parole per una "cultura del limite" a cura di Severo Laleo ... de tous temps penseurs, sages ou philosophes, ont cherché les moyens à s'opposer à la démesure (hybris) ... les convivialistes
venerdì 29 maggio 2020
Promemoria coronavirus: 7. per una didattica senza voti
Chissà, forse è solo per un caso se in questi tempi di pandemia, e per ora anche
di continua tristezza nell'ascolto dei quotidiani numeri del bollettino
della salute pubblica, ripeto, forse è solo per un caso se un emendamento,
a suo modo salutare, al "decreto scuola", già approvato in Commissione Cultura
al Senato, ha tolto di mezzo nella scuola primaria l'altra tristizia dei numeri
dei voti per la valutazione di alunne/i. Una tristizia targata Gelmini,
ministra senza merito, ma impegnata per furore ideologico a resuscitare
con i numeri dei voti il merito tra chi? tra le/i bambine/i della scuola elementare,
giustificando la sua riforma (si fa per dire!) con la sua grande idea di superare
una volta per tutte l'egualitarismo del 6 politico del '68 (proprio così!).
Quando si parla di voti nella scuola, in verità non si parla mai solo dei voti,
si parla piuttosto del senso stesso del fare scuola, di pratica didattica,
anche se i proponenti dell'emendamento si limitano a non varcare il campo
della "valutazione". Dichiara infatti la senatrice Vanna Iori, tra i proponenti
dell'emendamento, all'Ansa: “L’emendamento prevede che nella scuola primaria
i bambini non possano essere considerati dei numeri. Dare un 4 può essere
un macigno pesante da comprendere mentre una valutazione più complessiva
prende in considerazione le caratteristiche del bambino. Ovviamente vanno
trovate le parole adeguate e la valutazione va fatta in termini di giudizio sintetico.
Il giudizio tiene conto della specificità e della individualità di ogni singolo
bambino, mentre il voto numerico livella e rende tutti uguali,
anche se ci sono diverse motivazioni dietro a quel voto”.
Riflessioni di buon senso, condivisibili, ma occorre andare oltre.
La scuola italiana, nonostante le tante riforme, nonostante i corsi e i ricorsi
su voti e giudizi, nonostante tutte le buone intenzioni, ha una sua continuità storica,
impermeabile a ogni cambiamento, per quanto riguarda la didattica.
Possono cambiare i programmi, i quadri orari, le ore di lezione per le singole
discipline, i numeri degli alunni per classe, l'obbligo a fasi alterne
di aggiornamento per i docenti, ma la didattica tradizionale non cambia,
è ancora fondata sul trinomio lezione-interrogazione-voto, dove il terzo elemento,
appunto il voto, in numeri o in parole di sintesi, continua a rappresentare
il senso finale dell'intero processo e riscuote, da solo, l'interesse
di alunne/i e genitori.
Il buon voto, comunque conquistato, porta gioia a tutti; il voto cattivo,
al contrario, genera, quand'anche gli interlocutori siano in grado di interagire,
sconforto o definitivo o creativo di astuzie scolastiche, alla ricerca di mezzi
di ogni tipo con l'esclusivo fine di arrabattarsi per una sufficienza,
complici una serie di compromessi e al di là di un reale apprendimento.
Può la scuola dell'obbligo del terzo millennio ancora reggersi
su questa pratica didattica tutta centrata sulla valutazione
comunque della persona in età di apprendimento, a prescindere
da ogni altro elemento?
A che pro? Per una classificazione del "merito"? Per distinguere brave/i
da chi, per usare una parola molto legata ai voti negativi, è svogliata/o?
Nella scuola dell'obbligo non può essere consentito il risultato negativo;
la didattica tradizionale del voto è sempre a rischio di risultato negativo.
La scuola con tutta la sua dotazione di persone e strumenti
ha un solo compito: condurre, anche per mano, rapidamente o lentamente,
ogni persona, nessuna uguale a un'altra, a raggiungere il massimo possibile
in apprendimenti e abilità. Non esistono scuse o fallimenti per questo compito
nella scuola dell'obbligo fino ai 18 anni. Per una buona qualità del livello
di istruzione per tutte le persone in età di apprendimento fino ai 18 anni,
è necessario investire, investire, investire. Per la civilizzazione del Paese.
