martedì 11 giugno 2013

Il centrosinistra e la banda degli irriducibili



Se il Pd, asse portante del centrosinistra, ha vinto questa tornata
elettorale amministrativa, dappertutto e nonostante tutto,
è per una ragione semplicissima: l’esistenza nel corpo elettorale, 
a prescindere, e nonostante tutto, di una banda di irriducibili. 
Antropologicamente irriducibili.

Non valgono i discorsi politici, le analisi dei sondaggisti,
gli studi intorno ai flussi elettorali: sono tutte chiacchiere morte.
Sì, perché al di là del voto minimale d’obbligo dei tanti clienti controllabili, 
e al di là del voto minimale d’obbligo dei tanti attivi
nella macchina elettorale, valgono solo gli irriducibili.
Sì, gli irriducibili, ossia tutte quelle persone educate al senso
del dovere e della responsabilità personale, sia in famiglia,
sia a scuola, sia in parrocchia, sia in qualche sezione/circolo di partito,
sia in qualche associazione di solidarietà.
Si tratta, in breve, di tutte quelle persone disponibili a “donare”
il proprio tempo per recarsi alle urne, e votare, non tanto per conquistare 
un “beneficio” immediato e diretto (ad esempio, rimborso IMU, condono edilizio), 
ma solo per non venir meno a un dovere civico e politico. 
Persone dunque con un’idea indefettibile della partecipazione. 
A prescindere. E nonostante tutto.

Ora, è abbastanza facile, soprattutto in questi tempi
di crisi economica e di sfiducia generale, contare le persone
con un forte senso del dovere e della responsabilità
in maggior numero, se Pagnoncelli è d'accordo, tra gli cosiddetti “perdenti”, 
tra i difensori della legalità, tra i difensori dell’ambiente, tra i difensori dei beni 
comuni, tra i difensori della dignità della persona, dovunque e comunque, 
tra i difensori della libertà di tutti dal bisogno. In altre parole,
tra quanti, da Treviso a Roma, hanno una grossa difficoltà culturale
a pronunciare dinanzi al generale disastro: “me ne frego

A questi irriducibili dell’”I care” deve il successo elettorale il Pd.
E a questi irriducibili deve dare risposte, perché solo questi irriducibili,
e molti sono di sinistra, meritano ora ascolto. Almeno per ora.
Forse Bersani, il mite Bersani, non aveva tutti i torti.
Per governare il Pd non ha bisogno di altri voti, non è necessario andare 
a scomodare nuovi leader, magari alla Renzi, solo per andare a catturare 
qualche voto nell'elettorato del centrodestra. Per vincere, non conviene. 
Del centrodestra torna utile l'astensionismo. Al centrosinistra conviene 
amministrare bene, nell'interesse generale, di tutti, in silenzio. 
Senza sbrodolamenti ambiziosi. Perché al centrosinistra bastano gli irriducibili.
O no?
Severo Laleo



mercoledì 5 giugno 2013

Ancora chiacchiere imbroglio tra i padroni della Politica

    
Ancora una volta chiacchiere imbroglio, tra i soliti padroni della Politica,
padroni comunque, sia se scelti per competizione democratica,
sia se osannati dai servi liberi per il carisma dei soldi,
sia se acclamati dal tifo dei fans per telemediatica fortuna,
sia se seguiti, nelle piazze e nel web, per rabbia di protesta.
E da padroni decidono sempre per noi e in nostro nome.
E per giunta contro di noi. Ormai quel leale legame tra esito
delle elezioni e tipo di governo è completamente ignorato,
anzi stravolto. E, peggio, d'accordo con Napolitano,chiamano responsabilità
il tradimento di impegni e valori per inseguire altro:
Il Potere e, insieme, le possibilità di arraffare il Potere domani.

Per questo ora le chiacchiere imbroglio hanno nomi importanti, e sono:
il presidenzialismo, il semipresidenzialismo, l’elezione diretta
del Presidente della Repubblica, sì, un po’ di roba insomma,
per stravolgere definitivamente la nostra Costituzione.
Quando Letta il suo governo l’ha definitivo di servizio, forse
s’è dimenticato di chiarire di chi? Oggi, è chiaro, è al servizio
di Berlusconi, scopertosi statista per imporre il presidenzialismo. 
Per sé, of course. Anche perché è una fatica, spesso onerosa, 
garantire posti ai “clienti”.

Lasciamo ai Saggi il compito di lavorare sul presidenzialismo, 
ma concediamo all’Elettore, in questo campo istituzionale,  
il dovere di pretendere, prima di ogni scelta in senso presidenzialista,
nell’ordine: 

una riforma dei partiti, con obbligo di democrazia interna
e trasparenza assoluta nei bilanci e nella selezione della dirigenza;

una riforma del finanziamento pubblico, da legare esclusivamente alla libera scelta di ogni elettore nel destinare il suo 1 x mille;

una riforma del finanziamento privato, da consentire solo a iscritti
(non è ammissibile –spesso è un privilegio da ricco signore-
il finanziamento privato senza condivisione del progetto politico);

una riforma per la parità di genere, in ogni assemblea elettiva,
in ogni commissione di assemblee elettive, in ogni organo
di governo (con invito a riflettere sull’opportunità di sostituire
ogni potere monocratico -troppo spesso maschile-
con una struttura bicratica -sempre un uomo e una donna-);

una riforma elettorale secondo costituzione, per consentire
all’elettore di scegliere il suo candidato e la sua candidata.

