lunedì 29 aprile 2013

Il Governo di servizio…sedentario




Sia chiaro, questo governo di persone normali e presentabili, persone nell'età 
giusta per essere insieme competenti e navigate, persone sicuramente 
non consumate in litigi inconcludenti, piace, soprattutto se il confronto 
è con gli altri governi a matrice Bossi-Berlusconi, nei quali, ad esempio, 
senza dubbio alcuno, la nuova ministra dell’integrazione, Cecile  Kyenge
non avrebbe mai potuto trovare posto. E, a proposito di ministre, non pochi  
aggiungono, a dato positivo, anche una buona presenza percentuale di donne 
(ma dimenticano di colpo i “normali” governi a struttura paritaria di genere, 
già sperimentati in altri Paesi e ormai quasi una necessità di civiltà: ma, si sa, 
in Italia siamo indietro!).
E normale, e di giusta età, e competente e navigato, è anche il Presidente 
del Consiglio, disponibile all'ascolto e, soprattutto, misurato e garbato, 
colto e accorto, secondo la migliore tradizione dei più nobili tra i democristiani
(Andreatta, Moro), con un solo problema, il cognome: è un Letta.  
E, come l’altro Letta, il “fedelissimo” della Persona Berlusconi, è uomo 
di pause di riflessione, di incontro, di trattativa, di dialogo, di collaborazione, 
di pace, sempre a bassa voce e con argomenti, ma, si spera, altrettanto 
determinato, come l’altro Letta, appunto, a essere il “fedelissimo” del moderno 
Statuto del Pd e, quindi, del suo elettorato (c.2, art.1, “Il Partito Democratico 
affida alla partecipazione di tutte le sue elettrici e di tutti i suoi elettori 
le decisioni fondamentali che riguardano l’indirizzo politico).
In una parola, un fedelissimo delle  I s t i t u z i o n i.  Altrimenti è tutto 
un inganno, grave e senza ritorno.
Al suo esordio, comunque, Letta ha già compiuto un miracolo: ha trasformato, 
l’amazzone Gelmini, a sentire il suo intervento in aula, in una mite 
e convinta partigiana del governo di servizio.
Ormai la guerra è finita, e non paga più. E’ d’obbligo, vate Napolitano, 
la stagione della tregua. Le armi devono godersi il  riposo, e le munizioni tornare 
in deposito. Basta con i falchi, volino le colombe. I combattenti, gli arditi, 
i kamikaze, e tutti i militari attivi (con gli F 35?), dell’una e dell’altra parte, 
restino nei banchi loro assegnati. Avanti negoziatori e trattativisti.
Insomma, almeno per ora, Letta ha indovinato tutto: le persone, le parole 
e la definizione stessa del governo: di servizio...sedentario.
O no?
Severo Laleo

venerdì 26 aprile 2013

La violenza dei “numeri certi” e la facile resa dei vincenti





Domani, quando sarà cessata la retorica (nei più, interessata)
del “bene, bravo”, inutilmente aggiuntiva all’unanime (o quasi) giudizio positivo 
sulla figura del Presidente Napolitano, le macerie della Politica saranno 
sotto gli occhi di tutti. E sono le macerie di un Paese stravolto, a rischio ribellione,
perché, pur avendo votato in un modo, si trova governato in tutt’altro modo. 
E questo a prescindere dagli errori soggettivi di questo o quel dirigente politico
(Bersani e Grillo), dei tanti leader/leaderini in pectore del Pd (Renzi, su tutti), 
e dei molti “franchi tiratori” dal facile e falso applauso.

In democrazia è insopportabile l’idea di avere, su due piani, disgiunte e separate, 
da una parte, le decisioni popolari espresse attraverso il voto, e, dall’altra, 
le decisioni di una struttura istituzionale (la Presidenza della Repubblica
non più garante attivo del libero confronto delle forze politiche in Parlamento,
e insieme del loro pur difficile, ma necessario, dibattere ed evolversi (apertamente, 
proprio là dove si esercita la responsabilità della decisione, nel Parlamento), 
ma semplicemente dettante, al coerente Bersani, un recinto forzoso d’azione .

La cesura, oggi, appare violenta, e  non può durare in democrazia.
E non basterà a Letta rinchiudersi nella formula del “governo
di servizio”, se questo è solo a due teste, e se è costretto, per nascere/vivere, 
a seguire gli interessi inevitabili di un solo padrone.
Il corpo elettorale, votando per il centro-sinistra e per il M5S,
a maggioranza assoluta dei voti nel Paese, e conseguentemente
dei seggi in Parlamento, al di là del Porcellum, ha voluto negare, sottolineo negare
alla coalizione di centro-destra la possibilità di governare. 
Ma il Presidente Napolitano, in una situazione di forte “movimento” 
politico, e in presenza di quel “boom” imprevedibile nella Sua visione e per questo,
forse, mai pienamente accolto, ha preteso una interpretazione letterale, 
fuori dalla realtà, amarxianamente, della Costituzione, e, almeno agli occhi 
del cittadino di sinistra, e del M5S, sbagliando tutto, perché ha anteposto, 
per colpa del suo paletto dei “numeri certi”, la Sua visione politica
non istituzionale, nella formazione del nuovo governo, anche se la fiducia 
nel Parlamento non può essere mai data per “certa”, nonostante gli accordi.

E di fronte all’invadenza del Presidente, ancora più forte
e penetrante al suo ritorno nella carica, oltre il senso del limite,
le forze politiche premiate dall’elettorato si squagliano,
si arrendono, si ritirano, invece di inverare alla lettera, per dovere istituzionale, 
l’appello del  Presidente a tutte le forze politiche presenti in Parlamento.

Perché affidare solo al Pdl la golden share nel futuro Governo?
Perché Sel non è della partita (come suole dire) a porre le sue condizione 
di forza vincente e, quindi, di rispetto delle decisioni
del corpo elettorale? Perché il M5S non porta nell’azione
di governo la sua energia di innovazione “smuovendo” antiche abitudini di potere? 
Perché Lombardi non può sedersi accanto a Gelmini (confezionando insieme  
una bomba di simpatia popolare) nel futuro governo? Se non altro per rimarcare 
le differenze, e, forse, per obbligare il Pdl a recedere da tanto ardita innovazione! 
E il Presidente, così attento all’unità del paese,  dovrebbe esser contento 
di vedere una così ampia unità.

