mercoledì 19 agosto 2020

L'America, le donne, il voto e le istituzioni


Cento anni fa, il 26 Agosto -scrive Silvia Truzzi sul Fatto di oggi- in America
(l'America è l'America!) le donne (si parla delle donne bianche, le donne 
di colore dovranno aspettare fino al 1965!) “conquistarono" sì il diritto al voto , 
ma in un secolo, appunto, non hanno mai “conquistato" 
la Casa Bianca. Perché? Non è dato sapere. 
Continua comunque Truzzi: “Le regole sono fondamentali ma non sono tutto. 
Il pregiudizio contro le donne non ha bisogno di essere spiegato: 
è nelle pieghe private e pubbliche della vita quotidiana.”
Vero, eppure è proprio alle regole che bisogna guardare. 
Non c’è nessuna ragione per negare la parità di rappresentanza in ogni istanza 
democratica; ogni sede di rappresentanza politica deve essere composta 
metà da uomini e metà da donne; è la banalità del mondo reale a pretenderlo. 
E se si riflette, il monocratismo (cioè, in questo caso, l'affidamento del governo
a una sola persona, spesso, troppo spesso, un maschio) è l’esito storico, 
visibile e intoccabile, del maschilismo. 
È ora di pensare a istituzioni di governo non più di tipo monocratico, 
ma duale, sempre un uomo e una donna al vertice decisionale. 
Se Hillary fosse stata eletta, avremmo avuto una forma indiretta 
di governo duale, essendo la moglie di un ex Presidente. 
Ma la cronaca elettorale regalò al mondo il Maschio Alfa Trump
Per avere una parità definitiva è necessario cambiare le istituzioni 
e non solo le regole del voto. 
Solo un’ultima osservazione, per esclusivo uso personale quale monito
a controllare il proprio linguaggio quando si parla di donne, 
essendo tutte/i noi affogate/i in un “pregiudizio millenario contro le donne": 
che bisogno c'era, per sostenere l'importanza della credibilità, 
di paragonare la credibilità (importante) dei rappresentanti del popolo 
alla credibilità (nulla) delle “attricette"?
Sarà dura, ma forse liberarsi di insulse formule scontate non è un male.
O no?
Severo Laleo
Bagno Foce Varano

venerdì 29 maggio 2020

Promemoria coronavirus: 7. per una didattica senza voti



Chissà, forse è solo per un caso se in questi tempi di pandemia, e per ora anche 
di continua tristezza nell'ascolto dei quotidiani numeri del bollettino 
della salute pubblica, ripeto, forse è solo per un caso se un emendamento, 
a suo modo salutare, al "decreto scuola", già approvato in Commissione Cultura 
al Senato, ha tolto di mezzo nella scuola primaria l'altra tristizia dei numeri 
dei voti per la valutazione di alunne/i. Una tristizia targata Gelmini
ministra senza merito, ma impegnata per furore ideologico  a resuscitare 
con i numeri dei voti il merito tra chi? tra le/i bambine/i della scuola elementare, 
giustificando la sua riforma (si fa per dire!) con la sua grande idea di superare 
una volta per tutte l'egualitarismo del 6 politico del '68 (proprio così!).

Quando si parla di voti nella scuola, in verità non si parla mai solo dei voti, 
si parla piuttosto del senso stesso del fare scuola, di pratica didattica, 
anche se i proponenti dell'emendamento si limitano a non varcare il campo 
della "valutazione". Dichiara infatti la senatrice Vanna Iori, tra i proponenti 
dell'emendamento, all'Ansa: “L’emendamento prevede che nella scuola primaria 
i bambini non possano essere considerati dei numeri. Dare un 4 può essere 
un macigno pesante da comprendere mentre una valutazione più complessiva 
prende in considerazione le caratteristiche del bambino. Ovviamente vanno 
trovate le parole adeguate e la valutazione va fatta in termini di giudizio sintetico.
Il giudizio tiene conto della specificità e della individualità di ogni singolo 
bambino, mentre il voto numerico livella e rende tutti uguali, 
anche se ci sono diverse motivazioni dietro a quel voto”.
Riflessioni di buon senso, condivisibili, ma occorre andare oltre. 