Ma se, per un caso di collettiva insania nel governo, dovesse passare una riforma in senso presidenzialista con elezione diretta del Presidente della Repubblica, si abbia almeno il pudore di introdurre una semplice norma transitoria. Questa:
Può essere eletto Presidente della Repubblica, per i prossimi venticinque anni, esclusivamente ogni cittadina che abbia compiuto cinquanta anni d’età e goda dei diritti civili e politici”.
E sarebbe una norma liberatoria. Ad personam.

O no?

Severo Laleo

mercoledì 29 maggio 2013

La Convenzione di Istanbul e la “presenza/parola” degli uomini



La discussione alla Camera sulla Convezione di Istanbul
è avvenuta in un clima d'aula di generale assenza delle persone,
un’assenza strillante e ingiustificabile, mentre auspicabile
sarebbe stata una composta presenza totale di persone attente,
vive, preoccupate, partecipanti, convinte, a una comune riflessione.
Ed eloquente sarebbe stata la presenza/parola degli uomini.

Purtroppo, a causa delle assenze, la discussione è avvenuta
in un clima sociale e culturale di indifferenza generale, colpevole, 
di cattivo esempio, irrecuperabile ex post con altre parole.

La "presenza e le parole", dovunque, soprattutto delle persone
degli uomini, quando si discute di violenza nei confronti
delle persone donne, sono fondamentali per una nuova cultura
dei diritti delle persone e segnano una presa di coscienza utile
per trovare le giuste misure per ogni azione di prevenzione,
a partire da un’educazione all'amore.

Sì, all'amore. Nelle scuole è arrivato, per fortuna, direi, 
nonostante un'ampia confusione di ruoli e di competenze,  
ogni tipo di educazione: alla cittadinanza, alimentare, alla sicurezza 
stradale, alla legalità, alla lotta al bullismo, alla pace, alla dimensione 
europea … ma mai un’educazione all'amore. 
E a volte, si è preferita un’educazione sessuale fine a sé stessa, 
senza ampliare il discorso ai diritti di ciascuna persona nella relazione
affettiva d’amore.

Questo blog di “parole per una cultura del limite” non vuole
alimentare l’indifferenza, e suggerisce un link sia per il testo
della Convenzione sia per una scheda di sintesi .

Questa volta l’indifferenza è colpa grave.

O no?
Severo Laleo


martedì 28 maggio 2013

Antistatista per sentenza: l’arte dell’occultamento





La sentenza della Corte d’Appello di Milano, Presidente la dott.ssa Alessandra 
Galli, merita una lettura integrale, o quasi, sia perché l’imputato è stato
Presidente del Consiglio, ed è ancora il leader di un partito, sia perché
l’eccellente imputato, spesso per difendersi, attacca e insulta, a volte anche oltre
ogni limite, e non da solo, ma con tutte le sue risorse, di persone e di attrezzature,
la Magistratura.
Un cittadino responsabile, attento alla dignità del suo Paese,
dovrebbe aver cura di conoscere i fatti processuali dell’ex Presidente del Consiglio,
e farsi una sua idea, senza tifare per o contro la Magistratura (in realtà, chi tifa,
insieme a chi alimenta il tifo, non intende seguire la fatica dei ragionamenti:
e l’Italia è purtroppo ricca di tifosi).
Per questo ho letto la sentenza a firma della dott.ssa Alessandra Galli, giudice 
rigorosa che ha fatto “della legge e della sua applicazione un culto 
e una ragione di vita (del resto, quando si ha un padre Magistrato  
di “altissima qualità”, ucciso dai terroristi di Prima Linea, serietà 
e rigore ti restano nella carne quasi a tener vivo ricordo e dolore). 
E dalla sentenza ho ricavato chiaro un monito:
se anche questa volta, noti i fatti esposti in sentenza, nulla cambia nella Politica, 
vorrà dire che questo Paese è irrimediabilmente stordito e confuso e non riuscirà 
più a trovare la forza necessaria per difendere la sua integrità politica di fronte 
al mondo. Anzi rischia di nuovo di cadere, ignorante, in una rissa tra tifosi.
Sì, perché Berlusconi coltiva da sempre una sua strategia nell'intraprendere 
un’azione. Egli sa, da buon utilizzatore finale, che la maggior parte dei suoi amici, 
collaboratori, dipendenti, elettori e interlocutori è sempre pronta a trovare 
un accordo di convenienza, nella logica del do ut des, sempre pronta 
a trattare sul “prezzo”, e molto spesso disponibile a chiudere un occhio 
e forse due, fin quasi a vendersi: i soldi, le prebende e i lasciapassare 
sono lì davanti a te, a portata di mano, irresistibili nel richiamo.
La “ditta” Berlusconi –a leggere la sentenza- ha dimostrato una grande abilità
nel compiere un’ “operazione di occultamento del reale risultato di imposta, 
attuato con la costituzione di un meccanismo di notevole accuratezza 
ed insidiosità, facendo larga profusione di società e conti esteri, 
così grandemente difficultando indagini e accertamenti
e costringendo pertanto l’organo accertatore –Agenzia delle Entrate
a un difficilissimo e dispendiosissimo compito…Si tratta di un’operazione 
illecita organizzata e portata a termine costituendo società e conti esteri 
a ciò dedicati, un sistema portato avanti per molti anni. Parallelo 
alla ordinaria gestione delle società del gruppo, sfruttando complicità 
interne ed esterne ad esso. 
Proseguito nonostante i ruoli pubblici asssunti”. Un “imprendere”,
quindi, continuo e senza scrupoli ai danni dello Stato. Pur nel ruolo 
di “uomo delle istituzioni”. Da vero antistatista, verrebbe da dire.