Ha scritto con efficacia Concetto Vecchio nel suo Blog “Ritagli”:
Poteva essere il tempo di un governo Pd e M5S, una roba rivoluzionaria 
in sintonia con la maggioranza del Paese: insieme hanno 17 milioni di voti. 
Si dirà: bisognava votare Rodotà. Eh, ho capito. Ma stiamo ai fatti: 
dopo le elezioni Bersani (quanti errori!) chiede subito una collaborazione
a Grillo, ma viene umiliato, deriso. Lì s’è deciso tutto. I grillini lo dimenticano. 
La verità – lo si è visto ieri chiaramente dallo streaming con Enrico Letta 
– è che i Crimi e i Lombardi hanno paura di governare, rifuggono 
la responsabilità per manifesto senso d’inferiorità”. 

Forse un Presidente attento a leggere la realtà del voto, invece
di attaccarsi alla scelta tutta politica dei “numeri certi”, avrebbe dovuto smorzare, 
con la sua moral suasion, la “paura di governare” del M5S, aprendo la strada, 
da corretto interprete del dovere costituzionale di rappresentante dell’unità 
della nazione, a un nuovo ciclo politico. 
Ma il suo ritorno ha bloccato il cambiamento.

O no?
Severo Laleo

mercoledì 24 aprile 2013

Dai SEL, è tempo di Governo





In un governo d'obbligo del Presidente (è questa, ora,
la vera dimensione politica del prossimo governo, un governo, cioè,
di natura istituzionale, che non nasce da un libero accordo politico tra PD e PDL), 
la presenza di SEL, al suo interno, sarebbe più utile
al Paese (utilità sociale, vorrei precisare) con un qualche ministero
(ad es. l’istruzione ), perché consentirebbe, a SEL, sia di rispettare, con senso 
di responsabilità il dato elettorale (alla vittoria segue
il dovere di governare), sia di tener viva, a livello esecutivo, la sua fondamentale funzione di sinistra:

·         di estendere la trasparenza agli atti di governo;
·         di controllare i bisbiglii per patenti e latenti indigeribili "inciuci";
·         di dire la propria, di sinistra, anche là dove non la si vuole ascoltare;
·         di marcare il territorio di governo con il proprio profondo respiro di giustizia sociale;
·         di prendere le distanze pubbliche, e magari di opporsi, dall'interno, agli “affari” di governo;
·         di premere per inviare ogni decisione importante
al parlamento, ampliandone la funzione di dibattito
e di decisione.

Forse alla destra berlusconiana fa comodo avere fuori SEL,
per avere più facile omogeneità centrista nel veder passare
le sue proposte.
Vuole SEL far regali a Berlusconi (e a quest’anomalia italiana)? 
Non è il caso.

SEL deve essere così forte, nei suoi valori politici, da poter affrontare ogni situazione politica, sempre con l’obiettivo
del cambiamento; per usare un'espressione classica, tutto è possibile a chi è forte e ha ben chiari i principi di riferimento,
perché omnia munda mundis.
SEL non può ancora aver paura di sporcarsi le mani, la forza sta
–in questa data/obbligata situazione istituzionale- nel camminare
in mezzo agli impresentabili e mantenere sempre alta la propria presentabilità. 
E’ possibile. Dai SEL, è tempo ora di Governo. 

O no?
Severo Laleo

martedì 23 aprile 2013

Il governo di minoranza, anzi delle minoranze




L’inganno immane della politica italiana è ormai palese.

Non si sa ancora se andrà in porto, ma il disegno appare comunque delineato. Eppure spero ancora di sbagliare, immaginando
presto un incremento di democrazia all’interno del Pd.
Il nuovo, Renzi, si fa vecchio, contro il vecchio, Bersani, determinato
a costruire il nuovo, cioè il cambiamento vero, deciso dall’esito
della tornata elettorale di Febbraio, dal successo forte, e persino determinante, 
se solo fosse stato utilizzato, del M5S.

Sono responsabili, insieme, i giovani scalpitanti d’ambizione, i Renzi,
i manovratori del voto segreto, i Senza Volto, il ritorno, costituzionalmente stravolgente, perché scientemente politico,
del Presidente Napolitano, e, non ultima, l’insipienza politica,
non del M5S, ma di Grillo.

La linearità di Bersani, sancita alla luce del sole da un democratico confronto, 
è sconfitta nel segreto delle urne dai padroni del voto segreto.
Tutte le minoranze, sconfitte su ogni fronte, dentro e fuori il Pd,
firmeranno le larghe intese. E avranno un carattere comune, queste minoranze: seguono tutte un “leader” popolare, al di là delle regole, sempre faticose, 
ma d’obbligo, della democrazia piena e trasparente.
Il "nuovo" populismo. Pronto l'acuto slogan: "Vincere"
Nascerà, forse, un governo, comunque, di minoranza (i sì alle larghe intese nel Pd sono stati conquistati grazie solo ai franchi tiratori)
per la resurrezione di Berlusconi, il solo pesantemente sconfitto
alle elezioni di Febbraio (solo 2 persone su 10 hanno scelto Berlusconi;
più chiaramente: se inviti a cena dieci tra amiche e amici, solo due difenderebbero Berlusconi in una discussione politica; eppure in televisione, nei giornali, 
in Parlamento, persino nel discorso del Presidente Napolitano 
è di Berlusconi il progetto vincente).

Vorrei tanto sbagliarmi. 
Ma, si sappia, i bisogni delle persone in carne ed ossa non rispondono
in silenzio agli inganni. Forse per la sinistra della Costituzione, della giustizia sociale, dell’uguaglianza e della convivialità si è aperta
una stagione nuova. Di chiarimento definitivo, europeo.