La scuola italiana, nonostante le tante riforme, nonostante i corsi e i ricorsi 
su voti e giudizi, nonostante tutte le buone intenzioni, ha una sua continuità storica, 
impermeabile a ogni cambiamento, per quanto riguarda la didattica. 
Possono cambiare i programmi, i quadri orari, le ore di lezione per le singole 
discipline, i numeri degli alunni per classe, l'obbligo a fasi alterne 
di aggiornamento per i docenti, ma la didattica tradizionale non cambia, 
è ancora fondata sul trinomio lezione-interrogazione-voto, dove il terzo elemento, 
appunto il voto, in numeri o in parole di sintesi, continua a rappresentare 
il senso finale dell'intero processo e riscuote, da solo, l'interesse 
di alunne/i e genitori. 
Il buon voto, comunque conquistato, porta gioia a tutti; il voto cattivo, 
al contrario, genera, quand'anche gli interlocutori siano in grado di interagire, 
sconforto o definitivo o creativo di astuzie scolastiche, alla ricerca di mezzi 
di ogni tipo con l'esclusivo fine di arrabattarsi per una sufficienza, 
complici una serie di compromessi e al di là di un reale apprendimento. 
Può la scuola dell'obbligo del terzo millennio ancora reggersi 
su questa pratica didattica tutta centrata sulla valutazione 
comunque della persona in età di apprendimento, a prescindere 
da ogni altro elemento?  
A che pro? Per una classificazione del "merito"? Per distinguere brave/i 
da chi, per usare una parola molto legata ai voti negativi,  è svogliata/o? 
Nella scuola dell'obbligo non può essere consentito il risultato negativo; 
la didattica tradizionale del voto è sempre a rischio di risultato negativo. 
La scuola con tutta la sua dotazione di persone e strumenti 
ha un solo compito: condurre, anche per mano, rapidamente o lentamente, 
ogni persona, nessuna uguale a un'altra, a raggiungere il massimo possibile 
in apprendimenti e abilità. Non esistono scuse o fallimenti per questo compito 
nella scuola dell'obbligo fino ai 18 anni. Per una buona qualità del livello 
di istruzione per tutte le persone in età di apprendimento fino ai 18 anni, 
è necessario investire, investire, investire. Per la civilizzazione del Paese.
O no?
Severo Laleo

mercoledì 6 maggio 2020

Il ritardo



Nooo! Stefania, hai visto il tabellone? 
Il nostro treno viaggia con 70’ di ritardo. 
Ci tocca aspettare. E vabbè!
Si va alla Feltrinelli, dai, un’ora di full immersion! 
Tanto la Feltrinelli non delude mai. 
Hai ragione, l’ultima volta ho scoperto un godibile Murakami, ricordi?
Dovresti leggerlo anche tu, Murakami.
La stazione non è più chiassosa come un tempo.
La dislocazione delle persone è a macchia di leopardo, 
almeno oggi, con tutti questi ritardi da controllare. 
Un gruppo con valigia qua, un altro là, 
con gli occhi ai tabelloni continuamente cangianti, 
mentre la voce degli avvisi sembra vagare in alto per il soffitto 
senza un destinatario, anche se ogni tanto pare catturare 
e bloccare per un attimo nella corsa qualche ritardatario 
dallo sguardo incerto. E capisci subito chi è, dal suo improvviso 
frenare con la testa tesa ad ascoltare. 
Non c’è più il via vai disordinato di una volta, 
ma un altro agitato disordine sì, insieme di movimento 
e di soste da impalati in ogni punto con capo chino 
a uno smartphone, silente ai colpi leggeri di diti a scorrimento veloce.
Per fortuna c’è ancora chi ama il piacere del cioccolato: 
anche là non una macchia, ma una vecchia fila, in calma attesa 
di una gioia al palato.
Ecco, Stefy, è pronto il nostro treno, al binario 13. Si parte.
Si corre. Un sole potente, sia pure al tramonto, schiaccia di luce 
intimidite nuvole bianche, basse filanti, mentre la campagna 
ti abbraccia con i suoi alti pini chiassosi, 
redarguiti da un filare cupo di cipressi, silenziosi e pazienti.
E sorge la luna, sembra una sfacciata; si mostra libera, 
non è composta. Ma le gallerie non perdonano, e la puniscono, 
chiudendola alla vista. Per fortuna, sollevandosi in cielo, 
guarda ora con più cognizione il mondo, 
e s'è fatta seria! Troppo.
Stefy, vieni, si scende.