Ma oggi, Berlusconi, più di ieri, da antistatista, già peritissimo esperto di evasione 
fiscale, si scopre statista (e ci vuole coraggio a dare una patente di statista 
a chi è nemico giurato dello Stato!), e, dopo aver ridotto il suo “popolo” 
a clienti paladini della sua innocenza, tenta ora di attrarre nel vischio
della sua logica di conquistar connivenze, o almeno il silenzio, anche la classe
dirigente di questo disastroso Pd (ma non le persone del Pd, che sono già
da un’altra parte, per fortuna, a tenere alto l’onore dell’Italia), sia con la scusa
del suo “responsabile” appoggio al governo, sia spargendo, e inoculando
nei novelli interpreti dell’agire politico, tipo Renzi,  l’idea che non può essere
squalificato” dall'arbitro per le sue “scorrettezze”, ma deve essere “battuto
nel campo. Ma dov'è scritto?
Non sanno quei politici che si pur divertono a usare le parole del calcio per essere 
chiari nel discorso politico (in verità, impoverendolo alla grande), 
che se un giocatore semplicemente si permette di rivolgersi senza rispetto 
all'arbitro rischia l’espulsione e la squalifica? Che altro deve ancora fare
il giocatore Berlusconi per meritare la squalifica e perdere così il diritto 
di essere battuto sul campo?
Se la strategia continua, Berlusconi pare destinato a vincere ancora una volta, 
perché, se è riuscito a ridurre la “sua” maggioranza della Camera a sostenere 
plaudente la “Ruby nipote di Mubarack” (un imperituro primato, questo sì, a nome 
di Berlusconi, ineguagliato e ineguagliabile nel mondo), in un modo o nell’altro, 
ora con la propaganda del suo senso di responsabilità governativa, 
ora con la propaganda della sua persecuzione giudiziaria,  non faticherà molto 
a ridurre la classe dirigente del Pd (escludo con sicurezza solo Civati e Puppato),
a sorvolare, tanto che sarà mai!, sulla sua condanna, confermata in appello, 
a quattro anni di reclusione e cinque di interdizione dai pubblici uffici per frode fiscale.

In qualsiasi altro Paese sarebbe già obbligato, dai suoi (ma qui i suoi sono “suoi”!)  
a dare le dimissioni. A lasciare la politica, senza diritto di battersi, partecipando 
a nuove elezioni. Ma in Italia, dove le dimissioni sono di per sé rare, Berlusconi,
con la sua abilità di attrazione e con la sua immarcescibile resistenza, è riuscito 
a svuotare anche il gesto delle dimissioni del suo significato profondo, di recupero 
di dignità. E ha trasformato tutti i suoi elettori, i suoi alleati, i suoi interlocutori
in complici.
O no?

Severo Laleo

lunedì 20 maggio 2013

Riprendiamoci la parola per una sovranità conviviale




Dichiara il sindaco di Firenze Matteo Renzi,
con la solita mediatica sicurezza, a proposito del disegno 
di legge Finocchiaro-Zanda, presentato al Senato,
per la riforma dei partiti, nel rispetto dell’art. 49 della nostra 
Costituzione (in pratica, la fine per ogni partito e movimento 
senza democrazia interna):

Non sono d'accordo: è un modo per far vincere le elezioni
a Grillo e ai grillini. Quando si alimenta il vessillo dell'ineleggibilità 
per Berlusconi - te ne accorgi ora che fa politica da 19 anni? - 
e dici ‘non facciamo candidare Grillo’
fai un regalo a Berlusconi e Grillo.
Se vuoi vincere le elezioni non puoi squalificare gli altri.
Devi prendere il loro voto o gli italiani ti beccano”.

E ti accorgi sì, tu elettrice/elettore consapevole
sempre disponibile ad ascoltare, ti accorgi,
solo se rifletti appena un po’ [se vuoi, rileggi],
quanto sia lontano dal dolore delle persone,
per squallore di parole e di idee,
il “nuovo” discorso politico.

Non se ne può più. Basta. Prepariamo tra noi
un “convivio”, lungo, in ogni paese, sobrio
e mite, discorriamo delle nostre passioni e sofferenze,  
e riprendiamoci la parola. Sempre tra noi. Alla pari.
E sarà rivoluzione.

O no?
Severo Laleo





domenica 19 maggio 2013

Da Crisostomo a Papa Francesco: qualcosa non funziona




Di recente,  Papa Francesco, in un suo rituale saluto a nuovi ambasciatori 
presso la Santa Sede, ha voluto svolgere un breve quanto efficace discorso 
sulla condizione, oggi, dell’ “umanità”. Che avrebbe meritato più di qualche 
semplice titolo solo ad effetto. In questo blog di “parole per una cultura 
del limite” è d’obbligo un più ampio spazio (con nostri paragrafi).