O no?
Severo Laleo

Regressione o coazione a ripetere




Qualcosa non convince nel discorso del Presidente Napolitano a proposito 
di “regressione”. Perché, se anche pare un discorso corretto nella forma, 
nondimeno diventa del tutto astratto nella realtà di quest’ultimo ventennio. 
Il problema, immagino, non è tanto il fatto che “in Italia si sia diffusa
(eppure bisognerebbe interrogarsi sul perché di tanta diffusione, in un paese 
che ha escogitato/rispettato le convergenze parallele e il compromesso storico)
"una sorta di orrore per ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, 
convergenze tra forze politiche diverse”, quanto la preoccupazione, 
seria e motivata, anzi vissuta, che “ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, 
convergenze tra forze politiche diverse” possa portare all’orrore 
di una riduzione delle garanzie costituzionali. Ha forse dimenticato il Presidente 
quante volte il Pdl di Berlusconi abbia tentato –per fortuna esiste una Corte 
Costituzionale- di ridurre la Costituzione ai suoi interessi personali?
Ha già dimenticato il Presidente Napolitano, forse, quanto sia difficile un’intesa, 
nella cornice del rispetto della Costituzione, con il padrone del Pdl?
Perché, anche un difensore strenuo del dialogo, convinto della ricerca 
di ogni possibile intesa, deve essere costretto a firmare un'alleanza, 
se non è d'accordo? Dov'è l'orrore?

Forse l’orrore di per sé per “ogni ipotesi di intese, alleanze, mediazioni, 
convergenze tra forze politiche diverse” non è per forza il “segno 
di una regressione del nostro Paese nell’agire politico, al contrario, 
potrebbe anche essere il segno di una maturità politica forte, in grado 
di realizzare una più ampia estensione della democrazia, attraverso trasparenza 
e partecipazione diretta, oltre le mediazioni non solari delle stanze del potere. 
Oggi Napolitano, pur nella sua nobiltà di azione, difende, giusto per ricordare
la denuncia ante litteram di Pasolini, il Palazzo, e gli accordi al suo interno, 
comunque vada e chiunque siano i contraenti, mentre tutt’intorno è l'ora di aprire 
il Palazzo ai bisogni di giustizia e di trasparenza delle persone. Altrimenti, 
è solo grazie ai franchi tiratori di Palazzo (e tra questi vecchi e nuovi statisti: 
Renzi, D'Alema?) che è chiamato a difendere, guarda caso, proprio il Palazzo. 
Per coazione a ripetere.
O no?
Severo Laleo

lunedì 22 aprile 2013

Step by step, difficile Signor Grillo




Difficile Signor Grillo,
si sa, parlare con Lei è difficile. Chiunque si azzardi a parlare con Lei, rischia 
sempre di trovarsi in ameni posti sorridenti, grazie alla Sua incontrollabile vena 
di creativa affabilità a simpatia travolgentemente affabulante. Ma voglio correre 
il rischio. Anche perché sono solo un cittadino (meglio, una persona). E non ho
nulla da perdere. Che vuole che sia!
Ebbene, misuriamo, insieme, a oggi, i risultati della Sua strategia politica, 
del vincitore, cioè, indiscusso delle elezioni.
E prendo a riferimento l’obiettivo Suo massimo: “tutti a casa”.
Va bene. Ma quali sono i Suoi passi, step by step?
Per ora la Sua (non credo del M5S all’unanimità) strategia
ha conseguito 1. l’obiettivo, in combutta, per forza di fatti,
con quei  nuovi parlamentari già schiavi, piccoli inciuciarini in erba, 
delle mosse di Renzi, l’ambizioso senza limiti, attaccante sempre
in “fuori gioco”, e di D’Alema, lo statista senza Stato, da sempre 
battitore libero”, di mandare a casa il mite e dialogante Bersani, 
colpevole di aver creduto nella spinta, Sua e dei Suoi, al cambiamento 
(Folli, il giornalista, accusa la parola “cambiamento” di genericità: eppure, 
insieme a Bersani, avrebbe potuto spiegare a quel Folli, con nuove leggi, 
quanto non sia generica la Sua parola “cambiamento”!); 
2. e di non avere al colle l’indipendente Rodotà.
Un inizio di fallimento, in assenza di step.
Per mandare “tutti a casa” (si fa per dire, eh!), meglio, per cambiare davvero,
è necessario definire bene, step by step, gli obiettivi, usando con gran studio 
tempo e pazienza (una virtù anche cristiana degna di approfondimento). 
Ecco, in sordina, i primi due: 1. dare la fiducia a un governo disponibile 
a rendere meno precaria e più dignitosa la vita dei giovani in difficoltà con il lavoro 
(quindi, un governo insieme al mite e leale Bersani, soprattutto con Lei 
(altri nel Pd non ne vedo); 
2. dare la fiducia a un governo disponibile a mandare a casa, in qualche modo, 
anche semplicemente strappando loro la possibilità di incidere negativamente
nell’azione legislativa, prima e subito, Razzi e Scilipoti e tutti gli altri parlamentari 
già noti per l’acume servile di aver votato per “Ruby nipote di Mubarack” 
(quindi un governo insieme al sincero Zanda, disponibile a scrivere e approvare 
una legge per l’ineleggibilità del Capo di Razzi e Scilipoti e di tutti i “mubarackiani” 
(e mandare a casa significa, in verità,  anche evitare che i mubarackiani, 
e il gran Capo di riferimento, possano incidere nella conduzione del governo ; 
3. preparare, in questo modo, la Presidenza della Repubblica, presto, 
all’ottimo Stefano Rodotà, impedendo all’ottimo Presidente Napolitano,  
il richiamo del passato migliore, di stabilizzare la politica sbagliata 
e conseguente dell’anomalia italiana.
Difficile Signor Grillo, alla fin fine, La prego, faccia con Bersani, 
per questo nostro povero Paese di troppi italiani con “ben animo
di schiavi” (Gobetti) e sempre acclamanti un Salvatore, una cosa nuova e difficile, 
magari seguendo Rodariliberare gli schiavi che si credono liberi.

O  no?
Severo Laleo

venerdì 19 aprile 2013

Ora tutti contro il Pd. E Bersani.




Ora tutti contro il Pd. E Bersani. Va bene. Tanto è il ritornello
più diffuso in ogni capannello reale e virtuale. Un ritornello scaturente 
da un vecchio modo di leggere la politica.
Eppure i fatti di oggi non si possono leggere con le idee di ieri.
Forse è possibile anche una nuova lettura dei fatti.
Una lettura, tutto sommato, che intravede nelle convulsioni
dei grandi elettori un inizio di incremento di democrazia.