venerdì 1 maggio 2020

Pro memoria coronavirus: 6. parità uomo-donna

Oggi Primo Maggio, giorno di mughetti a Marseille, è possibile leggere
sulla stampa due interventi molto utili per dare finalmente (almeno si spera)
una soluzione nuova, dopo la tempesta coronavirus, al gran tema della parità 
uomini/donne, soprattutto là dove in modo diretto o indiretto si preparano 
le decisioni più importanti per la vita sociale del Paese.
Il primo intervento è una sintesi, sia pur rapida, a cura di Stefania Di Lellis,
pubblicata su la Repubblica, di un recente studio, realizzato,
prima di questa crisi sanitaria, da un istituto di ricerca statunitense
specializzato, tra l’altro, in sondaggi di opinione.
Ebbene, secondo questo studio, nel mondo esiste un accordo quasi unanime
sull'importanza della parità uomo-donna.
In pochi altri campi abbiamo trovato una simile consonanza
come sull'uguaglianza di genere” ci dice la ricercatrice Janell Fetterolf,
una delle due autrici del rapporto. L’istituto ha sondato 38.426 persone
in 34 paesi e il 94% degli intervistati ha definito "importante" che le donne
abbiano gli stessi diritti degli uomini. Una percentuale che in Italia 
tocca il 95%.
L’altro intervento è una lettera aperta -un’utile sintesi si può leggere 
su rainews.ita cura di molte scienziate italiane, le quali, 
dopo aver ricordato la presenza maggioritaria delle donne 
tra il personale sanitario ("Le donne sono la maggioranza tra chi è
in prima linea contro il Covid”), così scrivono,
abbandonando la posizione di chi è sempre costretto a chiedere:
da ora in avanti pretendiamo che un equilibrio di genere negli organi
di rappresentanza e nelle commissioni tecniche e scientifiche
sia una priorità assoluta". E addirittura aggiungono, forse solo
per sottolineare una differenza di approccio, che "molti dei Capi di Stato
dei Paesi che hanno risposto meglio alla pandemia sono donne".

Queste scienziate raccontano, senza inutili polemiche, un dato di fatto,
e avrebbero ragione da vendere, anche se le donne non fossero
la maggioranza tra chi combatte a ogni livello il virus.

Quando ancora si dovrà aspettare perché una legge (e non l’attenzione
o, peggio, la generosità del governante di turno) stabilisca l’obbligo
della parità uomo-donna in ogni sede decisionale o consultiva 
delle istituzioni, a partire dal Consiglio dei Ministri?
Forse si potrebbe anche andare oltre, e porre al vaglio della critica storica
l’origine, l’evoluzione e, perché no?, i tanti guasti del monocratismo
(quasi sempre interpretato da un maschio) per aprire la strada
forme di potere a guida duale, con un uomo e una donna insieme.
O no?
Severo Laleo


venerdì 24 aprile 2020

Promemoria coronavirus: 5. il capo politico del M5S

Lettera aperta al M5S: i tempi duri aprano a soluzioni nuove.

