martedì 27 gennaio 2015

27 Gennaio, Obbedienza e Violenza



Se ieri nei campi di concentramento, e fuori, la Violenza
è stata possibile, d’ogni tipo, dalla riduzione
della persona a oggetto fino alla sua fisica eliminazione,
e se ancora oggi la Violenza genera i suoi esecutori di morte,
in tante parti del mondo, è perché gli uomini, per secoli,
sono stati abituati/addestrati più a credere, andar dietro
e obbedire a un Potere di un Altro,
e meno a credere, andar dietro e obbedire al Potere dell’Io.
Sì, Potere dell’Io. Personale. Tribunale dell’Io.
Anzi, ogni concessione al Potere di un Altro è una rinuncia
a sovranità/responsabilità personale. E con la rinuncia
al dovere del libero Tribunale dell’Io, si scivola a schiavo.

Quando la Costituzione recita “La sovranità appartiene
al Popolo” vuol dire che ogni persona, nella sua singolarità,
ha la sua parte di sovranità. Da gestire in libertà.
Senza obbligo di obbedienza di nessuna specie.
Quando la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani recita
Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. 
Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni 
verso gli altri in spirito di fratellanza” vuol dire che ogni persona,
nella sua singolare dignità, è responsabile di ogni sua libera personale 
azione nei confronti di chiunque. In ragione, in coscienza, in fratellanza.
E non potrà nascondersi dietro il dovere dell’obbedienza.

Scriveva don Milani, profeticamente:
Ci presentavano l'Impero [durante il Fascismo] come una gloria 
della Patria! Avevo 13 anni. Mi par oggi. Saltavo di gioia per l'Impero. 
I nostri maestri s'erano dimenticati di dirci che gli etiopici erano migliori 
di noi. Che andavamo a bruciare le loro capanne con dentro le loro donne 
e i loro bambini mentre loro non ci avevano fatto nulla. Quella scuola vile, 
consciamente o inconsciamente non so, preparava gli orrori di tre anni dopo. 
Preparava milioni di soldati obbedienti. Obbedienti agli ordini
di Mussolini. Anzi, per essere più precisi, obbedienti agli ordini di Hitler. 
Cinquanta milioni di morti … A dar retta ai teorici dell'obbedienza
e a certi tribunali tedeschi, dell'assassinio di sei milioni di ebrei 
risponderà solo Hitler. Ma Hitler era irresponsabile perché pazzo. 
Dunque quel delitto non è mai avvenuto perché non ha autore. 
C'è un modo solo per uscire
da questo macabro gioco di parole. Avere il coraggio di dire ai giovani
che essi sono tutti sovrani, per cui l'obbedienza non è ormai più una virtù, 
ma la più subdola delle tentazioni, che non credano di potersene far scudo 
né davanti agli uomini né davanti a Dio, che bisogna che si sentano ognuno 
l'unico responsabile di tutto”.

Scriveva il pastore Walter Hochstadter, nell’estate del 1944, 
seguendo solo il Tribunale della sua coscienza cristiana, 
condannando l’assurda mentalità antisemita dell’intera Germania:
Viviamo in un’epoca dilaniata da idee folli e demoniache, come
nel Medioevo. Invece di immergersi nell’orgia delirante della caccia
alle streghe, la nostra epoca "illuminata" si concede un’orgia 
di maniacale odio per gli ebrei. Oggi questa follia è entrata nella fase acuta.
La chiesa, la comunità di Gesù Cristo, non può non riconoscerlo;
se non lo farà avrà mancato, così come mancò allora, al tempo
della caccia alle streghe. Oggi il sangue di milioni di ebrei massacrati, 
uomini, donne, bambini, grida vendetta al cielo. 
Alla chiesa non è consentito di tacere”.

Eppure uomini e donne ancora obbediscono al Potere di un Altro.
E generano violenza. D'ogni tipo, manifesta e subdola.
O no?