O no?
Severo Laleo
mercoledì 6 maggio 2020
Il ritardo
Nooo!
Stefania, hai visto il tabellone?
Il nostro treno viaggia con 70’
di ritardo.
Ci
tocca aspettare. E vabbè!
Si
va alla Feltrinelli, dai, un’ora di full immersion!
Tanto la
Feltrinelli non delude mai.
Hai ragione, l’ultima volta ho scoperto un godibile Murakami, ricordi?
Hai ragione, l’ultima volta ho scoperto un godibile Murakami, ricordi?
Dovresti
leggerlo anche tu, Murakami.
La
stazione non è più chiassosa come un tempo.
La
dislocazione delle persone è a macchia di leopardo,
almeno oggi, con tutti questi ritardi da controllare.
Un gruppo con valigia qua, un altro là,
almeno oggi, con tutti questi ritardi da controllare.
Un gruppo con valigia qua, un altro là,
con gli occhi
ai tabelloni continuamente
cangianti,
mentre la voce degli avvisi sembra vagare in alto per il soffitto
senza un destinatario, anche se ogni tanto pare catturare
e bloccare per un attimo nella corsa qualche ritardatario
dallo sguardo incerto. E capisci subito chi è, dal suo improvviso
frenare con la testa tesa ad ascoltare.
mentre la voce degli avvisi sembra vagare in alto per il soffitto
senza un destinatario, anche se ogni tanto pare catturare
e bloccare per un attimo nella corsa qualche ritardatario
dallo sguardo incerto. E capisci subito chi è, dal suo improvviso
frenare con la testa tesa ad ascoltare.
Non
c’è più il via vai disordinato di una volta,
ma un altro agitato
disordine sì, insieme
di movimento
e di soste da impalati in ogni punto con capo chino
e di soste da impalati in ogni punto con capo chino
a
uno smartphone, silente
ai colpi leggeri di diti a scorrimento veloce.
Per
fortuna c’è ancora chi ama il piacere del cioccolato:
anche là non una macchia, ma una vecchia fila, in calma attesa
di una gioia al palato.
anche là non una macchia, ma una vecchia fila, in calma attesa
di una gioia al palato.
Ecco,
Stefy, è pronto il nostro treno, al binario 13. Si parte.
Si
corre. Un sole potente, sia pure al tramonto, schiaccia di luce
intimidite nuvole bianche, basse
filanti, mentre la campagna
ti abbraccia con i suoi alti pini
chiassosi,
redarguiti da un filare cupo di cipressi, silenziosi e pazienti.
redarguiti da un filare cupo di cipressi, silenziosi e pazienti.
E
sorge la luna, sembra una sfacciata; si mostra libera,
non è composta. Ma le gallerie non perdonano, e la puniscono,
chiudendola alla vista. Per fortuna, sollevandosi in cielo,
guarda ora con più cognizione il mondo,
non è composta. Ma le gallerie non perdonano, e la puniscono,
chiudendola alla vista. Per fortuna, sollevandosi in cielo,
guarda ora con più cognizione il mondo,
e s'è fatta seria! Troppo.
Stefy,
vieni, si scende.
venerdì 1 maggio 2020
Pro memoria coronavirus: 6. parità uomo-donna
Oggi Primo Maggio, giorno di mughetti a Marseille, è possibile leggere
sulla stampa due interventi molto utili per dare finalmente (almeno si spera)
una soluzione nuova, dopo la tempesta coronavirus, al gran tema della parità
uomini/donne, soprattutto là dove in modo diretto o indiretto si preparano
le decisioni più importanti per la vita sociale del Paese.
Il primo intervento è una sintesi, sia pur rapida, a cura di Stefania Di Lellis,
pubblicata su la Repubblica, di un recente studio, realizzato,
prima di questa crisi sanitaria, da un istituto di ricerca statunitense
specializzato, tra l’altro, in sondaggi di opinione.
Ebbene, secondo questo studio, nel mondo esiste un accordo quasi unanime
sull'importanza della parità uomo-donna.
“In pochi altri campi abbiamo trovato una simile consonanza
come sull'uguaglianza di genere” ci dice la ricercatrice Janell Fetterolf,
una delle due autrici del rapporto. L’istituto ha sondato 38.426 persone
in 34 paesi e il 94% degli intervistati ha definito "importante" che le donne
abbiano gli stessi diritti degli uomini. Una percentuale che in Italia
tocca il 95%.”