Nella motivazione del rinvio dell'elezione del "capo politico" del M5S
il riferimento all'attuale situazione emergenziale è chiarissimo (e giusto).
Ecco il testo: "Stiamo attraversando un momento di emergenza sanitaria, 
sociale ed economica senza precedenti e tutte le nostre forze devono 
essere concentrate nell'unico obiettivo di accompagnare questo paese 
a rialzarsi, e per fare questo serve compattezza e unità di intenti. ... 
Il comitato ha ritenuto opportuno rinviare le elezioni del nuovo capo politico 
ad un momento successivo e su questo ha richiesto una interpretazione 
autentica al garante del MoVimento, Beppe Grillo, il quale ha ribadito 
che non solo è ammissibile, ma indispensabile, alla luce della eccezionale 
condizione in cui sta versando il paese, che si attenda la normalizzazione 
della situazione prima di procedere all'indizione della elezione 
del nuovo capo politico”.
Se è giusto attendere la normalizzazione, è forse giusto continuare domani
senza cambiamenti? Di qui il senso di questa proposta.
La pandemia ha svelato situazioni contraddittorie: da una parte,
a livello di istituzioni, in più cabine di regia, è completamente assente l'opera
e la visione femminile dei problemi, dall'altra, nella società, l'opera
e la visione femminile dell'agire è di gran lunga la più presente.
Scrive la senatrice Valeria Valente: "il lavoro delle donne sta sorreggendo 
il sistema Italia. I due terzi delle donne occupate, 6 milioni 440 mila 
su 9 milioni 872 mila, stanno continuando a prestare la propria opera 
perché impegnate in settori strategici, come il Sistema sanitario nazionale 
(dove i 2/3 sono donne) e la cura domiciliare di anziani non autosufficienti, 
la scuola, la vendita di alimenti, i servizi bancari e assicurativi, 
i servizi nella PA. ... L’Italia scopre in questo momento l’importanza 
e il valore del lavoro e del contributo delle donne alla lotta 
contro il Coronavirus, sia nelle famiglie che nella società."

Se questa è la fotografia del nostro paese in questa emergenza sanitaria, 
sociale ed economica, non è forse venuto il tempo di eleggere non più
il vecchio unico "capo politico", ma insieme una donna e un uomo, una coppia,
con il compito di esercitare una guida duale?
C'è un pensiero femminile (scrive Livia Turco: "Ci sono pensieri e categorie 
politiche elaborate dalle donne nel corso del tempo che sono cruciali 
per misurarsi con le sfide di oggi: coscienza del limite; tempi di vita 
e tempi di lavoro; il no alla mercificazione dei corpi...") da rappresentare,
ormai è necessario, nelle sedi alte delle decisioni politiche.
La guida duale elabora, prima della decisione, una mappa più ampia
sia delle possibili problematiche sia delle molteplici strategie di soluzione.
Man or woman, you need both masculine and feminine traits to thrive 
in today's world” (The Athena Doctrine).
O no?
Severo Laleo

mercoledì 22 aprile 2020

Promemoria coronavirus: 4. le donne


Erano tempi di primavera anche sette anni fa,
quando, per trovare una via d’uscita alle difficoltà sorte
nella formazione di un nuovo Governo dopo le politiche 2013,
il Presidente Napolitano nominò una commissione
(con l’esclusione di esperti provenienti dal M5S) di dieci saggi
(si fa per dire!) per elaborare un programma di riforme
a livello istituzionale ed economico.
Una commissione, appunto, propriamente di dieci saggi,
cioè di dieci maschietti, senza l’ombra di una saggia!
E già allora non mancarono le critiche alla scelta maschilista
del Presidente della Repubblica.

Nella primavera di quest’anno, per trovare una via d’uscita 
alle difficoltà di gestione dell’emergenza coronavirus, sono 
all'opera due Comitati; nel Comitato Tecnico Scientifico, 
zeppo di ben venti esperti di ogni utile settore, la presenza 
delle donne è uguale a zero. Zero!
E nel Comitato di Esperti (Task Force) per la Fase 2, 
sotto la guida, per un caso, di un uomo, Vittorio Colao, figurano 
quattro donne su diciassette. 4/17!