Severo Laleo 

domenica 25 gennaio 2015

Human Factor? Per stare insieme a sinistra leadership duale e sorteggio



Si è chiusa a Milano con Human Factor la Leopolda di Sel,
proprio nel giorno della rinascita, in Grecia,
della Grande Sinistra e del suo significato,
anzi delle ragioni del suo esistere. In verità una necessità.
Sì, è vero, a Milano Sel ha svolto una sua Leopolda,
ma la differenza politica è enorme: mentre la Leopolda
di Firenze è, comunque, il chiudersi, insieme a sincere
persone in cerca di cambiamento, di molti ambiziosi,
interessati e ubbidienti, intorno al proprio “Leader” nazionale
(un giorno, in Italia, si dovrà pur chiarire il significato di leader,
specie se si ritiene lecito, per un leader, il parlare per noi
con condannati e imputati e l’usare di nascosto la manina),
la Leopolda di Milano è stato l’aprirsi di tante persone
di provenienze diverse intorno a un progetto collettivo,
da costruire insieme tra persone alla pari, senza “il leader
(anzi con una leadership collegiale). Bene!

Eppure in Italia una nuova struttura di aggregazione
di una sinistra storicamente sparpagliata, rissosa,
individualista e impotente dovrà sperimentare strumenti
originali per stare insieme. In stabilità di idee e di programmi.
Se non si cambia, si muore, e con noi muore, purtroppo,
anche la democrazia, così come delineata dalla nostra Costituzione, 
democrazia ormai appaltata al leaderismo della neoconservazione.

Ma se i metodi e gli strumenti per stare dentro il partito
della sinistra sono sempre gli stessi, ora legati a vincoli
di provenienze ora caratterizzati da lotte per conquistare posizioni, 
sarà difficile offrire una reale apertura a nuovi accoglimenti.
Forse bisogna sperimentare qualcosa di “nuovo”.  

Le persone, specie se giovani e interessate a intraprendere
un nuovo impegno in politica a servizio del bene comune,
devono sapere che nel nuovo partito:

1. non esiste un leader decisore, un leader capo, un monocrate, 
ma una leadership di servizio, senza alcun “affidamento totale
al ‘capo’”, che è sempre un/a singolo/a;
2. anzi la leadership di servizio è affidata a una coppia, un uomo, 
un Carlo, e una donna, una Rosa; una leadership duale;
3. la dirigenza non è scelta con la ricerca del voto comunque,
con le intese tra gruppi/cordate, con passaggi a volo tra correnti,
ma per sorteggio, sempre garantendo parità uomini/donne,
da un elenco di persone disponibili a candidarsi approvato
a grande maggioranza, secondo criteri definiti in trasparenza piena, 
nelle sedi di competenza dagli organismi dirigenti;
4. l’autofinanziamento è obbligatorio e riservato solo a persone iscritte, 
con quote definite o libere, ma mensili, in continuità nell’anno;
5. la battaglia per il finanziamento pubblico dei partiti è principio
di democrazia egualitaria;
6. la democrazia non può abbandonare nei sistemi elettorali il diritto 
di proporzionale rappresentanza per garantire il dovere della governabilità; 
7. la visibilità è da trasferire dai talk show, dai format dall’alto,
dalle manifestazioni “centrali”, ai luoghi aperti, in ogni territorio 
dove operi un circolo, per incontrare nuove persone
attraverso la nostra presenza di discussione, magari organizzando 
su un tema forte (lavoro, legge elettorale, solidarietà, diritti)
tanti sit in di discussione in tanti luoghi diversi
ma in contemporanea;  la visibilità delle persone nella pratica
della politica e non del semplice ascolto. 

Con altre parole, il nuovo partito della sinistra sarà un partito/comunità, 
un partito/convivio, un partito/essere insieme, un  partito/solidarietà, 
un partito/mutuosoccorso, un “luogo reale”, fisico, dove regole nuove 
e trasparenti rendono possibile una relazione “alla pari” tra le persone, 
dove la dirigenza sarà scelta anche per “sorteggio”, dove uomini e donne, 
in spirito di servizio, siederanno “in pari numero” nei posti
di guida, dove non si eleggerà a “capo” un “singolo”, spesso
un maschio, ma una “coppia”,  un uomo e una donna 
(si tratta di passare dal monocratismo di sempre, forma di potere erede 
storica del maschilismo, al “governo duale”, al bicratismo del futuro). 
Il cambiamento non è un desiderio, è un progetto
e ha bisogno di sperimentazioni.
O no?