La situazione: la precarietà quotidiana
“La maggior parte degli uomini e delle donne del nostro tempo continuano 
a vivere in una precarietà quotidiana con conseguenze funeste...; la povertà 
diventa più evidente. Si deve lottare per vivere, e spesso per vivere in modo 
non dignitoso”.

La causa: il feticismo del denaro
Una delle cause di questa situazione, a mio parere, sta nel rapporto
che abbiamo con il denaro, nell’accettare il suo dominio su di noi
e sulle nostre società. Così la crisi finanziaria che stiamo attraversando
ci fa dimenticare la sua prima origine, situata in una profonda crisi 
antropologica. Nella negazione del primato dell’uomo! Abbiamo creato 
nuovi idoli. L’adorazione dell’antico vitello d’oro (cfr Es 32,15-34)
ha trovato una nuova e spietata immagine nel feticismo del denaro
e nella dittatura dell’economia senza volto né scopo realmente umano.

L’effetto: la riduzione dell’uomo a “scarto
La crisi mondiale che tocca la finanza e l’economia sembra mettere in luce 
le loro deformità e soprattutto la grave carenza della loro prospettiva 
antropologica, che riduce l’uomo a una sola delle sue esigenze: il consumo. 
E peggio ancora, oggi l’essere umano è considerato egli stesso come un bene 
di consumo che si può usare e poi gettare. Abbiamo incominciato 
questa cultura dello scarto”.

L’ideologia: “volontà di potenza senza limiti
Mentre il reddito di una minoranza cresce in maniera esponenziale, 
quello della maggioranza si indebolisce. Questo squilibrio deriva
da ideologie che promuovono l’autonomia assoluta dei mercati
e la speculazione finanziaria, negando così il diritto di controllo
agli Stati pur incaricati di provvedere al bene comune. Si instaura
una nuova tirannia invisibile, a volte virtuale, che impone unilateralmente 
e senza rimedio possibile le sue leggi e le sue regole. Inoltre, l’indebitamento 
e il credito allontanano i Paesi dalla loro economia reale ed i cittadini 
dal loro potere d’acquisto reale. A ciò si aggiungono, oltretutto, una corruzione 
tentacolare e un’evasione fiscale egoista che hanno assunto dimensioni mondiali. 
La volontà di potenza e di possesso è diventata senza limiti”.

La proposta: la condivisione dei beni
l’etica dà fastidio! È considerata controproducente: come troppo umana, 
perché relativizza il denaro e il potere; come una minaccia, perché rifiuta
la manipolazione e la sottomissione della persona … L’etica – un’etica
non ideologica naturalmente – permette, a mio parere, di creare un equilibrio  
e un ordine sociale più umani. In questo senso, incoraggio gli esperti di finanza 
e i governanti dei vostri Paesi a considerare le parole di san Giovanni Crisostomo
«Non condividere con i poveri i propri beni è derubarli e togliere loro la vita. 
Non sono i nostri beni che noi possediamo, ma i loro»"     

Senza dubbio a guidare/illuminare il discorso di Papa Francesco
è la presenza centrale di Dio, eppure il discorso sta bene anche
a tutti quei senza Dio contrari a ridurre la persona a “scarto
e pronti a definire i “limiti” della ricchezza e i “limiti” della povertà.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 15 maggio 2013

Ruby, Ferrara e il danarismo avvilente





I quattro milioni e mezzo di euro, secondo l’accusa,
dazione di Berlusconi a Ruby a garanzia di silenzio
e complicità, confermano l’interpretazione dell’ampia diffusione nella nostra società del berlusconismo,
con conseguente successo elettorale,
in virtù, quasi esclusivamente,
di quel manovrar danaro, all’inizio, per Berlusconi,
lecito oggetto di ogni “ragione”, e, successivamente,
agitato strumento di ogni “carisma” e di ogni “libertà”,
almeno in un “povero” Paese, qual è l’Italia.

E’ stato l’imprenditore Berlusconi il promotore principe,
ineguagliato, non della corruzione, sempre florida,
a prescindere, ma della pratica, nelle relazioni personali,
e nel nostro, culturalmente fragile, e illiberale, costume politico,
del danarismo avvilente.
Avvilente, perché il denaro, una volta segno tangibile
di un personale "successo", e frutto di un “guadagno
con rigore costruito, meritato, riconosciuto, ammirato,
è diventato il caldo strumento dell’asservimento,
il metodo di conquista/tenuta di un potere fine a sé stesso,
il dispositivo formidabile, tra la folla dei postulanti, 
per rendere vile l'asservito e più vile il suo padrone, 
nel cancellare ogni responsabilità soggettiva e oggettiva, 
pubblica e privata, anche per persone, almeno per definizione 
e funzione,  con il "doveredella "disciplina e dell'onore"
(e il Presidente del Consiglio è tra queste!).
E il tutto con una convinzione puerile, soggettivamente giustificante: solo opere di bene! E chi non salta è il “male”.