Un progresso rispetto ai Dieci Saggi e al Comitato Tecnico 
Scientifico. Chiaramente anche questa volta non sono 
mancate le critiche, da tante parti. Anche la Bonino
che è a suo modo per la meritocrazia* contro le quote rosa, 
ha dichiarato in un’intervista al Corriere della Sera:
In Italia la parità di genere esiste solo il sabato e alla domenica 
nei convegni. Poi dal lunedì chi ha il potere reinserisce 
il pilota automatico e sceglie gli uomini che conosce, 
di cui è amico, che gli girano intorno”. Proprio così.
E invoca: "Dateci voce".
Chiaro. D’accordo. Ma non si può sempre stare a chiedere, 
molto spesso al solito maschio al Potere, di tener presenti 
le donne. Non se ne può più.
Uomini e donne pari sono, di numero e per ogni altra dote umana,
nel bene e nel male. Quando si tratta di nominare Comitati
stabilisca la legge, una volta per tutte, la presenza pari 
di uomini e donne. 
La soluzione è facile e sarà senza dubbio all'unanimità o quasi:
forse qualche maschilista in giro ancora c’è.
O no?
Severo Laleo


*P.S. A proposito di meritocrazia vorrei riportare questo brano 
tratto dal libro della Gruber, “Basta!”, è da attribuire 
a Criado PerezIn tutto il mondo, nella maggioranza 
delle decisioni di assunzione, la meritocrazia è un mito. 
Serve a coprire il pregiudizio positivo che avvantaggia 
i maschi bianchi.”


lunedì 20 aprile 2020

“Basta!”: anche la Gruber non giunge al bicratismo





Caro Scapece,
e chi avrebbe mai potuto immaginare una simile situazione
(speriamo non duratura)! E per colpa di un virus!
Chiusi entrambi in due città del mediterraneo per antonomasia aperte,
con il loro mare e con i loro porti, sicuri e accoglienti, per millenaria storia,
con i loro odori inconfondibili e avvolgenti (smog permettendo).
E con i loro rumori di fondo continui, tra i movimenti di lavoro
e il vociare disordinato e straordinariamente musicale.
Dov'è ora l’ammuina? Ingoiata nel deserto del Rettifilo!
E deserta è anche la Canabière, privata del suo via vai multicolore,
corposamente mediterraneo. Ma non la vedrò per ora,
dovrò accontentarmi di scendere in Boulevard Chave
e seguire sognando il timido e gentile suo amico tram.
Ora il faut rispettare le misure, per tornare domani a respirare all'aperto,
a mare, appena possibile. Va bene! E’ per il bene di tutti!
Le regole sono da rispettare, ma fuori di qui qualche sindaco è andato
oltre il senso comune: concede un’uscita di casa a non più di 10 metri
dall'abitazione. 10 metri! E se il cassonetto dell’immondizia è a 50 metri?
Mah! Per salvare il corpo non bisogna perdere la ragione. O no?
Senti, vorrei parlarti del libro della Gruber, Basta! letto in verità già da tempo,
ma solo ora riesco a raccogliere gli appunti sparsi, registrati durante
la lettura. Scusami quindi se sarò disordinato.
Il titolo è gridato, oltre la misura sempre mostrata da Gruber:
Il potere delle donne contro la politica del testosterone BASTA!
Un libro letto con piacere, chiaro e diretto (p. 20: una ciurma di maschi
sbracati sta imperversando nelle stanze dei bottoni da troppo tempo,
in tutto il mondo. Seminano violenza, alimentano le paranoie
di una minoranza, ignorano i bisogni della maggioranza,
inseguono il miraggio di un potere assoluto quanto sterile.
In Italia abbiamo avuto come vicepremier uno dei più pittoreschi,
non credo il più pericoloso.”), con una tesi precisa
e un invito secco: “Spero che i capi-partito...facciamo come
Ursula von der Leyen, costruendo squadre fifty-fifty.
Mettendo la parità finalmente al primo posto dei loro programmi
e le donne nelle posizioni <<sicure>> delle liste”.
E qui Gruber cade. Si rivolge ai capi-partito maschi perché aprano
al fifty-fifty, alla parità, a posti sicuri nelle liste. Un’invocazione,
una preghiera del tutto fuori luogo, specie in questo libro;
la parità non può essere una concessione octroyée, ma semplicemente
una legge di Stato. Eppure Gruber più volte tocca il tema dell’importanza
della compresenza/collaborazione uomo/donna, da una parte sa
che la guerra tra i sessi è inutile (p. 85: “nel migliore dei mondi possibili
non servirebbe la guerra. Si può vincere tutti insieme.), dall'altra
racconta del vantaggio, ben misurabile in termini di concorrenza
tra aziende, della maggiore diversità di genere (v. p. 85).
E su questo si leggano ancora (pp. 103/04): l’articolo pubblicato su Le Monde
a cura di importanti organizzazioni femministe, l'intervento battagliero,
sempre su Le Monde, di Emma Thompson, e il commento di Criado Perez
sulla meritocrazia. Illuminanti. Speriamo, continua Gruber, nella determinazione 
delle over 60 (p. 114)! Le giovani di oggi sono più male-friendly,
ma quando è necessario bisogna lottare (p. 115), perché “nessun uomo 
sa essere femminista quanto una donna. Nemmeno Jacques”!
D’accordo, anche se Jacques, il suo compagno, si rifà, recupera cioè,
a p. 123, con una specie di esplosione, quando difende con calore la candidatura
di una Presidente(ssa) per gli Stati Uniti.