 Se il Paese è cambiato, e Grillo è là a gridarlo/dimostrarlo
 in ogni piazza, è cambiato anche il Pd. E’ cresciuta una voglia, 
spesso matura,  non solo di partecipazione, ma anche di voler “contare” 
nelle decisioni. Le persone parlamentari del Pd sono
già il risultato di un cambiamento nei rapporti tra elettori ed eletti.
E sono, in qualche misura, portatrici di  “grillismo” senza rete,
ma con un forte legame con le persone del territorio.
Conseguentemente sono cambiati anche i rapporti politici
nelle dinamiche di partito .

In verità, il reale cambiamento è nella libertà di espressione politica
del singolo. Una libertà personale forte, in relazione di ascolto non tanto 
con le decisioni di riunioni di partito, quanto con le richieste degli elettori. 
Il Pd si è rinnovato al 70%, e ha una consistente presenza femminile 
(se ricordo bene): le convulsioni sono quindi un segno vero di vitalità 
e cambiamento.

Nel Pd, è fin troppo semplice, non si vuole votare Marini, anche
se il segretario, il mite Bersani, ha un accordo con il Pdl;
nel Pd, è fin troppo semplice, non si vuole votare Prodi, anche
se il segretario, il mite Bersani, rompe con il Pdl.
Non si vuole Marini, non si vuole Prodi. Semplicemente.
E il necessario consenso non arriva. L’abitudine al silenzio ubbidiente, 
per fortuna, non esiste più. Ma non esiste ancora il coraggio di parlar 
con chiarezza democratica. Dov’è la caduta? Dove il terribile scandalo? 
Dove l’errore di Bersani? Nel suo credere nel cambiamento?

A  me questa libertà di espressione del voto in dissenso
pare un felice compimento del cambiamento , una prova
di nuove, in carne ed ossa, presenze pensanti, spero libere, 
all’interno del Pd; ed è anche un merito di Bersani; non posso credere 
che giovani parlamentari elette/i per la prima volta
siano già schiave/i di qualche capo corrente, pronte a giocare 
per lotte intestine sul futuro del Paese. Se fosse così la libertà del paese
sarebbe a rischio. E tutto il nuovo, Renzi e renziani, sarebbero 
una bruttissima copia del già visto. Al contrario credo sia tutto una naturale 
conseguenza della preziosa libertà del cambiamento,  
da coltivare, da riempire di condivisione, da elevare a bene comune, 
da trasformare in servizio nell’interesse generale.

Voglio quindi sperare in un’uscita dalla crisi nel Pd con un incremento 
di democrazia. Anche perché il futuro non sarà d’ora
in poi nell’abilità di un leader, qualunque nome porti,  ma nell’aggregarsi 
del libero convincimento di ogni singola persona parte integrante 
del circuito decisionale. Una specie di democrazia diretta, non di rete, 
ma di relazioni tra persone civili.
O no?
Severo Laleo




P.S. Un'ultima cosa: ritengo non giustificabile, qualunque sia l’intenzione,  
la pratica, inaugurata da SEL, la mia parte, di far riconoscere il voto 
dei grandi elettori, attraverso la scelta
di scrivere “R. Prodi” nella scheda elettorale.
In una società civile e moderna la dignità del voto segreto deve essere 
sempre rispettata, a prescindere, e la sinistra non può essere prigioniera, 
se vuole costruire una società “conviviale”, della solita e vecchia (sotto)cultura 
italiana del sospetto, con l’aggravante di vent’anni di berlusconismo. 
Mannaggia, forse se si fosse resa obbligatoria nelle scuole, 
con una semplice ora settimanale, l'educazione etico-politica, 
oggi, saremmo un Paese esente dal ricorrere a stratagemmi per….

giovedì 18 aprile 2013

A proposito di “tempo” in politica




Nei giorni scorsi il ritornello, noioso, e senza utilità,
di uomini politici, Renzi sopra tutti,
e di imprenditori, Squinzi sopra tutti, è stato unanime:
fate presto, il paese brucia”.
E l’invito era per Bersani, perché trovasse un accordo. Con il Pdl.
Subito.
Alla fine Bersani cede, e, per far presto, incontra Berlusconi,
e propone un candidato gradito al Pdl, Marini. Accordo ok.
Il Pd a maggioranza approva. Per far presto. Alla prima votazione.
Ma i sostenitori del “fate presto”, e del “decider alla svelta, purché si decida”,
scoprono la dimensione politica del tempo: e a ragione.
E per fortuna. E salta la prima votazione, e si sceglie di aspettare.
Ancora.
Forse il tempo in politica, se usato a proposito, è una risorsa.
Sempre.
Il “decidete, purché decidete in fretta, che il mondo corre” pare,
ora, un’inutile strumentale retorica.  

O no?
Severo Laleo

I larghintesisti e Bersani, il più coerente tessitore del cambiamento


Bersani, comunque vada, avrà il merito di aver spalancato la porta, in questo nostro Paese di pastette, a:
1. un dibattito politico pubblico, aperto, spesso bollente, a volte sofferto, persino in streaming;
2. un processo, per ora iniziale, di trasparenza/libertà dell’agire politico, anche attraverso un rinnovamento della classe dirigente,
e di presenza di donne, in Parlamento di significativo rilievo;
3. un cammino,  in una parola, verso il “nuovo”, una democrazia, cioè, a misura di persone, oltre le prepotenze dei tanti burattinai della politica degli ultimi vent’anni;
4. una vittoria, sia pure parziale, di un programma di centrosinistra,
senza ambiguità.

Perché:
Bersani, pur designato per statuto candidato premier, ha chiesto
e ottenuto le primarie: e ha aperto seriamente un dibattito serrato
nel Pd, alla luce del sole;
Bersani ha vinto le primarie: e ha proposto e ottenuto
il rinnovamento serio della rappresentanza parlamentare
(più di quanto un “segretario” o “leader”, nel presente e nel passato,
abbia mai realizzato);
Bersani è il primo segretario Pd a ottenere l’incarico di formare
un governo, solo per un favorevole esito elettorale: e ha proposto, con sicura insistenza, un serio governo di cambiamento,
oltre il berlusconismo, in linea con il risultato elettorale generale;
Bersani, per il suo insistente atteggiamento di rifiuto delle larghe intese per un governo insieme a Berlusconi, ha subito attacchi
un po’ da tutti, anche insultanti, da destra, dal centro, dal M5S
e da parte del suo partito: ed è stato richiesto/pregato di accogliere
le larghe intese pur di far presto (la retorica del far presto ha anche raggiunto livelli insopportabilmente inutili e strumentali, alla Renzi);
Bersani, incontrando Berlusconi, a prescindere, immagino,
dalle insistenze dei tantissimi larghintesisti,  si lascia proporre,
dal Cavaliere, per il Quirinale, un nome, Marini: e ottiene una rivolta nel suo partito, efficacemente ampliando così, alla luce del sole,
la schiera libera e senza paure dei contrari a un accordo di governo con Berlusconi.

