mercoledì 22 gennaio 2014

“Né Mussolini né Vittorio Emanuele hanno virtù di padroni, ma gli Italiani hanno bene animo di schiavi”



So bene, è una citazione inutile. Costringe a leggere e studiare.
Piero Gobetti, il liberale a schiena diritta e alta, intransigente
verso il potente Fascismo, è quasi sconosciuto. La colpa?
E’ facile: i partiti vecchi e “nuovi” hanno educato generazioni intere 
non al sentire profondo della libertà e della responsabilità personale,
ma alla pratica del potere e degli “inciuci” (il dialogo aperto è altra faccenda). 
E i “nuovi” virgulti, con un’idea “personale” di spirito democratico, 
comunque ammirati dal fascino di abilità (si fa per dire!) politica del “Capo”, 
sono già maestri nell’arte antica del maneggio e nuova dell’uso dei media.
Contro liberi cittadini. Forse per questo Piero Gobetti non riesce a diventare
 un esempio morale e politico per i giovani.

A volte per capire le trasformazioni di un Paese più di qualche libro
di sociologia politica può l’influenza. Sì, perché ti costringe a occupare il tempo 
a leggere di tutto, anche i commenti di tanti lettori agli articoli intorno 
alla nuova legge elettorale. Vien fuori, un po’ a caso, certo, un’immagine 
di un Paese liquidatorio, irriflessivo, scarsamente preparato, livoroso,
contro ogni logica e dato storico, nei confronti dei “piccoli”,
anche se partiti, tutto proteso a ridurre i ragionamenti
e a aggredire con insulti.
Incapace di interrogarsi sul senso della democrazia.
Si può sbagliare, ma è il risultato di anni di diseducazione,
di volgarità irrispettosa, di smania di “vincere”, a ogni livello
e dappertutto. Risultato anche di vent’anni di berlusconismo 
elegante”, e per “servi liberi”.
Vincere/vincente” è così nella sua insignificante neutralità
un nuovo metro di misura. E di valutazione. A prescindere.
Un esempio sintesi? Tra i più leggibili? Eccolo: “Insomma, vogliamo 
accettare le regole democratiche o no? Le primarie vanno bene solo 
se prevale chi piace a noi? Renzi ha stravinto (aveva vinto anche tra gli iscritti!). 
Allora lasciatelo lavorare, BASTA!”. C’è tutto.
Naturalmente, nel commento, il problema non è in quel “Renzi”,
i nomi cambiano, ma nella diffusione di una mentalità a delegare
senza partecipare. In una parola, la logica del “basta”.
Eppure voglio continuare a sperare. All’improvviso, quando c’è da decidere 
per il bene comune, il popolo dei referendum esce sempre. 
E vota.
O no?
Severo Laleo

P.S. Ecco, sempre per ricordare uomini attenti al dettato costituzionale 
e alla libertà del voto, la storia, da Wikipedia, di Epicarmo Corbino. 
Dal 10 maggio 1948 al 3 luglio 1951 fu deputato eletto
nel gruppo parlamentare del Partito Liberale, poi dal 3 luglio 1951 al 24 giugno 1953 
entrò nel Gruppo Misto al Parlamento. Successivamente formò un nuovo partito, 
l'Alleanza Democratica Nazionale (ADN), movimento nato per contrastare
la cosiddetta legge truffa proposta dal governo, a cui egli non aderì (e alla quale 
aveva tentato di opporsi anche in aula, proponendo una soluzione di mediazione, 
denominata "ponte Corbino"). Nel 1953, contro la cosiddetta “legge truffa”, 
che istituiva un premio di maggioranza per i partiti, singoli o apparentati tra loro, 
che avessero ottenuto la maggioranza assoluta dei consensi popolari, Corbino, 
dissentendo dal PLI, costituì l'Alleanza Democratica Nazionale. 
In questo modo si tolsero voti ai gruppi di centro (così come fece il gruppo 
Parri-Calamandrei a sinistra), e la legge non ottenne,
anche se per poco, l'effetto sperato”.
E dall’altra parte non c’era Berlusconi, inimmaginabile per quegli uomini 
democratici e rigorosi, ma il democratico Alcide De Gasperi!