La sua vis polemica colpisce a fondo il bersaglio maschio alfa,
ti vien voglia di dire: “brava, ben detto!”, ma preferisco Gruber analista,
proiettata nel futuro: “la battaglia per i diritti femminili si inquadra
in una guerra più ampia che è quella di una miglior distribuzione
della ricchezza e delle opportunità. La battaglia per la dignità femminile
si intreccia con quella contro la speculazione e la corruzione,
che sono le due malattie fatali del nostro tempo [non solo, via!]
e delle nostre democrazie. Di ineguaglianza si muore e se ai padroni
del mondo la cosa non interessa è tempo che cambino idea.
O meglio, è tempo di un bel ricambio ai vertici.
Son gradevoli anche gli intermezzi, mai fuori contesto, quali i riferimenti
alla sua biografia e il chiamare in causa amorevolmente il suo compagno.


Ma l’ottima Gruber si ferma purtroppo alle raccomandazioni, grida “Basta!”,
ma non tocca la struttura maschilista del potere, tutta costruita, nell’atavico
duello tra maschi, e sul suo esito storico, il monocratismo.
Eppure, se nel saggio The Athena Doctrine si legge di un 81%
di intervistate/i d’accordo su questa affermazione
(ho trovato nel web la slide): “Man or woman,
you need both masculine and feminine traits to thrive in today's world”,
un qualche timido spiraglio si sarebbe potuto cogliere per la realizzazione
O no?
Stammi bene, Scapece, e, nell’attesa di una passeggiata insieme a Mergellina,
sempre buone cose.
Severo

domenica 19 aprile 2020

Michele Serra e la scoperta del limite




Pare che il coronavirus sia riuscito a trascinare
la parola “limite”, e il suo significato, fuori dal ghetto
dell’impopolarità per lanciarla nel dibattito di oggi.
Almeno questo scrive, e vale la pena riportare tutto il brano,
Serra nella sua rubrica su la Repubblica:
Il concetto di limite dovrà essere riesumato dal sarcofago
[esagerato!] nel quale è stato rinchiuso molto tempo fa.
E’ un concetto impopolare, tipicamente di minoranza,
maneggiato con estenuata tenacia da conventicole ambientaliste,
autorevoli scocciatori come il club di Roma, studiosi molto
meno ascoltati di quanto sia oggi il più scarso dei virologi
e spesso di essere tacciati di menagramo. Di qui in poi,
per forze di cose, “limite” diventerà un concetto pop.”