E’ la vittoria di una linea politica, chiara, coraggiosa, svelatrice, e di rottura, di ogni disegno conservatore, al di là della “carriera
di Bersani (e non riesco a immaginare un Bersani non statista).

Comunque vada, Bersani ha contribuito, non senza qualche cedimento, a trasformare l’agire politico, e soprattutto a “svecchiare” questo nostro Paese di pastette, e sempre a rimorchio di Berlusconi.
Oggi forse non è più così. Comunque vada, anche con Marini (meglio senza).

O no?
Severo Laleo

martedì 16 aprile 2013

Renzi e la lettera a la Repubblica. Qualcosa non funziona


Se Renzi ha scritto di suo pugno la lettera a la Repubblica, in pratica per offendere, con l’argomento della strumentalizzazione della fede,
un importante, per storia e impegno, compagno di partito, il sen. Marini,
per il “nuovo” che avanza nella vita politica del nostro Paese si tratta
di un tuffo perfetto nel passato più sleale e ambiguo.
Non è infatti chiaro, né leale, e quindi ambiguo, perché un uomo “nuovo”,
quale Renzi si crede sia, tanto impegnato nei “faccia a faccia”, decida d’urgenza 
di scrivere a un giornale per parlare, senza limiti, con un suo autorevole compagno 
di Partito. Qualcosa non funziona.

Nel 2013, noi si crede, non esiste persona in Italia preoccupata delle idee religiose del proprio Presidente. La laicità, almeno in questo caso, è un dato
di fatto per sempre acquisito. Se esiste ancora una “prassi” per la quale si tende
a  rispettare, in qualche modo, per l’elezione del Presidente, un’alternanza
tra un “non credente” e un “credente”, è proprio per un retaggio del passato, quando in Italia… . Ma oggi?

Tutti gli argomenti di Renzi, sul punto, sono vecchi, vecchissimi, e sono solo suoi, difficilmente condivisibili, anche dai suoi “seguaci” (ma quando finirà l’abitudine a “seguire” un capo, in un paese aspirante a una democrazia delle persone, libere e in autonomia di scelta?).
Nuove, purtroppo, sono solo le inutili offese e fuori luogo le fragili riflessioni 
(si fa per dire!) in materia etico-politico-religiosa. Ecco, nell’ordine,:
a. le offese:
ricordare a Marini l’insuccesso elettorale (ma l’insuccesso elettorale non è qualità di una “persona”; guai se fosse così: basta citare, a controprova, le qualità, grazie al successo elettorale, di Razzi e Scilipoti, qualità, nel caso, trasferibili al benefattore Berlusconi);
attribuire a Marini la “colpa” di aver preteso la sua candidatura a Presidente della Repubblica, strumentalmente, in virtù della sua fede cattolica;
b. le riflessioni:
 fuori luogo e fuori misura, retorico, datato e, quindi, vecchio, molto vecchio, il suo “outing” di fede (la propria vita di credente/non credente appartiene all’intimità di una persona); con una precisazione: sul Vangelo “non si giura”non è una Costituzione, il Vangelo si vive, meglio se in silenzio, e “l’ispirazione religiosa” non sempre è “molto utile” alla società, anzi, la storia insegna, spesso, diversamente;  
 fuori luogo il paragone tra i tempi di scelta del Papa nel Conclave e i tempi e le modalità di scelta del Presidente della Repubblica (e del Governo) nelle aule del Parlamento; 
senza senso, completamente fuori luogo, finanche irrispettoso, l’inserire, in un contesto “povero”, di sole beghe di politica,  una lode del Papa nuovo degna di altra sede, con un paragone infelice tra la scelta di Bergoglio, il Papa dell’”innovazione”,  e l’eventuale scelta di Marini, il Presidente, della “conservazione”,  in breve, tra un Bergoglio che parla al “cuore”, e un Marini che parlerebbe a chissà (e quale potrebbe essere “la rara bellezza” in un Presidente?); 
 fuori misura anche la convinzione di un rapporto strettissimo (da noi, in Italia!), tra l’altro, falsa storicamente, tra “tradizione cattolica” e  “visione etica molto rigida”, definita “perdente”, fino ad attaccare i “moralisti, senza morale”, sempre pronti a “pretendere posti”; ma qui la chiarezza di Renzi, quel suo famoso parlar chiaro, cede al peggiore e vecchio e tortuoso politichese; 
che dire di quel paragone, questo sì oltre ogni limite, fuor di senno,
tra l’”entusiasmo” di Pietro, il Santo, e il “chiavistello” di Marini, il Senatore? 
e che dire di questa dichiarazione di sofferto scandalo:Mi vergogno, da cattolico ma prima ancora da cittadino, di una così bieca strumentalizzazione”. “Bieca strumentalizzazione”: suvvia, nel 2013, semplicemente assurdo, forse solo democristiano d’antan
 infine, la riflessione finale è senza possibilità di replica, fuori da ogni possibilità di confronto politico: “Tanti, forse troppi anni di vita nei palazzi, hanno cancellato una piccola verità: non si è cattolici perché si vuole essere eletti,ma perché si vuole essere felici. C'è di mezzo la vita, che vale più della politica”. Solo l’assente Di Pietro potrebbe rispondere: che c’azzecca!

E, per finire, ecco anche un ultimo grave errore.
Renzi giustifica spesso le sue uscite con un insulso ritornello:
dico quel che milioni di persone pensano”.
Ora, ripetere “quel che milioni di persone pensano” non è di per sé
un bene, anzi, soprattutto non è il mestiere di un politico prudente
e  aperto alle “novità”.
Forse nell’attivismo dichiarativo e presenzialista del “leale Renzi
qualcosa non funziona. E sfugge, stranamente.