martedì 21 gennaio 2014

Severgnini, Cuperlo e Renzi: lo stile è l’uomo



Severgnini a Ballarò, con un eccesso di leggerezza, giudica l'italiano 
di Cuperlo praticamente incomprensibile, addirittura 'non italiano' e, 
bontà sua, giudica un ottimo 'italiano' il parlar di Renzi. È cambiato il mondo, 
se anche un autorevole conoscitore della lingua italiana, non è più in grado 
di leggere, distinguere e capire le differenze. E quasi insulta ricordando 
in un passaggio l'invito (a Cuperlo!!!) a usare il congiuntivo.
Anche le persone corrette a volte cadono miseramente.
Anch'io voglio, via, con altrettanta leggerezza, esprimere un giudizio 
non solo linguistico, ma di stile dell'uomo.
L'italiano di Cuperlo, articolato e vario, a vocabolario ampio, 
a frase costruita con sapienza, è l'italiano di una persona perbene, mite; 
nessuna parola o espressione di Cuperlo potrebbe mai ferire qualcuno. 
L'italiano di Renzi è diretto, a frasi semplici, ricco di battute, 
dal vocabolario spesso insultante, specie quando parla degli altri, 
al contrario è plaudente quando parla di sé. E ha a tratti del violento 
il suo italiano. Ed è rude il suo sfottò.
Spesso  è sprezzante e meraviglia la pazienza remissiva degli interlocutori.
Anzi a volte la compiacenza sorridente dei presenti è al limite 
della soggezione.
Ad esempio, parlare del governo in termini di "strapuntini e sgabelli
offende il Primo Ministro (Cuperlo avrebbe un vocabolario rispettoso); 
dire ai piccoli partiti interessati a discutete di 'soglia' elettorale 
di “arrangiarsi” e attribuir loro, ripetendo un luogo comune 
(ah, gli stereotipi!), un potere di ricatto pregiudizialmente, 
è distruggere/negare la presenza dell'altro.
Non può durare. Abbiamo già consentito sbagliando in passato all'italiano 
(si fa per dire!) di Bossi e Berlusconi di sferrare ingiustificate bordate 
contro tutto e tutti. Non possiamo continuare su questo andazzo. 
Il rispetto deve diventare la cifra della nuova politica. 
Altrimenti è tutto come prima. 
E da Cuperlo anche Severgnini forse ha da imparare.
Lingua e stile. 
O no?
Severo Laleo


Renzi, Berlusconi: la “sintonia” della manipolazione



La nostra Costituzione è chiara anche a chi costituzionalista non è.
Innanzitutto, all’art.1,  afferma: “la sovranità appartiene al popolo,
che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”.
E la sovranità del popolo è libera, non può subire condizionamenti, 
non ha bisogno di guide, assolutamente non sopporta padroni, direi è assoluta;
il suo esercizio ha forme e limiti solo di forza costituzionale, non di altra origine.
E’ possibile essere sovrani se l’esercizio della sovranità ha strade “obbligate” 
per consentire a privati cittadini di contendersi il governo di un Paese? No.

Si rifletta. I cittadini sono sovrani. Perché sono elettori, con il potere
di scegliere i rappresentanti al Parlamento. Attraverso il voto.
E l’art. 48 stabilisce: “il voto è personale ed eguale –è scritto proprio così: eguale-
libero e segreto. Il suo esercizio è dovere civico”.
Il dovere civico di ogni cittadino è scegliere i rappresentanti
al Parlamento. Non altro. E il voto deve essere eguale, non può,
nel rispetto della Costituzione, avere effetti diversi e distorsivi.
Ed è compito dei parlamentari, se hanno un’idea di senso di responsabilità, 
legiferare e esprimere, sempre attraverso il voto, la fiducia al Governo.
La formazione del Governo ha altre regole. In Costituzione.
E hanno da essere rispettate. Troppi cedimenti, in questa direzione, 
hanno già ferito l’integrità dell’impianto costituzionale.
Ma in Italia, per raggiungere l’obiettivo della “governabilità”,
la parola magica a giustificazione di ogni manipolazione, si trovano facilmente, 
a destra e a sinistra, soprattutto per difetto di cultura liberale, i “manipolatori” 
di turno (il titolo di re della manipolazione spetta a Calderoli) delle leggi elettorali, 
pronti ad aggeggiare con le regole per inseguire scopi esterni alla ratio
di una legge elettorale, e trasformare i cittadini in elettori senza libertà di scelta e, 
impropriamente, perché non è nella Costituzione, in elettori di un “governo”.
Si tratta di un rimedio a una malattia di altre natura: l’assenza di cultura politica 
della responsabilità. Se i rappresentanti eletti non sono in grado di governare,
il problema non è nella legge elettorale, ma nella pochezza degli uomini.
Ma in Italia –e il nome Italicum questa volta è perfetto per esprimere
il nostro nazional carattere- tra cambiare comportamenti e cultura politica, 
si preferisce, contro Costituzione, la manipolazione: il voler piegare a forza 
un dato di fatto, di realtà, verso un risultato contrario per premeditazione, 
il voler aggiustare la realtà secondo gli interessi politici e di potere di qualcuno. 
Il solito!
E appare incomprensibile la disponibilità di uomini di cultura, costituzionalisti,
conoscitori dell'etica pubblica, a prestarsi in un'operazione consapevolmente 
volta a ottenere da una legge elettorale un risultato politico. 
Non è logicamente e politicamente ammissibile.E' forzatura antidemocratica.
Ed è il segno della crisi profonda della politica.
Ma in questo il nuovo segretario del Pd appare il più vecchio e determinato 
maestro di “manipolazione”.  Per raggiungere un risultato comunque 
e con il solito: ancora una ragione estranea alla legge elettorale. 
Nell’interesse del Paese?
Se sì, si chiamino gli elettori a decidere, sebbene la visione rude 
della semplificazione e i modi spicci dei più, in questi tempi infelici, 
non lasci ben sperare. Tranne se il popolo dei referendum 2011 non si sveglia.