Grazie Michele, la tua saggezza oggi appare confortante.
In verità, oltre alle conventicole ambientaliste e a qualche
menagramo, l’idea di limite è stata coltivata sin dall’antichità.
Scrivono per esempio nel loro manifesto les convivialistes:
de tous temps penseurs, sages ou philosophes, ont cherché
les moyens à s'opposer à la démesure (hybris)”.
Eppure, più recentemente, e a prescindere appunto dal coronavirus,
Bodei, il filosofo, aveva già indicato l’opportunità di praticare
Dispiace, quindi, ma non è mai troppo tardi, dare il merito
al coronavirus.
O no?
Severo Laleo

sabato 11 aprile 2020

Promemoria coronavirus: 3. le tasse




Qualcuno tra i deputati del Pd, anzi il capogruppo alla Camera, Del Rio,
ha proposto, al fine di raccogliere fondi a favore delle famiglie più bisognose,
un contributo di solidarietà da versarsi, secondo criteri di progressività,
da parte di chi ha un reddito annuo superiore a 80.000 euro.
In breve, per un periodo limitato a due anni, un atto di solidarietà
da parte di chi non ha bisogno nei confronti di chi ha tanto bisogno.
Proposta semplice, chiara, onesta, sensata, socialmente utile a rinvigorire
il sentimento dell’unità di patria. Qui, con corretta completezza, la notizia.

Apriti cielo.
Per Italia Viva è “una follia”, proprio così, una follia; per il M5Snon esiste”,
per Contenon se ne parla”. E questa è la maggioranza!
Anche nel Pd i soliti distinguo, ma almeno in ambito dialogico.
Le opposizioni si trovano a proprio agio sull'argomento,
dimostrando tutta la cecità di una visione dogmatica, senza eccezioni.
Prigionieri di un'ideologia fuori misura.
Ascoltiamo qualche campione della difesa dell’intoccabile reddito alto.
Taiani: “La patrimoniale [e non è una patrimoniale: ma, si sa, la parola
fa paura al popolo italiano!] è inaccettabile. Ci opporremo con tutte
le nostre forze [esagerato: solo per salvare degli spiccioli ai benestanti?]
ad ogni tentativo di mettere le mani nelle tasche e nei conti degli italiani.
Il governo deve dare non togliere ai cittadini. Non c'è bisogno
di un nuovo sceriffo di Nottingham”. Testuale!
Salvini, con l’abituale sua eleganza, grida accorato il suo: “Sono matti. 
Li fermeremo!” E già, prima gli italiani, specie se abbienti.
Il colpo di grazia è assestato da Meloni: “Per noi la patrimoniale [e dagli!]
è un furto e lo impediremo con ogni mezzo.” Evviva!

Esiste nel nostro bel Paese un riflesso condizionato quando si parla di tasse,
se persino una condizione di emergenza di così dolorosa gravità
non riesce a spingere la nostra classe politica, tutta, a disegnare strategie
di solidarietà. Niente. Gli occhi della ragione sono chiusi.
La risposta è sempre uguale: guai a toccare chi ha di più.

Eppure la società civile offre un altro spettacolo: volontarie e volontari
disponibili fino all'ammirazione in attività di solidarietà (danno sé stesse/i); 
tante altre persone pronte a rispondere all'invito di versare un contributo 
per la Protezione Civile (ognuna/o dona secondo il proprio reddito); 
infine tante/i donne e uomini (soprattutto donne, in questa emergenza) 
con turni faticosi e pesanti continuano a prestare un’opera fondamentale 
per garantire a tutta la popolazione, con alti e bassi redditi, i beni essenziali, 
e molto spesso con salari penosi.
Ma, si sa, la società civile, con le riserve del caso, dimostra di essere più avanti
del ceto politico. E, al di là del contributo di solidarietà di oggi,
attenderà indignata una riforma fiscale per una più equa, ben calibrata,
distribuzione della ricchezza. E, sono convinto, molte tra le persone 
con più di 80.000 euro di reddito sarebbero ben disposte a partecipare
a un fondo di solidarietà. Ah, se si potesse lanciare una petizione!