Severo Laleo


martedì 20 gennaio 2015

O il 'capo' o la libertà. La democrazia del sorteggio




E'  stato detto da un Segretario di Partito (il nome è irrilevante,
perché non è un discorso contra personam, ma vale per tutti e per sempre):
"Cofferati è in Europa con i voti del Partito democratico…
Io rispetto la scelta, quando si perde fa male ma non si va via.
Se aveva problemi sui valori poteva dirlo sei mesi prima
quando sempre io l'ho candidato alle europee."
C'e' troppo di vecchio in questo modo di ragionare.
Troppo, e sa anche di muffigno medievale. Premoderno.
In una democrazia nuova, aperta, moderna, ricca di idee,
e di persone alla pari, non deve mai essere possibile che un 'Io',
sia pure un Segretario, possa dire "Ti ho candidato",
lasciando presagire una condizione, per il candidato,
di dipendenza assoluta e/o di gratitudine servizievole e ubbidiente.
La scelta dei candidati non deve, in una democrazia libera
di persone alla pari, essere affidata a 'Uno', ma deve scaturire
da altri metodi di selezione non vincolanti per nessuno.

Al Partito certo dovrà toccare l'approvazione dell’elenco di candidati,
secondo criteri definiti in anticipo e in trasparenza assoluta,
ma solo al sorteggio deve toccare la scelta delle persone.
Perché solo il sorteggio rende liberi, ostacola e frena il malaffare,
e può costruire una comunità politica tra pari.

O no?
Severo Laleo


venerdì 16 gennaio 2015

La leggerezza del Pd e il dovere della sinistra. Genova risvegli il Cofferati del Circo Massimo



Se Andrea Ranieri, una vita a sinistra, alla direzione del Pd svolge un’analisi politica impietosa e documentata delle scorrettezze 
del Pd in occasione delle primarie in Liguria, e se il suo Segretario, senza entrare mai nel merito politico della denuncia, chiude, 
senza generare sussulti di critica, burocraticamente la questione, scoprendo, in zona cesarini, il valore fondamentale ed esclusivo 
del controllo burocratico, addirittura attribuendo valore politico esclusivamente al rifiuto del tafazzismo, vuol dire che il Pd ha già consumato, forse anche in giovanile buona fede, la sua mutazione genetica. E’ presto detto: l’ossessione del vincere per amministrare comunque dà al Pd una nuova natura politica. Un nuovo verso. 

Ora, di fronte alla denuncia di Andrea Ranieri, non smentita 
da nessuno in Direzione Pd, la sinistra, dal Pd a ogni suo frammento disperso, non può non sentire il dovere 
di offrire/presentare alle persone della Liguria un altro modo 
di intendere la politica. Alla Syriza, alla Podemos.
Di fronte alla “tranquilla” leggerezza politica del Pd, una sinistra 
a democrazia trasparente , una sinistra per una democrazia 
dei diritti e degli ultimi, non può cedere, anzi, se non vorrà cambiare natura politica, dovrà, vestendosi semplicemente 
di “serietà”, magari gobettianamente, presentarsi alle elezioni
con il suo progetto unitario (ha senso solo se unitario) per separare il pragmatismo del vincere a tutti i costi di questo Pd leggero
dall’impegno politico serio della sinistra a ricostruire una visione politica di bene comune.  
Perché, a essere semplici, la questione morale è una questione politica di prim’ordine.

O no?
Severo Laleo

martedì 6 gennaio 2015

La democrazia ad personam nell’era Renzi-Berlusconi





Scrive Gad Lerner nel suo blog: “Se davvero Renzi vuol dissipare
il sospetto di una contropartita surrettizia pro-evasori (Berlusconi
in testa), conseguenza indicibile del patto del Nazareno, può ricorrere
a un rimedio semplicissimo: ripristinare il testo originario del decreto fiscale, 
espungendo le manipolazioni successive che lo fanno somigliare piuttosto
a un condono per elusori e evasori, così da approvarlo subito
nel prossimo consiglio dei ministri.
E’ stata infatti unanimemente riconosciuta come pessima la sua idea
di “post-datare” il decreto, rinviandolo a dopo l’elezione del presidente 
della Repubblica. Da destra gli fanno notare che ciò suona ricattatorio.
Da sinistra osservano che il decreto graverebbe come una spada
di Damocle sulla scelta del candidato per il Quirinale.
Dunque Renzi può levarsi d’impaccio da par suo, cioè da velocista, 
approvando subito una versione riveduta e corretta del decreto.
Glielo prospetta oggi Gianni Cuperlo su “La Repubblica”.
Al posto del premier coglierei subito al volo questo ragionevole suggerimento.