O no?
Severo Laleo

domenica 19 gennaio 2014

Pd-Forza Italia: la violenza della “nuova” politica



A proposito di “cambiamento” nella politica italiana in giro
e in rete si trovano molto spesso entusiasmi esagerati e irripetibili insulti, 
raramente riflessioni ponderate. La velocità e i nuovi strumenti di comunicazione 
abituano purtroppo alla semplificazione smodata. E’ possibile un’analisi 
di semplice osservazione? Si può provare.

Alfano è il segretario del NCD e, per quanto voglia, non appare
un gigante. Anzi. Eppure oggi rappresenta, in qualche misura,
più di altri, la consapevolezza democratica del cambiamento.
Sì, perché ha abbandonato, non senza qualche rischio,
il suo “capo/padroneBerlusconi per non cedere a una dinamica politica
di tipo eversivo.

Letta è il Presidente del Consiglio e per quanto voglia non riesce
a governare con il gradimento  degli elettori. E’ fermo.
Eppure oggi rappresenta, in qualche misura,
più dei nuovi agitati e sempre in movimento dirigenti del Pd,
la consapevolezza democratica della necessità della mediazione,
lenta e solidale, per dar saldezza alla dinamica delle istituzioni.
Il cambiamento è possibile solo se le istituzioni tengono.
Ha separato senza traumi istituzionali il destino del governo
dal destino giudiziario di Berlusconi. Un impegno d’obbligo,
certo, vorrei vedere, ma un impegno difficile in un Paese
a creatività infinita per salvare i potenti di turno. E qualche beneficio 
è evidente, almeno per l’erario, in termini di spread.

In breve, in una contingenza emergenziale, Alfano e Letta,
con la collaborazione degli alleati di centro, guidano con fatica,
con errori, con incomprensioni, tra i mille attacchi
di un’opposizione spesso scomposta, tra pasticci incredibili,
il delicato passaggio al cambiamento, per una democrazia “normale”, 
dopo il ventennio dell’anomalia. Una guida, si sa,
a tempo, e segnata dalla decisione della Consulta sul Porcellum.
Ma questo passaggio verso il “normale” appare tortuoso.
E trova un oppositore forte nel Pd, nel suo segretario,
abituato a “non mollare”, e disposto a “giocarsi tutto
(ma quale mondo rivela questo linguaggio?).
Il nuovo segretario del Pd, in controtendenza, respinge
la normalità  e apre la strada a un nuovo corso.
Confermando l’anomalia, e interpretando una “nuova” politica, 
violenta nell’agire, nelle intenzioni, nel linguaggio.

E’ una violenza nei confronti di tutte le persone oneste,
anche di chi –figlio di un paese a diffusa illegalità- non ne vede ora tutta 
l’enormità, l’atto di incontrare un condannato per frode fiscale, 
ripeto per frode fiscale, qualunque sia il suo nome e il suo ruolo, 
per decidere di riforma elettorale e di cambiamenti costituzionali 
(per conferma si chieda a un qualunque cittadino svedese, olandese, 
statunitense, tedesco, escluso un russo ammiratore di Putin, se è legittimo, 
se non è violenza verso la legge, per un segretario di partito, di destra o sinistra, 
non fa differenza, concordare con un condannato per frode fiscale la legge 
elettorale: non capirebbero neppure la domanda … 
ma noi siamo nella “nuova” Italia); 
è una violenza nei confronti della libertà degli elettori, nella scelta
dei propri rappresentati in Parlamento, esprimere l’intenzione
di proporre una legge elettorale dove saranno ancora
dei “capi/padroni” (sempre maschi) a decidere le liste, quindi
a “nominare” fedeli esecutori, a prescindere dai possibili correttivi
a cura della “generosità” dei partiti (solo rappresentanti liberi
da condizionamenti possono lavorare per liberare gli altri
da altri condizionamenti, con beneficio della libertà di tutti);
è una violenza gratuita, e davvero fuori luogo e senza giustificazione, 
affermare la volontà di bloccare i “ricatti
dei piccoli partiti (chi non vede l’enormità di questo giudizio politico, 
chiuda pure qui la lettura), perché impediscono ai grandi
di correre liberi verso le magnifiche sorti e progressive.

Infine, e vale per tutti, è una violenza imporre il bipolarismo
per legge specie se si affida a un Parlamento eletto
con l’incostituzionale Porcellum il compito di cambiare le regole
e la Costituzione. Sempre se non si decide all’unanimità.
O no?

Severo Laleo

sabato 18 gennaio 2014

Il Pd e Berlusconi: se salta il limite, la democrazia sbanda



Il Pd, insieme ad altri, e, per fortuna, insieme al M5S, espelle
dal Senato Silvio Berlusconi per indegnità.
Indegnità morale.
Il Pd, al Senato, non riconosce a Silvio Berlusconi, condannato
per frode fiscale, il reato più odioso contro la coesione sociale
di una comunità democratica, la dignità di poter “parlare
dei problemi della Nazione.

Eppure Renzi, il segretario di quello stesso Pd,
rapido, intrepido nel non mollare,
nonostante l’opposizione di una parte del Partito,
sconfessa i senatori del Pd,
salta/aggira il limite dell’indegnità morale,
e invita l’”espulso  dal Senato” a casa sua,
nella casa del partito di De Gasperi e Berlinguer,
nella casa del partito della “questione morale”,
a “parlare” delle regole fondamentali di una comunità.
Incomprensibile. Ingiustificabile.