L’altro intervento è una lettera aperta -un’utile sintesi si può leggere
su rainews.it- a cura di molte scienziate italiane, le quali,
dopo aver ricordato la presenza maggioritaria delle donne
tra il personale sanitario ("Le donne sono la maggioranza tra chi è
in prima linea contro il Covid”), così scrivono,
abbandonando la posizione di chi è sempre costretto a chiedere:
“da ora in avanti pretendiamo che un equilibrio di genere negli organi
di rappresentanza e nelle commissioni tecniche e scientifiche
sia una priorità assoluta". E addirittura aggiungono, forse solo
per sottolineare una differenza di approccio, che "molti dei Capi di Stato
dei Paesi che hanno risposto meglio alla pandemia sono donne".
Queste scienziate raccontano, senza inutili polemiche, un dato di fatto,
e avrebbero ragione da vendere, anche se le donne non fossero
la maggioranza tra chi combatte a ogni livello il virus.
Quando ancora si dovrà aspettare perché una legge (e non l’attenzione
o, peggio, la generosità del governante di turno) stabilisca l’obbligo
della parità uomo-donna in ogni sede decisionale o consultiva
delle istituzioni, a partire dal Consiglio dei Ministri?
delle istituzioni, a partire dal Consiglio dei Ministri?
Forse si potrebbe anche andare oltre, e porre al vaglio della critica storica
l’origine, l’evoluzione e, perché no?, i tanti guasti del monocratismo
(quasi sempre interpretato da un maschio) per aprire la strada
a forme di potere a guida duale, con un uomo e una donna insieme.
O no?
Severo Laleo
venerdì 24 aprile 2020
Promemoria coronavirus: 5. il capo politico del M5S
Lettera aperta al M5S: i tempi duri aprano a soluzioni nuove.
Nella motivazione del rinvio dell'elezione del "capo politico" del M5S
il riferimento all'attuale situazione emergenziale è chiarissimo (e giusto).
Ecco il testo: "Stiamo attraversando un momento di emergenza sanitaria,
sociale ed economica senza precedenti e tutte le nostre forze devono
essere concentrate nell'unico obiettivo di accompagnare questo paese
a rialzarsi, e per fare questo serve compattezza e unità di intenti. ...
Il comitato ha ritenuto opportuno rinviare le elezioni del nuovo capo politico
ad un momento successivo e su questo ha richiesto una interpretazione
autentica al garante del MoVimento, Beppe Grillo, il quale ha ribadito
che non solo è ammissibile, ma indispensabile, alla luce della eccezionale
condizione in cui sta versando il paese, che si attenda la normalizzazione
della situazione prima di procedere all'indizione della elezione
del nuovo capo politico”.
Se è giusto attendere la normalizzazione, è forse giusto continuare domani
senza cambiamenti? Di qui il senso di questa proposta.
La pandemia ha svelato situazioni contraddittorie: da una parte,
a livello di istituzioni, in più cabine di regia, è completamente assente l'opera
e la visione femminile dei problemi, dall'altra, nella società, l'opera
e la visione femminile dell'agire è di gran lunga la più presente.
Scrive la senatrice Valeria Valente: "il lavoro delle donne sta sorreggendo
il sistema Italia. I due terzi delle donne occupate, 6 milioni 440 mila
su 9 milioni 872 mila, stanno continuando a prestare la propria opera
perché impegnate in settori strategici, come il Sistema sanitario nazionale
(dove i 2/3 sono donne) e la cura domiciliare di anziani non autosufficienti,
la scuola, la vendita di alimenti, i servizi bancari e assicurativi,
i servizi nella PA. ... L’Italia scopre in questo momento l’importanza
e il valore del lavoro e del contributo delle donne alla lotta
contro il Coronavirus, sia nelle famiglie che nella società."
Se questa è la fotografia del nostro paese in questa emergenza sanitaria,
sociale ed economica, non è forse venuto il tempo di eleggere non più
il vecchio unico "capo politico", ma insieme una donna e un uomo, una coppia,
con il compito di esercitare una guida duale?