A proposito del potere stravolgente del denaro,
persino nei confronti di spiriti forti, è utile leggere le parole
di un umanista del 500 (L. Vives). Queste: "...il denaro, 
all’inizio semplice strumento per procurarsi il necessario 
per vivere, divenne strumento di onore, di dignità, di superbia, 
di iracondia, di arroganza, di vendetta, di vita e di morte, 
di potere... E una volta attribuito al denaro un così grande valore, 
non si troverà alcuno che non giudichi suo dovere, per qualunque 
via e maniera, accumularlo, abbracciarlo, conservarlo, a ragione, 
a torto, giustamente e ingiustamente, senza distinzione tra sacro 
e profano, tra lecito e illecito. Chi è riuscito ad accumulare denaro 
è un sapiente, un signore, un re, un uomo di grande e ammirevole 
giudizio; al contrario chi non ha denaro, l’uomo povero, 
è un idiota, da disprezzare, a stento un uomo. Questa opinione, 
così profondamente da tutti accettata, spinge anche l'uomo, 
per natura noncurante della fortuna, a farsi suo schiavo".

L’Italia è sempre il paese, al mondo un altro non c’è,
nel quale un intellettuale, giornalista collaterale di mestiere, 
vispo e urlante, da ieri anche fulvo cantante lirico, con sicura 
intelligenza e onestà, ha avuto l’ardire, superato il pudore
dei tanti “succubi” dell’etica gobettiana, di coniare, 
icasticamente, per i berlusconiani doc, l’epiteto più felice 
nell’ossimoro: servi liberi”. E’ vero: la conseguenza diretta 
del danarismo avvilente è la libera servitù
Almeno dell’universo berlusconiano.

O no?
Severo Laleo


lunedì 13 maggio 2013

L’epilogo del berlusconismo nel flop di Canale 5






Domenica 12 Maggio, mentre su Rai Tre la Gabbanelli,
dipendente Rai, con il suo Report, cercava di portare,
tra le poltrone sveglie e indignate dei telespettatori italiani, 
la realtà drammatica della mancanza di lavoro,
su Canale 5, più giornalisti dipendenti di Berlusconi
con La guerra dei vent’anni, Ruby ultimo atto
cercavano di confezionare, per le poltrone addormentate 
e docili dei telespettatori del  Grande Fratello,  
l’assoluzione, del Cav. Berlusconi, nel processo Ruby
spiegando, a chiare lettere e senza timori, anzi, quasi rischiando
di persona che

·       Ruby –per parola di Berlusconi- è la nipote di Mubarack;
·       il conflitto di interessi del Cav. Berlusconi è un’invenzione dei comunisti;
·       i “processi non si fanno in televisione”, ma a Canale 5;
·       la verità processuale non esiste fuori della TV
del Cav. Berlusconi;
·       Berlusconi vittima, a guardar bene, come Tortora.

E’ troppo. Si legge che il programma non ha avuto successo. 
E’ stato un flop. Per decisione
dei telespettatori, liberi nel mercato libero della Tv.
Per fortuna. Il “dominio proprietario sui media e su pezzi interi 
di società politica –per usare parole e immagine
di Ezio Mauro- non consente più “alla realtà virtuale 
del berlusconismo di galoppare all'apparenza indisturbata.

Forse, anche se il Paese è sempre pieno di  “maup”  
(creduloni a Vico del Gargano), di troppi servi liberi,
di molti fautori del danarismo avvilente, e, purtroppo,
di incredibilmente tanti, nel Pd, larghintesisti, sempre benevoli 
e compiacenti, la normalità è ora a portata di mano.

O no?
Severo Laleo

sabato 11 maggio 2013

Da “scendo in campo” a “fare spogliatoio”: una partita da chiudere




Il calcio, in questi ultimi vent’anni, è stato il protagonista
indiscusso (bel segno dei tempi!) della lotta politica in Italia,
da quando, cioè, Berlusconi ha prima buttato a mare
il “teatrino della politica”, per  introdurre, appunto,
il “campo di calcio”, e, in seguito, da attore di un suo copione
in un suo teatro, ha fatto fuori (ma solo a parole,
giusto per correre libero nel campo), i “politici di professione”,
per fare della politica la sua professione a protezione esclusiva
e diretta dei suoi interessi e della sua fedina penale,
con una personale lotta contro la magistratura.
Per una democrazia (si fa per dire!) plebiscitaria,
oltre la legge, oltre la divisione dei poteri.
Il suo impegno di guerra nacque dal mondo del calcio,
con il proclama solenne: “scendo in campo”.

Una volta preparato, da Berlusconi, il campo, tutti si son
trovati a giocare, in una partita truccata e fuori campionato,
senza arbitri e senza regole, solo con un vociante pubblico interessato e tifoso. 
E il Porcellum.
Per vent’anni, partiti e leader (solo Bersani, forse, non ha mai indossato 
una maglietta), hanno aizzato, anche con colpi bassi,
a turno, i tifosi, spettatori non paganti a trasferta rimborsata.
Campo, partita e tifosi. Chi non è della partita è fuori.
E così il nuovo Renzi non abbandona il vecchio campo,
ma si diverte con il suo calcio di rigore”, imbrigliato, nonostante un’alta ambizione, nella logica miserrima e perdente della partita.
E Vendola, addirittura, rifiuta il Partito per “riaprire la partita.
Anche Monti, il professore colto e preparato,
per tentare di introdurre la novità di un suo linguaggio,
inventa, malamente scimmiottando, un fragile e dipendente
salgo in politica”, ma solo ed esclusivamente
per “scendere in campo”. Un delirio diffuso.