O no?
Severo Laleo

giovedì 11 aprile 2013

Grazie Reichlin



Condivido pienamente l'analisi di Alfredo Reichlin
e voglio qui riprodurla per esprimere sincera gratitudine,
anche per aver restituito il giusto significato
all'uso politico del "tempo" in questo difficile passaggio,
uso purtroppo ignoto e a commentatori a corto di idee, 
e a frettolosi dirigenti di ogni parte.
La politica non è l'esercizio dell'evidente aut aut all'interno 
delle vecchie logiche del politichese, troppo facile,
al contrario la politica è l'arte di sperimentare il nuovo 
attraversando nuove formule per il cambiamento, 
oltre le vecchie semplificazioni.
E Bersani oggi è davvero il traghettatore verso il nuovo.
O no?
Severo Laleo



 

Il compito del traghettatore

Alfredo Reichlin - L'Unità

di Alfredo Reichlin,  pubblicato il 10 aprile 2013 ,





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La lotta per impedire al Pd di governare (ricordiamo che si tratta del primo partito, che ha la maggioranza assoluta alla Camera ed è primo anche al Senato benché al di sotto, per non molti voti, della maggioranza necessaria) è aspra ma tuttora aperta. I giornali commentano il precedente del `76. Anche allora emerse dalle elezioni una situazione di ingovernabilità.


Pci e Dc ebbero più o meno gli stessi voti e ciò provocò, come ora, uno stallo. Il rischio fu superato dal «coraggio» delle «larghe intese», cioè dal coraggio di Enrico Berlinguer, il quale pur di evitare al Paese il trauma di un ritorno alle elezioni accettò che Giulio Andreotti formasse il governo, mentre il Pci garantiva l`astensione. Il cosiddetto governo delle «non fiducia». Ecco la «piccola» differenza da oggi. Sta nel fatto che le parti si sono invertite. Oggi è Berlusconi che non ha il coraggio e il senso di responsabilità che ebbe Berlinguer.


Non si esce da questa crisi senza un serio discorso di verità. E a me la verità sembra la seguente. Da un lato, per risolvere i drammatici problemi che massacrano il Paese, servono larghe intese (il Pd da solo non ce la può fare). E serve quindi tra destra e sinistra un reciproco riconoscimento. Dall`altro lato però la condizione è che la gente ritrovi un minimo di fiducia nella politica e che quindi non pensi che quattro signori si sono messi d`accordo tra loro per spartirsi il potere e risolvere i propri problemi personali. Il mondo, non solo nostro, ha un bisogno assoluto di giustizia. Se vede solo «un inciucio» è la fine.


Questa è la semplice verità. La politica sta perdendo tempo? Sì, certo. Ma sta perdendo tempo a fronte di che cosa? Cresce in me una profonda indignazione quando misuro la distanza tra il racconto miserabile della politica quale emerge da quasi tutti i «media» (merda più merda, con aggiunta di merda) e la realtà. La realtà di un Paese (uso le parole di Guido Rossi sul Sole 24 ore) che «degrada in pericolose disuguaglianze, nella disoccupazione, nella ignoranza, nella povertà e nella disperazione, come i casi di cronaca dimostrano». Mi indigna la grande menzogna che il Pd stia perdendo tempo per le ambizioni di Bersani. Bersani sta semplicemente cercando di fermare questa deriva. Sta quindi tenendo ferma la necessità di fare non un governo qualsiasi, ma uno capace di avviare sul serio qualche riforma. Ridare speranza, dire che si cambia pagina e si avvia finalmente un cambiamento. Non è chiaro? Perfino i cardinali hanno sentito la necessità di dire alt a questo spaventoso saccheggio di lavoro e di ricchezza reale, eleggendo un Papa col nome del poverello di Assisi. Ecco l`oggetto vero dello scontro. Bisogna dirlo con la semplicità e la chiarezza necessari. È evidente che, se non si parla così, la gente non capisce nulla delle dispute sul governo.


Noi siamo, ormai con tutta evidenza, di fronte non a una semplice crisi di governo ma a un passaggio d`epoca. Lo dico perché non si può ragionare di politica prescindendo dalla enorme novità di una situazione che travalica le vecchie regole del parlamentarismo e che presenta rischi enormi, e pericoli incombenti, insieme a opportunità nuove. Io leggo così anche le vicende del Pd. So anch`io che il vecchio equilibrio su cui si reggeva il Pd, e che in sostanza era il patto tra i vecchi soci fondatori (la sinistra Dc e la componente riformista e nazionale del Pci) non basta più. So bene che bisogna cambiare. I giovani hanno ragione. Ma allora si facciano avanti. Si guardino intorno. Gli altri partiti stanno molto peggio di noi oppure sono scomparsi. Non hanno retto al grande trapasso che è in corso anche nelle vecchie strutture parlamentari. La destra è spappolata, resta una grande forza perché i poteri dominanti, sia economici che culturali (i giornali, le tv) esistono, e contano molto, ma anche perché si regge sul potere proprietario di un miliardario.


Ma andiamo avanti. La Lega si è dimezzata. Il partito di centro attorno a Monti è fallito. Aggiungiamo l`esistenza di un partito teleguidato da un comico e da un signore che si chiama Casaleggio. E ancora il fatto che in gran parte del Mezzogiorno le libertà politiche e di voto sono condizionate pesantemente da organizzazioni criminali. Questo è il panorama. E drammatico. Significa che la democrazia parlamentare è davvero a rischio. Spero che si capisca perché mi ostino a difendere il solo partito esistente: il Pd. E lo consideri - piaccia o no - il presidio relativamente più forte della democrazia repubblicana. Ancora domenica 100mila persone sono andate a votare a Roma per le primarie con cui il Pd ha scelto il suo candidato sindaco di Roma. «Sciacquatevi la bocca», amici del Corriere della Sera. Quale partito conserva in Italia questa forza che è esattamente la nobiltà della politica, ciò che ci legittima a guidare il governo, e che si chiama partecipazione e democrazia?