C'è un pensiero femminile (scrive Livia Turco: "Ci sono pensieri e categorie
politiche elaborate dalle donne nel corso del tempo che sono cruciali
per misurarsi con le sfide di oggi: coscienza del limite; tempi di vita
e tempi di lavoro; il no alla mercificazione dei corpi...") da rappresentare,
ormai è necessario, nelle sedi alte delle decisioni politiche.
La guida duale elabora, prima della decisione, una mappa più ampia
sia delle possibili problematiche sia delle molteplici strategie di soluzione.
“Man or woman, you need both masculine and feminine traits to thrive
in today's world” (The Athena Doctrine).
O no?
Severo Laleo
Nella motivazione del rinvio dell'elezione del "capo politico" del M5S
il riferimento all'attuale situazione emergenziale è chiarissimo (e giusto).
Ecco il testo: "Stiamo attraversando un momento di emergenza sanitaria,
sociale ed economica senza precedenti e tutte le nostre forze devono
essere concentrate nell'unico obiettivo di accompagnare questo paese
a rialzarsi, e per fare questo serve compattezza e unità di intenti. ...
Il comitato ha ritenuto opportuno rinviare le elezioni del nuovo capo politico
ad un momento successivo e su questo ha richiesto una interpretazione
autentica al garante del MoVimento, Beppe Grillo, il quale ha ribadito
che non solo è ammissibile, ma indispensabile, alla luce della eccezionale
condizione in cui sta versando il paese, che si attenda la normalizzazione
della situazione prima di procedere all'indizione della elezione
del nuovo capo politico”.
Se è giusto attendere la normalizzazione, è forse giusto continuare domani
senza cambiamenti? Di qui il senso di questa proposta.
La pandemia ha svelato situazioni contraddittorie: da una parte,
a livello di istituzioni, in più cabine di regia, è completamente assente l'opera
e la visione femminile dei problemi, dall'altra, nella società, l'opera
e la visione femminile dell'agire è di gran lunga la più presente.
Scrive la senatrice Valeria Valente: "il lavoro delle donne sta sorreggendo
il sistema Italia. I due terzi delle donne occupate, 6 milioni 440 mila
su 9 milioni 872 mila, stanno continuando a prestare la propria opera
perché impegnate in settori strategici, come il Sistema sanitario nazionale
(dove i 2/3 sono donne) e la cura domiciliare di anziani non autosufficienti,
la scuola, la vendita di alimenti, i servizi bancari e assicurativi,
i servizi nella PA. ... L’Italia scopre in questo momento l’importanza
e il valore del lavoro e del contributo delle donne alla lotta
contro il Coronavirus, sia nelle famiglie che nella società."
Se questa è la fotografia del nostro paese in questa emergenza sanitaria,
sociale ed economica, non è forse venuto il tempo di eleggere non più
il vecchio unico "capo politico", ma insieme una donna e un uomo, una coppia,
con il compito di esercitare una guida duale?
C'è un pensiero femminile (scrive Livia Turco: "Ci sono pensieri e categorie
politiche elaborate dalle donne nel corso del tempo che sono cruciali
per misurarsi con le sfide di oggi: coscienza del limite; tempi di vita
e tempi di lavoro; il no alla mercificazione dei corpi...") da rappresentare,
ormai è necessario, nelle sedi alte delle decisioni politiche.
La guida duale elabora, prima della decisione, una mappa più ampia
sia delle possibili problematiche sia delle molteplici strategie di soluzione.
“Man or woman, you need both masculine and feminine traits to thrive
in today's world” (The Athena Doctrine).
O no?
Severo Laleo
mercoledì 22 aprile 2020
Promemoria coronavirus: 4. le donne
Erano
tempi di primavera anche sette anni fa,
quando,
per trovare una via d’uscita alle difficoltà sorte
nella
formazione di un nuovo Governo dopo le politiche 2013,
il
Presidente Napolitano nominò una commissione
(con
l’esclusione di esperti provenienti dal M5S) di dieci saggi
(si
fa per dire!) per elaborare un programma di riforme
a
livello istituzionale ed economico.
Una
commissione, appunto, propriamente di dieci saggi,
cioè
di dieci maschietti, senza l’ombra di una saggia!
E
già allora non mancarono le critiche alla scelta maschilista
del
Presidente della Repubblica.