Che hanno da spartire le persone serie e oneste del Pd
con le ambizioni stravolgenti di questa ”nuova” classe dirigente
senza senso del limite?
Poco, molto poco. E la legge elettorale non c’entra.
O no?

Severo Laleo

mercoledì 18 dicembre 2013

Ancora gentile la rabbia dei forconi … alla Coop



E’ tempo di dolciumi d’ogni regione alla Coop. In bella mostra.
Per forza, è Natale e nasce Gesù. Bontà per tutti. E tutto torna.
Ma al banco del pesce voci agitate e aspre scivolano tra alici pazienti 
e ignari naselli.
So’ quattro mesi, signora … il mio capo è sempre senza soldi 
e non mi paga … quattro mesi … non so più come tirare avanti …
Una pausa. Un silenzio di solidarietà e, d’improvviso, da una sciarpa rossa, 
s’ode, in un crescendo coinvolgente:
La capisco signora … la capisco … mio marito proprio ieri 
ha perso il lavoro, dopo dodici anni … l’azienda  ha chiuso
i battenti … e buonanotte … ha capito come si fa? E abbiamo tre figli 
da crescere … e se perdo il lavoro anch’io è la fine … signora … 
ma io vado a Roma e li prendo a uno a uno a quelli là …”.
Altra pausa. Ancora silenzio di solidarietà, e un riflettere
di comprensione dell’intero banco del pesce.
Triste anche una cernia.

E arriva al banco del pesce, ancora tra le mani, attento a leggere l’etichetta, 
una  bottiglia di spumante, di quelle da adagiare con attenzione nel carrello, 
il soave signor Rocco e augura, sorridendo e potente, a tutti: 
Buone feste”.
La signora dalla sciarpa rossa, con la busta del pesce tra le dita,
si gira sulla sua destra, lenta e taciturna squadra quell’allegra
figura maschile dalla testa ai piedi, lascia cadere la busta
nel carrello, fa la sua piccola manovra di  retromarcia di posizionamento, 
ingrana la prima, s’avvia, s’avanza d’un passo,
si ferma, torna a girarsi, e
Grazie! Faccia almeno lei buone feste”.
….
Forse una soluzione è in arrivo. I nostri leader sono già al lavoro 
per un nuovo finanziamento ai partiti e una nuova legge elettorale. 
Per la serenità di tutti, a Natale.
O no?

Severo Laleo

martedì 17 dicembre 2013

Lavoro, verso, limite: è compito della sinistra (con SEL)



Si torna a parlare di riforma del mercato del lavoro.
Pare il PD abbia impresso un’accelerazione.
E subito torna principale, al centro di ogni discorso, il mercato.
Appunto. Il lavoro, dunque,  è da riformare, nelle sue regole,
per “liberare” il mercato da complicate pastoie,
perché l’impresa, agile, possa correre senza troppi freni.
E, si aggiunge, nell’interesse di tutti. A giustificazione.
Ma assente, o secondaria, è la preoccupazione per il benessere
di ogni lavoratore/lavoratrice, ovvero per le persone in carne e ossa.
Assente, comunque, è ogni idea civile di “liberazione” delle persone 
dai vincoli opprimenti del mercato, è assente, purtroppo,
nei responsabili dell’azione di governo,  la passione politica
per la costruzione di una società della “sollecitudine”,
del “care”, dove sia possibile praticare la cooperazione
e la solidarietà. Resiste solo la passione per il potere,
a prescindere dalle differenti, nel bene e nel male, visioni soggettive. 
Bisogna cambiare verso, si dice in giro, ma, attraverso pratici, in stile 
anglosassone, progetti di semplificazione normativa, a dominare è solo
la conservazione e non il cambiamento. Perché, se non si parte 
da una visione umanistica del problema lavoro, il verso resta sempre 
lo stesso; anzi è soltanto un’offerta di velocità, senza limiti,
per il neoliberismo. Cambia la velocità ma non il verso.
Eppure il verso è giusto, solo se torna a significare misura, limite.


E’ compito della sinistra (con SEL), con una lotta politica permanente, 
con mobilitazione sul territorio, circolo per circolo,  
imporre, con forza, per ogni discorso di riforma del lavoro, 
la realizzazione di quanto indicato nella Dichiarazione di Filadelfia
tutti gli esseri umani, quali che siano la loro razza,
la loro fede o il loro sesso, hanno il diritto di perseguire,
con eguali possibilità, il loro progresso materiale e il loro sviluppo 
spirituale, nella libertà, nella dignità e nella sicurezza economica”.
Nessuna politica è buona senza una politica della dignità.

Per questo è necessario, scrivono gli estensori (tra i quali Susan Georg
Serge Latouche, Edgar Morin) del Manifesto del Convivialismo
definire qualche limite: “Les États légitimes garantissent à tous leurs 
citoyens les plus paure un minimum de resources, un revenu de base
quelle que soit sa forme, qui les tienne à l’abri de l’abjiection de la misère, 
et interdisent progressivament aux plus riches, via l’instauration
d’un revenu maximum, de basculer dans  l’abjection de l’extrême 
richesse en dépassant un niveau qui rendrait inopérants les principes 
de commune humanité et de commune socialité. Ce niveau peut être 
relativement élevé, mais pas au-delà de ce qu’implique
le sens de la décence commune (common decency)”.