Ma, in realtà è proprio questo lo scandalo. È il fatto che non siamo tutti uguali che spiega la violenza con cui certe forze ci attaccano, ci denigrano, ci dileggiano. E quindi capisco. Capisco tanti errori e debolezze, ma capisco anche il peso delle responsabilità che gravano oggi sulle spalle del segretario del Pd. Perciò è al centro di tutti gli attacchi. Pier Luigi Bersani è uno degli uomini migliori che girano per l`Italia. Ma non mi interessa tanto la sua persona, quanto il ruolo che svolge. Io non sono un conservatore. Credo che bisogna fare grandi cambiamenti. Ma per farli ci vuole oggi un traghettatore. Dopo il Pd c`è lo sfascio. Spetta quindi al segretario del Pd, proprio in quanto segretario, traghettarci oltre questa palude. Senza di che ogni compromesso diventa più difficile.

lunedì 8 aprile 2013

Roberto Reggi o la faccia tosta




Trovo in rete e leggo, a dir poco,  con sorpresa la seguente
notizia-dichiarazione (si fa per dire!):
Roberto Reggi, fedelissimo di Matteo Renzi, sostiene oggi
in un'intervista al Quotidiano Nazionale che «Berlusconi e Bersani
hanno paura del rinnovamento e in questo senso discutono
anche di un possibile governo» per sbarrare la strada a Matteo Renzi 
e «non solo a lui». Tra Pd e Pdl, rincara, «mi pare che l'unica logica sia
quella di trovare un presidente della Repubblica che consenta
a Berlusconi di evitare i processi e a Bersani di formare un governo».

Questo “nuovo”, di cui è parte autorevole Roberto Reggi,
non finisce mai di stupire, specie se riesce a raccontare
di un’alleanza -udite, udite-, tra Berlusconi e Bersani per fare
che cosa?, per far fuori Renzi!

Ma quale idea di politica ha in mente quest’uomo?
E quale idea di partito ha in mente quest’uomo?
E quale opinione ha in mente quest’uomo del suo segretario?
E, soprattutto, quale idea di etica ha in mente quest’uomo?
Incredibile!
Se dovessi spiegare a qualcuno cos’è la “faccia tosta”,
potrei portare a esempio questa dichiarazione di Reggi.

O no?
Severo Laleo

Per il cambiamento bisogna saper resistere




In questo blog di “parole per una cultura del limite”, la lettera di Bersani 
a “la Repubblica” trova una sua naturale collocazione.
Con prosa scarna e limpida, quasi un’anomalia in un paese
di chiacchieroni e imbonitori, spesso populisti, Bersani pone
un limite:
sia a quel “puntiglio” rimproveratogli dai suoi detrattori,
con un “io ci sono, se sono utile. Non intendo certo essere di intralcio”;
sia ad altre proposte che non siano di cambiamento,
con un “ci vuole un governo, certamente. Ma…non un governo che viva 
di equilibrismi, di precarie composizioni di forze contrastanti, 
di un cabotaggio giocato solo nel circuito politico-mediatico”.
E insieme pone un limite definitivo –si spera- ai giochi e giochini della politica 
riservata ai pochi in incontri non pubblici; la diretta streaming dell’incontro 
con il M5S è una dimostrazione della sicurezza politica (che in altri 
–lo stesso M5S- s’è dimostrata strumentale) di Bersani – e torna a suo onore - 
nel discutere con chiunque alla luce del sole.

Ecco il testo della lettera:
Caro direttore,
nell'articolo domenicale di Eugenio Scalfari, insieme con tante considerazioni che mi trovano d'accordo, c'è un passaggio che mi offre l'occasione di una precisazione. Scalfari scrive: "Non condivido la tenacia con cui Bersani ripropone la sua candidatura". L'osservazione è inserita, al solito, in un contesto amichevole e rispettoso di cui ringrazio Scalfari. Devo registrare tuttavia che una valutazione simile si fa sentire anche in contesti ben meno amichevoli. Nelle critiche aggressive e talvolta oltraggiose di questi giorni, nelle inesauribili e stupefacenti dietrologie, e perfino nelle analisi psicologiche di chi si è avventurosamente inoltrato nei miei stati d'animo, non è mai mancata la denuncia verso una sorta di puntiglio bersaniano.
Ecco dunque l'occasione per precisare. La proposta che ho avanzato assieme al mio partito (governo di cambiamento, convenzione per le riforme) non è proprietà di Bersani. Ripeto quello che ho sempre detto: io ci sono, se sono utile. Non intendo certo essere di intralcio. Esistono altre proposte che, in un Paese in tumulto, non contraddicano l'esigenza di cambiamento e che prescindano dalla mia persona? Nessuna difficoltà a sostenerle! Me lo si lasci dire: per chi crede nella dignità della politica e conserva un minimo di autostima, queste sono ovvietà! È forse meno ovvio ribadire una mia convinzione profonda, cui farei fatica a rinunciare. Il nostro Paese è davvero nei guai. Si moltiplicano le condizioni di disagio estremo e si aggrava una radicale caduta di fiducia. Ci vuole un governo, certamente. Ma un governo che possa agire univocamente, che possa rischiare qualcosa, che possa farsi percepire nella dimensione reale, nella vita comune dei cittadini. Non un governo che viva di equilibrismi, di precarie composizioni di forze contrastanti, di un cabotaggio giocato solo nel circuito politico-mediatico. In questo caso, predisporremmo solo il calendario di giorni peggiori.

Credo si possa dire con tranquillità che tutte le persone oneste
e libere e riflessive di questo Paese non possano non accogliere
con favore le parole di Bersani.
Purtroppo intorno alle idee chiare di Bersani ruotano, anche nel suo partito, 
idee non altrettanto chiare, anzi ambigue, perché spesso dettate o dalla vecchia 
politica degli accordi di Palazzo, attenta solo agli interessi di pochi, a dispetto 
dell’evidentissimo messaggio elettorale (per la prima volta nella storia 
repubblicana, il centrodestra è minoranza nel Paese e quindi all’opposizione),
o dalle ambizioni personali di qualche novello leader, incapace, almeno per ora, 
di inserirsi nella “comunità politica” del cambiamento, ma pronto, al contrario,  
a perpetuare la dannosissima, per la democrazia, via del potere leaderistisco.

Oggi Bersani, segretario di un partito a struttura democratica –l’unico, in verità-, 
non solo, ma scelto a guidare il governo attraverso non forte consenso 
elettorale nel turno –anche questo democratico davvero- delle primarie, 
rappresenta la punta più avanzata del “cambiamento” e, forse, per questo 
è diventato, agli occhi e per le carriere di molti, inviso e pericoloso.