Nella
primavera di quest’anno, per trovare una via d’uscita
alle
difficoltà di
gestione dell’emergenza coronavirus, sono
all'opera due
Comitati; nel Comitato Tecnico Scientifico,
zeppo di ben venti
esperti di
ogni utile settore, la presenza
delle donne è uguale a zero. Zero!
E
nel Comitato di Esperti (Task Force) per la Fase 2,
sotto la guida, per un caso, di
un uomo, Vittorio Colao, figurano
quattro donne su diciassette. 4/17!
Un
progresso rispetto ai Dieci Saggi e al Comitato Tecnico
Scientifico. Chiaramente
anche questa volta non sono
mancate le critiche, da
tante parti. Anche la Bonino,
che è a suo modo per la
meritocrazia* contro
le quote rosa,
ha dichiarato in
un’intervista al Corriere della Sera:
“In
Italia la parità di genere esiste solo il sabato e alla domenica
nei
convegni. Poi
dal lunedì chi ha il potere reinserisce
il
pilota automatico e
sceglie gli
uomini che conosce,
di cui è amico, che gli girano intorno”. Proprio così.
E invoca: "Dateci voce".
Chiaro.
D’accordo. Ma non si può sempre stare a chiedere,
molto spesso al
solito maschio al Potere, di tener presenti
le donne. Non se ne può
più.
Uomini
e donne pari sono, di numero e per ogni altra dote umana,
nel
bene e nel male. Quando
si tratta di nominare Comitati
stabilisca
la legge, una volta per tutte, la presenza pari
di uomini e donne.
La
soluzione è facile e sarà senza dubbio all'unanimità o quasi:
forse qualche
maschilista in giro ancora c’è.
O
no?
Severo
Laleo
*P.S.
A proposito di meritocrazia vorrei riportare questo brano
tratto dal
libro della
Gruber, “Basta!”, è da attribuire
a Criado
Perez: “In tutto il mondo, nella
maggioranza
delle decisioni di assunzione, la meritocrazia è un
mito.
Serve
a coprire il pregiudizio positivo che avvantaggia
i maschi bianchi.”
lunedì 20 aprile 2020
“Basta!”: anche la Gruber non giunge al bicratismo
Caro Scapece,
e chi avrebbe mai
potuto immaginare una simile situazione
(speriamo non
duratura)! E per colpa di un virus!
Chiusi entrambi in
due città del mediterraneo per antonomasia aperte,
con il loro mare e
con i loro porti, sicuri e accoglienti, per millenaria storia,
con i loro odori
inconfondibili e avvolgenti (smog permettendo).
E con i loro rumori
di fondo continui, tra i movimenti di lavoro
e il vociare
disordinato e straordinariamente musicale.
Dov'è ora
l’ammuina? Ingoiata nel deserto del Rettifilo!
E deserta è anche
la Canabière, privata del suo via vai multicolore,
corposamente
mediterraneo. Ma non la vedrò per ora,
dovrò accontentarmi
di scendere in Boulevard Chave
e seguire sognando
il timido e gentile suo amico tram.
Ora il faut
rispettare le misure, per tornare domani a respirare all'aperto,
a mare, appena
possibile. Va bene! E’ per il bene di tutti!
Le regole sono da
rispettare, ma fuori di qui qualche sindaco è andato
oltre il senso
comune: concede un’uscita di casa a non più di 10 metri
dall'abitazione.
10 metri! E se il cassonetto dell’immondizia è a 50 metri?
Mah! Per salvare il
corpo non bisogna perdere la ragione. O no?
Senti, vorrei
parlarti del libro della Gruber, Basta! letto
in verità già da tempo,
ma
solo ora riesco a raccogliere gli appunti sparsi, registrati
durante
la
lettura. Scusami quindi se
sarò disordinato.
Il
titolo è gridato, oltre la misura sempre
mostrata da
Gruber:
Il potere delle
donne contro la politica del testosterone BASTA!
Un
libro letto con piacere, chiaro e diretto (p. 20: una ciurma di
maschi
sbracati
sta imperversando nelle stanze dei bottoni da troppo tempo,
in
tutto il mondo. Seminano violenza, alimentano le paranoie
di
una minoranza, ignorano i bisogni della maggioranza,
inseguono
il miraggio di un potere assoluto quanto sterile.
