra uomini e donne è oggi Potere al Popolo.

I "portavoce" di Potete al Popolo, per Statuto, quindi nel rispetto di una norma,
anche se per ora solo sperimentalmente, sono due, un uomo e una donna
(un inizio timido di bicratismo, contro la tradizionale figura monocratica
del leader solo al comando, sciaguratamente imperante negli ultimi decenni).

Chissà, al PD basterebbe forse imitare PaP  per superare il suo maschilismo
incrollabile.
O no?
Severo Laleo