Porre un limite alla povertà, porre un limite alla ricchezza
ogni Stato a suo modo, è, almeno per la sinistra, un imperativo politico 
ed economico per salvare la dignità delle persone e insieme
la democrazia. La democrazia conviviale. Tra persone, alla pari.

O no?

Severo Laleo

domenica 15 dicembre 2013

Non dite per favore…



Non dite per favore che sono vecchio
(l’età non è mai vecchiaia per la politica),

non dite per favore che sono fermo al ‘68
(forse è vero, non riesco a scrollarmi di dosso don Milani),

non dite per favore che non voglio il cambiamento
(per una vita ho inseguito e insegnato il cambiamento),

non dite per favore che escludo i giovani dal mio sguardo
(sono stati i giovani tutta la mia vita professionale),

ditemi, invece, voi, come posso accettare le sintesi giornalistiche
(parole e racconti che diventano fatti)

dei Congressi PD e Lega
A Torino un giovane Salvini tira fuori
un “euro crimine contro l’umanità”,
a Milano un giovane Renzi,
dopo aver annunciato una “sorpresina”,
in stile comunicazione gioiosa d’attesa,
chiede a Grillo:  “ Io -cioè Pd- rinuncio a rimborsi, se appoggi riforme. 
Beppe -cioè M5S-, firma qua. Altrimenti sei un buffone”.

E ditemi come posso fare ad abituarmi a questo linguaggio,
a questa politica, a questa stampa, a questi leader, così schiacciati
sul “gioco” della politica, in assenza di profondità.
quella profondità che sola guida i passi della Politica.

Se ancora spero nella “rivoluzione più grande,
che ribalta il sistema dei valori oggi dominante:
dallo spirito della guerra alla cooperazione e all’empatia;
dalla competizione alla convivialità,
dal primato dei beni materiali alla conoscenza,
alla cultura, all’arte” -a voi il compito di ritrovare la citazione-,

se ancora leggo Olof Palme
"La mia fondamentale conclusione è la seguente: dobbiamo adoperarci 
per vivere in una comunità in cui la solidarietà sociale abbracci tutti
i suoi membri con un potere di empatia in cui ognuno si fa carico 
della qualità della vita degli altri con un sentimento
di responsabilità e di partecipazione che supera gli egoismi individuali. 
Una società, cioè, in cui non c'è un "loro" e un "noi" ma c'è solo un "noi". 
Questa è l'idea di base di una riforma democratica della politica 
che può trovare un equilibrio tra la giustizia sociale e la libertà individuale" 
(Olof Palme, in Aldo Garzia, Olof Palme Vita e assassinio di un socialista europeo, 2007),

non dite per favore che sono vecchio:
è più facile che siete voi ad aver perso ogni speranza.
O no?

Severo Laleo

sabato 14 dicembre 2013

I Forconi? “Fanno bbuono”



Questa volta, il mio amico Scapece, napoletano, mi ha sorpreso,
lui sempre così disponibile e tranquillo. Chiacchierando con lui
al telefono del più e del meno, è capitato che mi sono lamentato 
della rivolta dei “forconi”, delle loro violenze sparse per l’Italia, 
della vicinanza di questi strani manifestanti con l’estrema destra, 
insomma di questo clima di ribellismo di fascista  memoria.
Sì, ho detto proprio fascista. Perché no?
Ma Scapece mi ha subito interrotto, e non per consolarmi
con un “vabbuò”, ma per marcare, con un improvviso
e determinato ”fanno bbuono”, il suo dissenso.

Se anche il mio carissimo amico si schiera, almeno a parole,
con i “forconi” (meglio, “Movimento 9 Dicembre”) qualcosa
non torna e forse il fenomeno è da capire meglio.
Allora cerchi di leggere nei volti delle persone e trovi artigiani, agricoltori, 
piccoli imprenditori, commercianti, debitori di banche, disoccupati 
e precari, tutte persone vittime di questa crisi persistente e senza via 
d’uscita. Persone arrabbiate e senza punti di riferimento nella Politica
perché tutta la politica, la nostra politica è senza più partiti, è ridotta 
a scontri personali tra vocianti leader. Sempre in vista di elezioni. E basta!

Però con il mio amico ho insistito: “Hai visto i loro capi? 
Li hai sentiti parlare? Ti sembrano affidabili? Hanno tirato fuori 
anche i “banchieri ebrei”? So’ matti, dai!
E Scapece non ha risposto, e ho visto per telefono le sue spalle alzarsi. 
Ha ragione. La rabbia nasce da condizioni di sofferenza reale. 
Sarà bene tenere gli occhi aperti e una mano pronta.
A sinistra. Anche perché, da Bari, il Movimento lancia le “Assemblee Sovrane” 
per “una più ampia partecipazione diretta dei cittadini a tutte 
le decisioni che influenzano la nostra vita….
È assolutamente necessario riappropriarci della sovranità
che la Costituzione della Repubblica attribuisce direttamente
ed esclusivamente al popolo italiano e non ai ristretti circoli
dei partiti o peggio ai loro segretari e proprietari".