In
Italia abbiamo avuto come vicepremier uno dei più pittoreschi,
non
credo il più pericoloso.”), con una tesi precisa
e
un invito secco: “Spero che i capi-partito...facciamo come
Ursula
von der Leyen, costruendo squadre fifty-fifty.
Mettendo
la parità finalmente al primo posto dei loro programmi
e
le donne nelle posizioni <<sicure>> delle liste”.
E
qui Gruber cade. Si rivolge ai capi-partito maschi perché aprano
al
fifty-fifty, alla parità, a posti sicuri nelle liste.
Un’invocazione,
una
preghiera del tutto fuori luogo, specie in questo libro;
la
parità non può essere una concessione octroyée,
ma semplicemente
una
legge di Stato. Eppure Gruber più volte tocca il tema
dell’importanza
della
compresenza/collaborazione uomo/donna, da una parte sa
che
la guerra tra i sessi è inutile (p. 85: “nel migliore
dei mondi possibili
non
servirebbe la guerra. Si può vincere tutti insieme.”),
dall'altra
racconta
del vantaggio, ben misurabile in termini di concorrenza
tra
aziende, della maggiore diversità di genere (v. p. 85).
E
su questo si leggano ancora (pp. 103/04): l’articolo pubblicato su Le
Monde
a
cura di importanti organizzazioni femministe, l'intervento battagliero,
sempre
su Le Monde, di Emma Thompson, e il commento di Criado
Perez
sulla
meritocrazia. Illuminanti. Speriamo, continua Gruber, nella determinazione
delle
over 60 (p. 114)! Le giovani di oggi sono più male-friendly,
ma
quando è necessario bisogna lottare (p. 115), perché “nessun uomo
sa essere
femminista quanto
una donna. Nemmeno Jacques”!
D’accordo, anche se Jacques, il suo compagno, si rifà, recupera cioè,
a p. 123, con una specie di esplosione, quando difende con calore la candidatura
di una Presidente(ssa) per gli Stati Uniti.
D’accordo, anche se Jacques, il suo compagno, si rifà, recupera cioè,
a p. 123, con una specie di esplosione, quando difende con calore la candidatura
di una Presidente(ssa) per gli Stati Uniti.
La
sua vis polemica colpisce a fondo il bersaglio maschio alfa,
ti
vien voglia di dire: “brava, ben detto!”, ma
preferisco Gruber analista,
proiettata nel
futuro: “la battaglia per i diritti femminili si inquadra
in una guerra più
ampia che è quella di una miglior distribuzione
della ricchezza e
delle opportunità. La battaglia per la dignità femminile
si intreccia con
quella contro la speculazione e la corruzione,
che sono le due
malattie fatali del nostro tempo [non
solo, via!]
e delle nostre
democrazie. Di ineguaglianza si muore e se ai padroni
del mondo la cosa
non interessa è tempo che cambino idea.
O meglio, è
tempo di un bel ricambio ai vertici.”
Son gradevoli anche
gli intermezzi, mai fuori contesto, quali i riferimenti
alla sua biografia e
il chiamare in causa amorevolmente il suo compagno.
Ma l’ottima Gruber
si ferma purtroppo alle raccomandazioni, grida “Basta!”,
ma non tocca la struttura maschilista del potere, tutta costruita, nell’atavico
duello tra maschi, e
sul suo esito storico, il monocratismo.
Eppure, se nel
saggio The Athena Doctrine si legge di un 81%
di intervistate/i
d’accordo su questa affermazione
(ho trovato nel web
la slide): “Man or woman,
you need both
masculine and feminine traits to thrive in today's world”,
un qualche timido
spiraglio si sarebbe potuto cogliere per la realizzazione
O no?
Stammi bene,
Scapece, e, nell’attesa di una passeggiata insieme a Mergellina,
sempre buone cose.
Severo
domenica 19 aprile 2020
Michele Serra e la scoperta del limite
Pare che il
coronavirus sia riuscito a trascinare
la parola “limite”,
e il suo significato, fuori dal ghetto
dell’impopolarità
per lanciarla nel dibattito di oggi.
Almeno questo
scrive, e vale la pena riportare tutto il brano,
Serra nella
sua rubrica su la Repubblica:
“Il concetto di
limite dovrà essere riesumato dal sarcofago
[esagerato!]
nel quale è stato rinchiuso molto tempo fa.