Ora l’inventore della partita cambia gioco: basta sbaragliare
il campo, la guerra è finita - almeno per gli altri, la sua continua contro la magistratura-, e puntuale arriva Letta, con il suo ardente “fare spogliatoio”, confortato, in questo, dai suggerimenti di Renzi,
a dare “un’impronta di sinistra” e a non sbagliare un’altra volta
il rigore”. La sopportabilità è ormai al limite.

Per fortuna, almeno per chi non vuole essere solo spettatore,
e tifoso, fuori del campo e fuori spogliatoio, da una parte, a gridare, c’è Grillo
con il suo linguaggio diverso, aggressivo, brutale e chiaro del “fuori tutti”, 
e, dall’altra, a proporre soluzioni nuove, c’è la Puppato, con il suo linguaggio 
partecipativo, responsabile, aperto al futuro e di più alto senso politico,
del tutti dentro”. Eppure sono i soli a poter chiudere definitivamente la partita.

O no?
Severo Laleo 

mercoledì 8 maggio 2013

Uscire dall’Aula del racconto della storia: Andreotti e Ambrosoli




Andreotti e Ambrosoli sono la storia d’Italia.

L’Italia di Andreotti. L’Italia di tutti noi, clienti senza memoria,
e sempre alla ricerca di un uomo della Provvidenza,
capace di guidare e distribuire i giochi della Politica.
Da Mussolini a Grillo, da Bossi a Berlusconi,
e, forse, a un nuovo capo, scalpitante, in un lato, a sinistra,
di una panchina, a bordo campo.
L’Italia, per dirla ancora con Piero Gobetti,
dove  tutti “hanno bene animo di schiavi”.
E dove i potenti non smettono mai di essere potenti.
Dovunque siano collocati: a destra, al centro, a sinistra.
Perché è mancata, e ancora manca, la regola fondamentale
della democrazia reale: il limite di durata nelle cariche istituzionali, a qualsiasi livello, centrale e periferico.
Non si può essere dentro gli spazi della decisione politica
per tutta la vita: il potere se non logora, corrompe. Sempre.
Perché più che il Potere a corrompere è la continuità al Potere.
E così, noi Italiani, per abitudine, e con l’amore degli assistiti,
ci attacchiamo per sempre al nostro benefattore.
Oscurità a parte.

L’Italia di Ambrosoli. L’Italia di tutti noi, persone vigili
e libere, sempre a testa alta, pronte a rispettare le leggi
e a servire le istituzioni, senza legami con i giochi del Potere.
E soprattutto senza paura di “andarcela a cercare”. Altrimenti
è solo silenzio complice e acquiescenza vile.
L’Italia dove chi è chiamato ad un compito pubblico,
sia pure per una strana occasione dei tempi,
e sia pure per una sola volta, risponde con rettitudine.
E coraggio. E rigore. E gentilezza.
L’Italia, per dirla ancora con Piero Gobetti, dove l’impegno
culturale e morale vive nella “serietà e intensità al lavoro”.
Una luce per tutti.

Andreotti: pace all’anima sua.
Ambrosoli: un esempio per un’Italia unita in civiltà.

O no?
Severo Laleo

martedì 7 maggio 2013

L’escalation insopportabile: da Letta a Nitto Palma. Che fare?




Ragioniamo, anzi, semplicemente, scorriamo i fatti nell’ordine.
La nuova legislatura, grazie, per fortuna, soprattutto alla novità
del M5S, nasce con una vocazione al cambiamento,
un cambiamento diventato immediatamente visibile con l’elezione di Boldrini 
a Presidente della Camera e, in qualche modo,
di Grasso a Presidente del Senato. Per colpa del mite, e perbene, Bersani, politicamente schierato con il cambiamento e libero
dai condizionamenti dei “poteri forti”, saltano le ambizioni, anche legittime, 
di più noti esponenti di partito.
E’ un primo brutto colpo per chi è abituato, da sempre, a pesare
nelle trattative per manovrare scelte e procedure.
Di più, quel continuare, di Bersani, nonostante un’insultante sordità degli interlocutori, a inseguire il M5S, con una corretta visione del dato elettorale, 
quel continuare a guidare il suo PD verso un cambiamento non a parole,
ma esplicito e declinato negli Otto Punti, ha insospettito, trasversalmente, 
tutti gli interessati alla continuità del Potere. Status quo oblige.
Allora scatta, dentro e fuori il Pd, un attacco concentrico, a volte volgare, 
nei confronti di quel segretario, scelto con le primarie, 
con il record del rinnovamento e comunque vincitore, sia pur parziale, 
nel voto popolare.  Ma il PD non deve governare. 
Il cambiamento fa paura, perché rompe equilibri consolidati; meglio tornare 
al tran tran di sempre. Così prima Napolitano, con i suoi “numeri certi”, 
poi Renzi, con una sua strumentale visione del “tempo”, infine, 
in occasione del voto per Prodi a Presidente della Repubblica,
i famosi 101 falsi plaudenti, ancora oggi inconfessati vincitori del gioco finale, 
aprono le porte alla restaurazione, verso un insopportabile status quo
diventato ormai visibile immediatamente nella scelta dei nuovi
ma sempre gli stessi, Presidenti delle Commissioni Parlamentari. 
Con Nitto Palma d'obbligo.
Il risultato finale è sotto gli occhi di tutti: dal cambiamento, giudicato pericoloso, 
del “solitario, e di sinistra, Bersani,
in alleanza mobile con gli incontrollabili Cinque Stelle,
alla restaurazione del ben “inserito” nei più esclusivi thin tank,
Letta, affidabile e moderato, in alleanza con il solito affarista
del ricatto della politica Berlusconi. Per salvare l’Italia?