Sovranità, partecipazione diretta, Costituzione … il fascismo è lontano, 
ma il rifiuto dei partiti e dei  loro segretari e proprietari, se è condivisibile, 
nell’immediato, soprattutto per le responsabilità di una classe dirigente 
inaffidabile e individualista, non può comunque essere a lungo tollerato.
Forse è arrivato il momento per l’area ampia della sinistra
di aprire porte e finestre e buttarsi per strada tra le persone
e fare politica. Anche per costruire la nuova democrazia conviviale.
O no?
Severo Laleo




giovedì 12 dicembre 2013

La Seconda Repubblica e la sua democrazia dei “popoli”



Martedì sera a Ballarò, l'intellettuale Marc Lazar, forte della libertà 
dell'osservatore neutrale, dichiara, con grande semplicità, una verità 
difficilmente contestabile: "Renzi è figlio di Berlusconi, almeno 
per quanto riguarda la comunicazione politica".
Indubbiamente ha ragione. E si può anche andare oltre. 
E affermare una continuitàdi metodo di lavoro politico tra Berlusconi 
e Renzi, passando per Bossi e Grillosenza tacere di altre analogie.
Berlusconi ha costruito il suo successo elettorale, non su una partecipazione 
reale delle persone al progetto politico di cambiamento, ma su un'idea 
di 'rottamazione' dei politici per mestiere, utilizzando messaggi 
di propaganda politica di stampo pubblicitario
attraverso le tv, usando un linguaggio immediato ed emotivo, 
ricco di barzellette, con ritornelli ripetuti fino all'esasperazione, e grazie 
anche a una estesa proprietà di giornali e tv, e a tanti, tanti soldi. 
E, ad abundantiam, dando ampio risalto alla sua fissazione, comune
all’italiano medio maschio, del pallone e del mito del latin lover elegante 
(s’è visto!). E alla fine è riuscito a costruire un “suo popolo”,
non tanto per la bontà del programma (una volta la parola d’ordine 
era “la rivoluzione liberale”, ora è "via l’Imu"!), ma per l’efficacia 
del messaggio gridato di “rivoluzione” e cambiamento
Il popolo di Berlusconi, a prescindere da ogni forma di partito 
è ancora in vita. Perché esiste a prescindere da un Partito.
Anche Bossi, nel suo piccolo, ha avuto un “suo popolo”, 
all’inizio coincidente con il “popolo della Lega”, un popolo stretto 
in un legame indissolubile con il 'capo', grazie, anche qui, 
a un'idea di “rottamazione” di tutta la classe dirigente centrale
(Roma Ladrona) e di cambiamento generale. Anche Bossi usa 
un linguaggio irripetibile, ricco di trovate e battute volgari per chiunque 
abbia un senso minimo di educazione e di civiltà del rispetto.
E, ad abundantiam, non praticando Bossi il ruolo del latin lover
ha voluto, bontà sua, rappresentare tutta la sua potenza di maschio 
regalando alla politica italiana la teoria del 'celodurismo'.
Grillo ha costruito il “suo popolo”, i grillini, sia con l'abilità vociante, 
piazza per piazza,  del comico intelligente osservatore dei mali di una società,
abile nell’usare un linguaggio aggressivo senza toni soft, e nell’introdurre 
nella politica italiana le adunate del 'vaffismo'. E’ stato Grillo,
sia a inventare la rete, strumento di dibattito largo e trasparente, democratico
per eccellenza (è un suo merito!), sia a trasformare, con le sue stesse mani, 
questa rete in strumento di comunicazione unidirezionale e di controllo.
Anche Grillo deve il suo successo, non tanto a un programma convincente, 
quanto a  un'idea di “rottamazione” della politica tout court, per la quale 
nessuno si salva e solo il “tutti a casa” rigenera il Paese. 
E il cambiamento diventa palingenesi. 
Bossi, Berlusconi e Grillo ognuno con il suo popolo, ognuno 
con la sua idea di rottamazione, ognuno con il suo linguaggio diretto 
e ripetitivo, ognuno con le sue barzellette, con le sue sparate volgari, 
con le sue stilettate di satira politica, ognuno con i suoi  proclami 
di “cambiamento”.  
E tutti maschilisti al massimo grado, a propria insaputa. E tutti impegnati 
a realizzare un seguito elettorale e non una partecipazione reale 
delle persone al progetto politico di cambiamento, una partecipazione, 
di e tra persone, alla pari, propria di una partito moderno e democratico.
Ora anche il Pd, il solo o quasi ad avere un'idea sia pur minima di partito,
ha ceduto le armi dinanzi alla rivoluzione nella comunicazione politica 
di Berlusconi, e alla sua idea della politica come “rottamazione” 
e ha trovato finalmente in Renzi, il figlio di Berlusconi. Grazie al PD, 
e ai suoi dirigenti,  Renzi ha ormai un “suo popolo”,
conquistato con la stessa idea di politica dei suoi grandi predecessori, 
con la differenza di predicare la  rottamazione non degli avversari, 
ma di una classe dirigente interna al proprio partito, stranamente 
con la complicità dei rottamandi (i quali comunque hanno tanti altri torti
politici), un popolo conquistato con un linguaggio diretto, 
ricco di battute, dove le metafore del calcio rinverdiscono passioni 
tra compagni, maschietti, di ogni colore politico (ma è merito di Renzi 
la reale pratica delle pari opportunità), dove l'obiettivo del messaggio 
è la conquista di voti dappertutto. Per vincere. 
Il copyright del metodo è di Berlusconi.