E’ un concetto
impopolare, tipicamente di minoranza,
maneggiato con
estenuata tenacia da conventicole ambientaliste,
autorevoli
scocciatori come il club di Roma, studiosi molto
meno ascoltati di
quanto sia oggi il più scarso dei virologi
e spesso di
essere tacciati di menagramo. Di qui in poi,
per forze di
cose, “limite” diventerà un concetto pop.”
Grazie Michele, la
tua saggezza oggi appare confortante.
In verità, oltre
alle conventicole ambientaliste e
a qualche
menagramo,
l’idea di limite è stata coltivata sin dall’antichità.
Scrivono
per esempio nel loro
manifesto les
convivialistes:
“de
tous temps penseurs, sages ou philosophes, ont cherché
les
moyens à s'opposer à la démesure (hybris)”.
Eppure,
più recentemente, e a prescindere appunto dal coronavirus,
Bodei,
il filosofo, aveva già indicato l’opportunità di praticare
Dispiace,
quindi, ma non è mai troppo tardi, dare il merito
al
coronavirus.
O
no?
Severo
Laleo
sabato 11 aprile 2020
Promemoria coronavirus: 3. le tasse
Qualcuno tra i
deputati del Pd, anzi il capogruppo alla Camera, Del Rio,
ha proposto, al fine
di raccogliere fondi a favore delle famiglie più bisognose,
un contributo di
solidarietà da versarsi, secondo criteri di progressività,
da parte di chi ha
un reddito annuo superiore a 80.000 euro.
In breve, per un
periodo limitato a due anni, un atto di solidarietà
da parte di chi non ha
bisogno nei confronti di chi ha tanto bisogno.
Proposta semplice,
chiara, onesta, sensata, socialmente utile a rinvigorire
il sentimento
dell’unità di patria. Qui,
con corretta completezza, la notizia.
Apriti cielo.
Per Italia Viva è
“una follia”, proprio così, una follia; per il M5S
“non esiste”,
per Conte “non
se ne parla”. E questa è la maggioranza!
Anche nel Pd i
soliti distinguo, ma almeno in ambito dialogico.
Le opposizioni si
trovano a proprio agio sull'argomento,
dimostrando tutta la
cecità di una visione dogmatica, senza eccezioni.
Prigionieri di un'ideologia fuori misura.
Ascoltiamo qualche
campione della difesa dell’intoccabile reddito alto.
Taiani: “La
patrimoniale [e
non è una patrimoniale: ma, si sa, la parola
fa
paura al popolo italiano!] è
inaccettabile. Ci opporremo con tutte
le
nostre forze [esagerato:
solo per salvare degli spiccioli ai benestanti?]
ad
ogni tentativo di mettere le mani nelle tasche e nei conti degli
italiani.
Il
governo deve dare non togliere ai cittadini. Non c'è bisogno
di
un nuovo sceriffo di Nottingham”.
Testuale!
Salvini,
con l’abituale sua eleganza, grida accorato il suo: “Sono
matti.
Li
fermeremo!” E
già, prima gli italiani, specie se abbienti.
Il
colpo di grazia è assestato da Meloni: “Per noi la
patrimoniale [e dagli!]
è
un furto e lo impediremo con ogni mezzo.” Evviva!
Esiste nel nostro
bel Paese un riflesso condizionato quando si parla di tasse,
se persino una
condizione di emergenza di così dolorosa gravità
non riesce a
spingere la nostra classe politica, tutta, a disegnare strategie
di solidarietà.
Niente. Gli occhi della ragione sono chiusi.
La risposta è
sempre uguale: guai a toccare chi ha di più.
Eppure la società
civile offre un altro spettacolo: volontarie e volontari
disponibili fino
all'ammirazione in attività di solidarietà (danno sé stesse/i);
tante altre persone pronte a rispondere
all'invito di versare un contributo
per la Protezione Civile (ognuna/o dona
secondo il proprio reddito);
infine tante/i donne e uomini (soprattutto donne,
in questa emergenza)
con turni faticosi e pesanti continuano a prestare un’opera
fondamentale
per garantire a tutta la popolazione, con alti e bassi redditi, i beni essenziali,
e
molto spesso con salari penosi.