Se nel Partito, alla lealtà promessa a parole dai tanti –un giorno sarà più chiaro 
l’errore di chi chiede fretta-, fosse davvero seguita la lealtà praticata nei fatti, 
oggi il Pd sarebbe un punto di riferimento prezioso per questo caro Paese 
allo sbando. Ma, si sa, la sinistra …

O no?
Severo Laleo

mercoledì 3 aprile 2013

Renzi, il futuro è slow




Il mondo giovanile di oggi, trentenni inclusi, ha un’allegra, moderna
e irriflessiva fissazione per la velocità.
E’ una generazione quasi schiava della rincorsa alla velocità,
specie se si tratta di ADSL, fino a 100Mbs.
Anche Renzi è giovane, e la sua voglia di correre si spinge dall’ADSL 
fin nella Politica.
Ecco la sua recentissima affermazione: “Stiamo vivendo una situazione
politico-istituzionale in cui stiamo perdendo tempo,
e questo mentre il mondo ci chiede di correre
a velocità doppia”. A onor del vero, pur avendo elogiato
la “velocità doppia”, con più saggezza, Renzi conclude:
Io non so quale sia la soluzione per il futuro”. Bene, è segno questo,
per fortuna, dell’esistenza anche di una velocità compressa,
propria del “non so”.

In realtà, la velocità in politica non è di per sé una strada
per la soluzione dei problemi, specie in tempi di obbligati rivolgimenti
e di non avventati “cambiamenti”. E' solo un metodo.
La virtù di fondo, per cambiare, se non è l’”ostinazione” - Bersani insegna-,
sicuramente è la “pazienza”.
Così almeno canta un Gigi Proietti simpatizzante rivoluzionario:
E’ inutile che provochi/A me nun me ce freghi
La gatta presciolosa/Fece li figli cechi
Sei troppo sbaraglione/Co te nun me ce metto
Io batto n’artra strada/Io ciò pazienza aspetto.

La politica ha i suoi tempi, sempre, e la velocità è solo una variabile.
E la vita, si spera, avrà un futuro slow. Anzi, un futuro semplice:
più lenti, più profondi, più dolci (Alex Langer).

O no?
Severo Laleo

P.S. Con l'intervista di oggi al Corriere è arrivata anche la metafora
del calcio, ieri, per la meraviglia di molti, assente: "..si sta facendo melina".
Il quadro ora è completo. Eppure un Paese civile non ha bisogno di altri leader, 
decisionisti e frettolosi, ha bisogno di "più partito" e di estendere la pratica 
democratica, propria dei partiti moderni, anche alle altre forze, a finta democrazia.
Il male della nostra democrazia ha il nome di leader ademocratici
Bossi, Berlusconi, Casini, Di Pietro, Fini, Monti, persino Vendola
e ora Renzi. Solo il solitario Bersani resta un "segretario" al servizio del Paese.
Basta, imparino i "cittadini", meglio le persone, a "contare", 
con la partecipazione democratica diretta, non solo in rete,
ma anche con scambi "conviviali", magari con nuove regole di trasparenza 
e nuovi metodi di selezione (ad. esempio anche il sorteggio), e rifiutino l'idea 
di risolvere i problemi del Paese con la scelta di un leader, guarda caso sempre 
un maschio da noi, al quale affidare le meravigliose decisioni


lunedì 1 aprile 2013

Vorrei Presidente della Repubblica…




Anch’io, nel rispetto di una nostra, molto italica, tradizione
di pratica della “selezione”, ho i miei candidati ideali
per la Presidenza della Repubblica.

In verità, se la cultura maschilista di ogni civiltà (si fa per dire!) umana 
non avesse “creato” e imposto l’unità della rappresentanza del potere
in una figura singola, cioè nel “monocrate”, simbolo vivente del monocratismo
proporrei, per la Presidenza della Repubblica, non una figura singola, 
ma una coppia, un uomo e una donna, simboli viventi del bicratismo.
Ma questo è molto di là da venire, e lasciamo, quindi, perdere;
eppure, anche se non insieme, un uomo e una donna, proporrò.

Il mio candidato ideale e la mia candidata ideale non spuntano 
fuori dalla società civile, ma dalla più profonda e lunga travagliata 
storia politica di questo Paese. Nel bene e nel male.
Ma con un tratto comune, antico, ma scarso di questi tempi
di “burlesque”, liberale, trasversale, di destra e di sinistra:
la serietà personale, la serietà etica, la serietà politica.
In una parola: la “serietà.

Chi viene dalla società civile –e sarebbero molti le/gli aspiranti
dagli “alti” profili-, cioè dal di fuori delle dinamiche difficili
e contagiose delle baruffe dell’arte del governo, non è esente,
nonostante le più illustri competenze, da possibili errori
per un difetto di esperienza nei confronti di agguerriti litiganti 
nell’agone politico del potere, e tra questi qualcuno abituato
a ogni maneggio nei corridoi di Palazzo; litiganti vecchi e nuovi,
sia già sperimentati sia ancora da sperimentare, ridenti o urlanti,
ma tutti dominati da un’abnorme “pienezza di sé, oltre ogni limite:
e già, sono i “leader”!
A volte, l’aver frequentato esclusivamente un mondo “lindo”,
dove la scelta di comportamenti “nitidi” è dal contesto favorita,
non è garanzia di futura “solare” e resistente determinazione.

Al contrario, a chiudere, definitivamente, sia la stagione della Prima Repubblica, 
sia la stagione della Seconda, quest’ultima sconvolta dall'irrompere 
nella vita politica dei Bossi, dei Berlusconi, dei Terzi, dei Razzi/Scilipoti 
-e lascio la lista aperta-, credo sia un bene se sarà chiamato 
alla Presidenza della Repubblica chi quelle stagioni ha attraversato 
con grande dignità, con una costante, senza mai un minimo sbandamento, 
cultura istituzionale, con laicità, al di là delle personali visioni della vita, 
senza pregiudizi nei confronti di qualunque forza politica, con la fermezza 
dei propri convincimenti nell'attraversare sia la coalizione di centrodestra 
sia  la coalizione di centrosinistra, con una diretta esperienza, 
a volte anche sofferta, di tutti i “mali” di quelle stagioni, con un continuo impegno 
di lavoro nell'interesse generale del Paese, in una parola, 
chi negli anni trascorsi in politica ha maturato una riserva di saggezza, 
senza mai aver subito/imposto la logica del “leader”.

Chi? Tabacci e Bonino.

O no?
Severo Laleo