Il più grande errore della sinistra è stato nell'aver impedito al suo interno
l'esplosione di una vita democratica, tanto decantata contro gli avversari
quanto rinnegata al proprio interno, nonostante i tentativi di Bersani.
Ed ora si trova a essere popolo elettore e non protagonista di elezioni.

Anche il successo delle primarie, da tutti sottolineato acriticamente, 
non è il successo del Pdnon è un successo della democrazia 
della partecipazione, o solo della mobilitazione di un partito, no,  
è solo il successo di Renzi. Tutto il popolo di Renzi, tutto,
grandemente motivato, si è presentato ai gazebo per vincere
per ora attraverso la rottamazione di una classe dirigente.
Chi continua a credere, marchiato dalla passione dell’uguaglianza 
del ’68, convinto del valore della partecipazione da esercitare all’interno 
dei partiti, nel rispetto di regole di partecipazione democratica e trasparente, 
vede un pericolo, per l’estensione della democrazia, 
nella riduzione/trasformazione delle persone in semplici elettori 
e non in “sovrani”.
Eppure segnali di novità per estendere la democrazia non mancherebbero, 
dal Manifesto fondativo (disatteso) di SEL, al viaggio di Barca 
nelle “sezioni” del Pd, al referendum organizzato dalla Spd in Germania 
per richiedere l’approvazione al contratto di governo con la Merkel
al movimento dei convivialisti, al messaggio di Francesco di condanna 
del "depauperamento delle relazioni interpersonali e comunitarie”.
E mentre un altro nuovo “popolo”, quello dei “forconi”,  avanza, 
è opportuno insistere: il nuovo non è nel “popolo” di qualcuno, 
ma nella partecipazione, di persone, tra persone, alla pari, una partecipazione 
reale, diffusa, trasparente, regolamentata alla costruzione responsabile, 
diretta di un progetto di società. Spero diventi il compito di una sinistra
responsabile, comunitaria, democratica, a "sovranità conviviale".
O no?
Severo Laleo


sabato 7 dicembre 2013

Primarie PD: la verità dall’Arcigay



A proposito di Primarie PD,  ha ragione il Presidente di Arcigay
"Il Cassero"  di Bologna,   Vincenzo Branà:
"E’ una gara tra tre maschi con un esercito di donne destinate
alla subalternità (prendetene coscienza almeno, vi prego) …
la corsa di tre uomini alla carica di leader è la dimostrazione
che le questioni di genere stanno ferme all'anno zero.
E questo per me è già motivo sufficiente per evitare questa consultazione”.
Ma alla fine Branà si lascia tentare e conclude:
 "Sono stuzzicato dalla voglia di andare a votare Civati.
Perché se lo merita e perché - sono convinto - siamo in tanti
a pensarla come lui. E per dimostrarlo bisogna accettare
di farsi contare. Non so, ci penso, deciderò".

Peccato! Il Branà scopre finalmente la verità di queste Primarie,
ma si lascia ingabbiare dal gioco dei maschi (nonostante un consapevole Civati).
Se fossi del Pd non voterei, perché non vorrei dare il mio assenso
a una visione della politica tutta fondata sulla lotta tra “capi”, monocrati 
più o meno assoluti, sempre maschi (almeno in Italia)
e molto spesso tifosi di calcio. Il monocratismo, l’idea di affidare
le sorti del Paese a una persona, a mio avviso, è l’esito storico
del maschilismo, non è una scelta razionale, è un dato,
ma non è più adatto, il monocratismo, a rispondere
alla comprensione/soluzione dei problemi di tutti.
Non riesco a vedere un futuro ancora dominato da giocatori
di pallone pronti a scontrarsi in campo, da spadaccini sempre
in duello, da affabulatori in gara perenne. E tutto su un palcoscenico 
da spettacolo. Per attori e conduttori. Per la "sovranità degli spettatori".

Ecco, preferirei una guida di coppia, un uomo e una donna, sempre, 
per un governo duale, mite, oltre le ambizioni personali, oltre qualsiasi 
accapigliarsi maschilista. 
Ma i tempi sono ancora maschi e per il bicratismo di genere
non c’è ancora spazio. Eppure "It's quite striking how complementary 
the brains of women and men really are".