Forse chi si è mobilitato ai referendum del 2011, chi ha scelto
di votare per il cambiamento nelle ultime elezioni, in una parola, 
tutte le persone libere e senza vincoli clientelari o di malaffare, 
e soprattutto vogliose, per il bene pubblico, di uguaglianza e giustizia sociale, 
è bene prendano coscienza della necessità di trovarsi presto 
in un grande spazio politico, nuovo, comune, e senza risse tra i leader di turno,
magari insieme a Rodotà, se vogliono realizzare l’indifferibile cambiamento.
E forse un solo partito, se sarà lungimirante, può ora, azzerandosi, produrre 
questa novità, magari con un nuovo nome, con nuove regole di democrazia
interna, con la parità di genere, in ogni istanza, sino a una leadership 
non più monocratica ma bicratica, con il sorteggio per la scelta di dirigenti 
e candidate/i, per la realizzazione di una democrazia di persone, tra pari, 
senza il beneplacito di gruppi/associazioni/poteri esterni, in solidarietà, 
attraverso la “sovranità conviviale”: questo partito è SEL.
O no?
Severo Laleo

domenica 5 maggio 2013

Il cambiamento riparte dalla Ministra Cecile Kyenge. Attento, M5S




L’idea e l’azione politica della Ministra Kyenge è anomala, è fuori norma, direi 
dirompente, naturalmente per un Paese come il nostro, così abituato a ragionar 
di “numeri certi”, anche se certi numeri sono obbrobriosi, non per altro 
per decisione elettorale. E per questo la Ministra spiazza tutti, e può aprire nuove 
strade, anzi potrebbe restituire a Napolitano la certezza di numeri altri, 
oltre le larghe intese,  apparse sì d’obbligo, ma a lungo e di segreto manovrate.

Ebbene, la Ministra Kyenge, semplice e determinata, sicura dell’universalità 
dei suoi valori di civiltà, segue la sua strada e dichiara il suo impegno, 
esecutivo”, al di là degli equilibri della compagine governativa, preoccupazione,
pare, tutta maschile, per l’abrogazione del reato di clandestinità 
e per l’introduzione del diritto di cittadinanza per i bambini nati in Italia 
da genitori stranieri (e su questo, per fortuna, l’accordo con il Presidente 
della Repubblica Napolitano, che definì “follia” la negazione di tale diritto, 
non può non essere pieno, anche a prova di distruzione delle larghe intese). 
E sì, perché il Pdl, di fronte alla naturale determinazione  della Ministra Kyenge
ha già aperto un fuoco di sbarramento totale, per non dire dell’assoluta 
indisponibilità della Lega di Salvini nei confronti di una norma di ius soli.

E l’argomento del Pdl, a prescindere dal merito e dalla ormai imprescindibile 
accoglibilità, per un Paese civile, della norma di ius soli, è solo di tenuta 
del governo (e delle sue possibilità di raggiungere ben berlusconiani scopi), 
un argomento antico, da vecchi partiti, da difesa del controllo del gioco politico 
da parte di gruppi e partiti senza più sostegno popolare, un gioco nel quale 
la classe dirigente, soprattutto del Pd, spezza ogni legame di fiducia 
con il suo elettorato.


A bloccare la Ministra è sceso in campo (si fa per dire!) addirittura
il capogruppo Pdl al Senato, Schifani, con questo appello, da stratega 
larghintesista, ad evitare: “proclami solitari, senza che gli argomenti siano 
discussi e concordati in un ambito collegiale”. E, dopo aver scoperto, lui, 
già corifeo di coscritti ’allineati e coperti’, una collegialità del tutto sconosciuta 
in ambito Pdl,  aggiunge: “Ci auguriamo che si cambi rapidamente registro 
e ci si renda conto che il governo attuale è fatto di larghe intese 
e dunque di scelte comuni”.
E corre a dar man forte anche la  senatrice Pdl Anna Maria Bernini,
più pratica, minacciosa ed esplicita: “Le opinioni politiche di Cecile Kyenge 
su cittadinanza e reato di immigrazione clandestina sono perfettamente 
legittime se espresse a titolo personale, ma  fuori luogo se pronunciate 
nelle vesti di ministro della Repubblica in un governo di coalizione che vive 
anche grazie al sostegno del Pdl, e ai suoi voti sui singoli provvedimenti”. 

Attento M5S. Se si rompe sui diritti fondamentali della persona, non si può far finta
di nulla, bisogna esser pronti, preparati, perché o la Kyenge supera ogni ostacolo 
e tutto procede bene, o si rompe la Larga Alleanza  e allora, alla prossima diretta 
streaming, si va con le idee chiare: un governo di numeri piccoli, ma certi
a caratura cinque stelle, guidato da Stefano Rodotà.