Ma, si sa, la
società civile, con le riserve del caso, dimostra di essere più
avanti
del ceto politico.
E, al di là del contributo di solidarietà di oggi,
attenderà indignata
una riforma fiscale per una più equa, ben calibrata,
distribuzione della
ricchezza. E, sono convinto, molte tra le persone
con più di 80.000 euro di reddito sarebbero ben disposte a partecipare
a un fondo di solidarietà. Ah, se si potesse lanciare una petizione!
La civiltà di un
paese libero e democratico, rispettoso della dignità
di ogni persona, a
partire dalla tutela del suo benessere fisico, si misura
sulla contribuzione,
ciascuno secondo il proprio reddito, alle spese generali
dell’intero
sistema statale, utile a tutti senza distinzioni di classe.
Per ora forse c’è
da vergognarsi di tanta cocciutaggine di gran parte
dei nostri
rappresentanti in Parlamento nel salvare i redditi alti
(spesso alti,
complice un’evasione fiscale tollerata).
O no?
Severo Laleo
martedì 7 aprile 2020
Promemoria coronavirus: 2. la scuola
Oggi, nel giorno di
San Giovanni Battista de La Salle, teologo francese
morto nel 1719, e
con buone pratiche educative al suo attivo,
leggo su Huffington
Post un articolo di Fulvio Abbate con
la parola
scuola
nel titolo. In verità, t’accorgi subito, si parla d’altro.
La
prosa del nostro
Abbate
è spesso gradevole,
ti immerge,
ancora
assonnato, in una ciotola di
brulicante muesli,
e
tiene,
almeno
in questo caso, a non scivolare,
a suo modo, lungo il
crinale
del
lieve dileggio, ma il suo
dire appare completamente
inutile
e fuori posto: in una situazione di emergenza qual è l’attuale,
la
sua analisi è tutta centrata sulla figura della ministra (un
antico
maschilismo
svolge bene il suo compitino!) e per niente sui problemi
della
scuola. Il nostro buon
Abbate
gioca con le parole,
sente
pur il
bisogno di citare la
docimologia, ma il suo intento
è
di accusare di “scena
muta” l’insegnante
Azzolina.
Caro
il nostro Abbate,
oggi abbiamo tutti
bisogno
di parole pesanti,
di
parole da lanciare nelle relazioni sociali, ciascuno
dal suo
confinement,
per un solo scopo, per contribuire a trovare soluzioni.
Le
usi, e costruiremo insieme una sovranità conviviale!
La
ministra Azzolina,
avendo dalla sua, da insegnante, le qualità
dell’ascolto,
della prudenza e della pazienza, saprà svolgere il suo compito
al
meglio e al momento opportuno. In
ogni caso nessuno perderà
il
diritto di critica. Per ora “scena
muta”
e “boh”,
per usare
i
creativi termini dell’Abbate,
non sono compagni dell’arroganza.
La
pandemia ha costretto tutti a fare i conti con il sistema scuola,
e
soprattutto con la didattica e la valutazione.
Si
potrà finalmente riflettere sul superamento definitivo della
didattica
tradizionale, tutta
centrata sul trinomio lezione-interrogaziome-voto
in
un luogo chiuso, a
volte angusto e non sicuro, tra banchi e cattedra?
Si
potrà finalmente pensare a una scuola dove
ogni minore abbia
la possibilità di
apprendere il proprio sapere e agire libero
senza il condizionamento della
valutazione e del merito?
Più
chiaramente: la scuola, nel rispetto della
singolarità di
ogni persona
discente, deve
poter usare tutte le strategie possibili, con impiego largo
di
risorse strumentali e
umane, perché il successo scolastico
sia per tutti.
E
non serve
certo
un 6 politico per
scavalcare la classe e andare avanti.
E
non
è utile a nessuno un passaggio burocratico da una classe all’altra,
complice una falsa, contrattata,
ipocrita, pagella/esame.
Per
una società migliore, è necessaria la promozione
reale
di tutte le persone in
età di apprendimento, tutte,
e la scuola per
questo motivo
è
chiamata a offrire a
ciascuno secondo i propri limiti e le proprie attitudini
il
cammino della “promozione”.
O
no?
Severo
Laleo
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