O no?
Severo Laleo



Proporzionale? Maggioritario? Un punto di vista




Se in Italia un’intera classe politica, insieme a tutta la sua rete
di relazioni sociali, a ogni livello, alto e basso, ha mostrato nei suoi comportamenti 
quotidiani, ora apertamente, ora a sua insaputa, una propensione a un agire 
da cialtroni pronti, pur di far cassa, al più piccolo trucco di illegalità, fino a chiedere 
il rimborso di Nutella e Mutande Verdi, non sarà certo una legge elettorale
a cambiare le cose. Il cambiamento è un problema di cultura,
di cultura del limite. E di investimenti ponderosi, continui, per generazioni,  
nella formazione/istruzione. Per questo appare fuori luogo, non argomentato, 
il suggerimento di Napolitano secondo il quale le forze politiche, nel varare 
una nuova legge elettorale, sono chiamate a “ribadire il già sancito,
dal 1993, superamento del sistema proporzionale”. Come se tentare 
altre strade fosse rischioso, come se tornare al proporzionale fosse una sciagura, 
mentre continuare nel maggioritario fosse la salvezza.
Ma è così? 
Per un’analisi empirica, e per un primo assaggio di confronto, si scelgano solo 
questi parametri: la “qualità” delle persone chiamate
a governare e la “qualità” della corruzione politica.

La qualità delle persone
Nel periodo della Prima Repubblica, con sistema elettorale  proporzionale 
sostanzialmente puro, la difesa della libertà del voto, e della sua pari efficacia 
nella scelta dei rappresentanti della Nazione, era fortemente sentita al punto che, 
quando nel 1953 il governo De Gasperi tentò di introdurre un premio 
di maggioranza ( l’assegnazione del 65% dei seggi alla forza politica che avesse 
ottenuto almeno il 50%+1 dei voti), l’opposizione la contestò  duramente  
definendola “legge truffa”, perché stravolgeva la limpidità proporzionale 
del risultato elettorale. Se la “legge truffa” rimase senza applicazione è anche 
perché  la piccola formazione liberale scissionistica di Epicarmo Corbino impedì
alla  coalizione tra Dc, Psdi, Pli, Pri, Svp e Partito sardo d’azione
di superare il 50%+ 1 dei voti (la coalizione si fermò al 49,8%  e  l’anno successivo 
la legge fu abrogata). Senza l’opposizione, solitaria anche contro i partiti 
di appartenenza, di Corbino, e insieme di Parri,  Calamandrei e Codignola
la legge truffa avrebbe conseguito i suoi effetti.
Il sistema proporzionale puro dura fino al 1993.
S’apre con De Gasperi, si chiude con C.A. Ciampi; per riconoscimento unanime, 
due grandi statisti. La Seconda Repubblica, dapprima, per una spinta referendaria, 
nasce con un maggioritario con recupero proporzionale,
il Mattarellum, e, successivamente, per la fame di potere di partiti padronali, 
si chiude con il Porcellum, con lista di nominati e premio di maggioranza
in breve la famosa “porcata” (la facilità con la quale abbiamo accolto le volgarità 
nel discorso politico lascia già intendere la gravità della sconfitta della Politica, 
anche per il silenzio degli intellettuali). La Seconda Repubblica, con le due 
versioni di sistema maggioritario regala la possibilità di diventare statista 
a Silvio Berlusconi. Grande statista? Paragonabile a De Gasperi e a Ciampi
E per unanime consenso? E’ difficile dire.
In ogni caso. per una conferma circa le differenze di qualità
delle persone chiamate a governare nella Prima e nella Seconda Repubblica
valga qualche esempio. Al Ministero della (Pubblica) Istruzione il sistema 
proporzionale ha chiamato, per fare qualche nome, i Moro, gli Spadolini, i Valitutti
il sistema maggioritario Moratti e Gelmini;
al Ministero dell’Economia e Finanze il proporzionale ha chiamato
i Vanoni, i Visentini, gli Amato, il maggioritario Tremonti e Tremonti
al Ministero di Grazia e Giustizia il proporzionale ha chiamato i Martinazzoli
i Rognoni, i Vassalli, il maggioritario Mancuso (Mancuso!), Castelli (Castelli!), 
Mastella (Mastella!). Vogliamo continuare? Un nome per tutti: Bossi. Sì, grazie
al maggioritario, Bossi è stato Ministro (Ministro!) di questa Seconda Repubblica
Per fortuna, grazie alla lotta, ancora una volta solitaria e contro partiti ipocriti 
e sordi, di Bozzi e altri liberi cittadini, di spirito liberale, il Porcellum 
è stato spazzato via.


La qualità della corruzione
La Prima Repubblica ha prodotto Tangentopoli, anche con risvolti tragici, 
ma la Seconda Repubblica ha prodotto la Casta, una devastante diffusione 
della corruzione a ogni livello, anche con risvolti inimmaginabili per insolenza.
Ha scritto Giovanni Valentini, qualche tempo fa: “Ai tempi della vituperata 
Prima Repubblica, ci eravamo illusi – chi più, chi meno – che la “questione 
morale” fosse in realtà una questione politica. E cioè un problema 
di ricambio e di alternanza della classe di governo… Ma nella cosiddetta 
Seconda Repubblica, sommersa ormai da scandali di ogni genere e colore, 
abbiamo dovuto via via prendere atto che il malaffare e la corruzione 
non sono affatto debellati. Tutt’altro. E anzi, nonostante quel tanto 
di bipolarismo che siamo riusciti in qualche modo a innescare, 
la “questione morale” purtroppo continua come e anche più di prima”.

Caro Presidente, se è ora quindi di superare il proporzionale puro,
è anche ora di superare il maggioritario, comunque camuffato.
Resta il sistema tedesco. O svedese.
O no?

Severo Laleo