Forse, grazie alla Ministra Kyenge, tutto tornerà nel buon diritto.
E Napolitano non s’opporrà.

O no?
Severo Laleo 

Boldrini e la cultura del limite



Una società è tanto più democratica quanto più profonda, diffusa e sentita 
è  la pratica del rispetto tra persone alla pari. Quando, definita la linea di confine 
del territorio di proprietà della dignità di ogni persona, nessuno, proprio nessuno, 
nemmeno un’entità mito, qual è oggi il mercato, possa essere autorizzato 
a oltrepassare quel limite. La cultura del limite è l’essenza di una democrazia
di persone. Il problema, semmai, per la reale praticabilità
della dignità nella vita quotidiana, è definire anche un limite
alla povertà e un limite alla ricchezza, inventando le giuste strade per una riforma 
fiscale centrata sull'agibilità del valore “persona”.

La nostra Presidente della Camera, l’ottima Boldrini, con una sua dichiarazione 
alla Festa dell’Europa a Venezia, ha posto con forza la questione di un limite all'uso
del corpo della donna in ambito pubblicitario. E delle sue negative conseguenze. 
Ecco le sue parole: Serve porre dei limiti all'uso del corpo della donna 
nella comunicazioneÈ inaccettabile che in questo paese ogni prodotto, 
dallo yogurt al dentifricio, sia veicolato attraverso il corpo della donna. 
In Italia le multinazionali fanno pubblicità usando il corpo delle donne 
mentre in Europa le stesse pubblicità sono diverse. Dall'oggettivazione 
alla violenza il passo è breve. Serve più civiltà ponendo delle regole. 
Basta all'oggettivazione dei corpi delle donne perché passa il messaggio
che con un oggetto puoi farci quello che vuoi».

D’accordo, Presidente Boldrini, e ancora d’accordo sulla questione di circondare 
di regole, sempre per il rispetto di quel confine del territorio della dignità di ogni 
persona,  anche il mondo del web. “Il web è strumento prezioso di democrazia 
partecipata - ha chiarito ancora la nostra Presidente - , ma anche nel web minacce 
e intimidazioni non possono essere tollerate”. 

Forse un nuovo linguaggio, aperto ai nuovi valori della persona,
nella ricerca di nuove regole/limiti, è pronto per aggredire
una politica tutta dominata dagli oscuri arzigogoli, spesso maschili,
del potere, nella ricerca di un esclusivo, troppo spesso, interesse personale.

O no?
Severo Laleo

 

lunedì 29 aprile 2013

Il Governo di servizio…sedentario




Sia chiaro, questo governo di persone normali e presentabili, persone nell'età 
giusta per essere insieme competenti e navigate, persone sicuramente 
non consumate in litigi inconcludenti, piace, soprattutto se il confronto 
è con gli altri governi a matrice Bossi-Berlusconi, nei quali, ad esempio, 
senza dubbio alcuno, la nuova ministra dell’integrazione, Cecile  Kyenge
non avrebbe mai potuto trovare posto. E, a proposito di ministre, non pochi  
aggiungono, a dato positivo, anche una buona presenza percentuale di donne 
(ma dimenticano di colpo i “normali” governi a struttura paritaria di genere, 
già sperimentati in altri Paesi e ormai quasi una necessità di civiltà: ma, si sa, 
in Italia siamo indietro!).
E normale, e di giusta età, e competente e navigato, è anche il Presidente 
del Consiglio, disponibile all'ascolto e, soprattutto, misurato e garbato, 
colto e accorto, secondo la migliore tradizione dei più nobili tra i democristiani
(Andreatta, Moro), con un solo problema, il cognome: è un Letta.  
E, come l’altro Letta, il “fedelissimo” della Persona Berlusconi, è uomo 
di pause di riflessione, di incontro, di trattativa, di dialogo, di collaborazione, 
di pace, sempre a bassa voce e con argomenti, ma, si spera, altrettanto 
determinato, come l’altro Letta, appunto, a essere il “fedelissimo” del moderno 
Statuto del Pd e, quindi, del suo elettorato (c.2, art.1, “Il Partito Democratico 
affida alla partecipazione di tutte le sue elettrici e di tutti i suoi elettori 
le decisioni fondamentali che riguardano l’indirizzo politico).
In una parola, un fedelissimo delle  I s t i t u z i o n i.  Altrimenti è tutto 
un inganno, grave e senza ritorno.
Al suo esordio, comunque, Letta ha già compiuto un miracolo: ha trasformato, 
l’amazzone Gelmini, a sentire il suo intervento in aula, in una mite 
e convinta partigiana del governo di servizio.
Ormai la guerra è finita, e non paga più. E’ d’obbligo, vate Napolitano, 
la stagione della tregua. Le armi devono godersi il  riposo, e le munizioni tornare 
in deposito. Basta con i falchi, volino le colombe. I combattenti, gli arditi, 
i kamikaze, e tutti i militari attivi (con gli F 35?), dell’una e dell’altra parte, 
restino nei banchi loro assegnati. Avanti negoziatori e trattativisti.
Insomma, almeno per ora, Letta ha indovinato tutto: le persone, le parole 
e la definizione stessa del governo: di servizio...sedentario.
O no?
Severo Laleo