La civiltà di un paese libero e democratico, rispettoso della dignità
di ogni persona, a partire dalla tutela del suo benessere fisico, si misura
sulla contribuzione, ciascuno secondo il proprio reddito, alle spese generali
dell’intero sistema statale, utile a tutti senza distinzioni di classe.

Per ora forse c’è da vergognarsi di tanta cocciutaggine di gran parte
dei nostri rappresentanti in Parlamento nel salvare i redditi alti
(spesso alti, complice un’evasione fiscale tollerata).

O no?
Severo Laleo


martedì 7 aprile 2020

Promemoria coronavirus: 2. la scuola




Oggi, nel giorno di San Giovanni Battista de La Salle, teologo francese
morto nel 1719, e con buone pratiche educative al suo attivo,
leggo su Huffington Post un articolo di Fulvio Abbate con la parola
scuola nel titolo. In verità, t’accorgi subito, si parla d’altro.
La prosa del nostro Abbate è spesso gradevole, ti immerge,
ancora assonnato, in una ciotola di brulicante muesli, e tiene,
almeno in questo caso, a non scivolare, a suo modo, lungo il crinale
del lieve dileggio, ma il suo dire appare completamente
inutile e fuori posto: in una situazione di emergenza qual è l’attuale,
la sua analisi è tutta centrata sulla figura della ministra (un antico
maschilismo svolge bene il suo compitino!) e per niente sui problemi
della scuola. Il nostro buon Abbate gioca con le parole,
sente pur il bisogno di citare la docimologia, ma il suo intento
è di accusare di “scena mutal’insegnante Azzolina.
Caro il nostro Abbate, oggi abbiamo tutti bisogno di parole pesanti,
di parole da lanciare nelle relazioni sociali, ciascuno dal suo
confinement, per un solo scopo, per contribuire a trovare soluzioni.
Le usi, e costruiremo insieme una sovranità conviviale!
La ministra Azzolina, avendo dalla sua, da insegnante, le qualità
dell’ascolto, della prudenza e della pazienza, saprà svolgere il suo compito
al meglio e al momento opportuno. In ogni caso nessuno perderà
il diritto di critica. Per ora scena muta” e “boh”, per usare
i creativi termini dell’Abbate, non sono compagni dell’arroganza.
La pandemia ha costretto tutti a fare i conti con il sistema scuola,
e soprattutto con la didattica e la valutazione.
Si potrà finalmente riflettere sul superamento definitivo della didattica 
tradizionale, tutta centrata sul trinomio lezione-interrogaziome-voto 
in un luogo chiuso, a volte angusto e non sicuro, tra banchi e cattedra?
Si potrà finalmente pensare a una scuola dove ogni minore abbia 
la possibilità di apprendere il proprio sapere e agire libero
senza il condizionamento della valutazione e del merito?
Più chiaramente: la scuola, nel rispetto della singolarità di ogni persona 
discente, deve poter usare tutte le strategie possibili, con impiego largo 
di risorse strumentali e umane, perché il successo scolastico sia per tutti.
E non serve certo un 6 politico per scavalcare la classe e andare avanti.
E non è utile a nessuno un passaggio burocratico da una classe all’altra,
complice una falsa, contrattata, ipocrita, pagella/esame.
Per una società migliore, è necessaria la promozione reale 
di tutte le persone in età di apprendimento, tutte, e la scuola per questo motivo 
è chiamata a offrire a ciascuno secondo i propri limiti e le proprie attitudini
il cammino della “promozione”.
O no?
Severo Laleo