Qualcosa non funziona nel suggerimento, che in sé
sa già molto di rito antico, di stantìo: in un Paese normale,
a democrazia reale, dove le persone non sono sudditi,
non può mai meritare nuova fiducia, e non può meritare
quindi suggerimenti di sorta, chi occupando
una qualsiasi carica pubblica abusa proprio della fiducia,
seguendo, in piena e consapevole contraddizione,
il verso di metodi vecchi e persino oscuri.
E il tutto confermato da dichiarazioni ufficiali.
Non solo. Si usano i tempi di approvazione di una legge
senza una logica motivazione sociale, anzi strumentalmente
per inseguire altri fini, altri patti, altri giochi, altro.
Non è, quindi, più il problema di una norma ad personam.
E’ proprio una nuova idea della politica,
con un uso della democrazia ad personam,
pericolosa e primitiva dell’era Berlusconi-Renzi.
E l’assenza di un’indignazione generale, nella stampa
e nelle piazze, pone l’Italia fuori dal novero
delle democrazie civili. 
Nell'attesa degli indignados, forse tocca innanzitutto al Pd trovare 
l’orgoglio della legalità con scelte consequenziali 
e alle opposizioni chiedere le dimissioni di un governo non solo pasticcione
e basta, ma davvero inaffidabile.
E forse tocca al Presidente Napolitano, prima di presentare
le sue dimissioni, di fronte all’esplosione di questa democrazia
ad personam, tutta chiusa nel Patto del Nazareno, sciogliere,
obbedendo a un ultimo dovere costituzionale, un Parlamento
in qualche modo illegittimo e prigioniero di troppi ricatti,
e restituire agli elettori il diritto di scegliere, con il legittimo Consultellum, 
un nuovo Parlamento e nuovi programmi.
Per il bene comune e per la serenità di tutti.

O no?

Severo Laleo

Il Salva-Berlusconi, la trasparenza e il bicratismo




L'affidabilità delle istituzioni in democrazia
non può dipendere/appartenere alla sensibilità,
alla bontà, alla “graziosità” delle persone,
anche quando si chiamano Berlusconi o Renzi,
e siano di destra o di sinistra,
ma deve essere definita con chiarezza e garantita
da regole da rispettare senza eccezioni.
E chi salta le regole per sua responsabilità,
diretta o indiretta, salta egli stesso,
in quanto ha governato con l’imbroglio.
Non esiste giustificazione per la doppiezza
nell’esercizio di una funzione pubblica.

La storia del salva-Berlusconi è figlia di questa antica
-il nuovo non è ancora giunto nei paraggi-
visione italiana della democrazia, tutta chiusa,
al momento opportuno, nel cerchio di oscuri decisori
- il Consiglio dei Ministri è apparso in questo caso
un paravento- e tutta affidata a un decisore/capo unico,
un monocrate, al di là del nome pro tempore del decisore/capo,
e purtroppo non indigna più nessuno ormai
-anche se per fortuna gli indignados esistono e in Spagna 
diventeranno forza di governo, almeno si spera-.
Siamo troppo abituati, da sempre in Italia, a seguire un leader,
solo perché bravo a tener banco, a vincere –è questa oggi
la parola tanto magica, quanto vuota- , a prescindere
dal reale progetto/disegno politico; anzi a troppi, a destra,
a sinistra, a centro, proprio la figura del leader “decisionista” 
sembra di nuovo essere il giusto strumento per rendere
moderno il Paese.

Non è così. Moderno forse, ma non a democrazia reale.
Un paese moderno e a democrazia estesa si dà altre regole
per tutelare e estendere la democrazia “totale” e “conviviale”,
la democrazia cioè delle persone, tutte titolate, alla pari,
passaggio per passaggio, attraverso un reale esercizio
di condivisione (dibattiti nei partiti a struttura democratica, 
scioperi, referendum, manifestazioni, consultazioni rapide
via rete), a contare nelle decisioni del Paese, e non solo
con il voto ogni tanto e pure truccato.
L’indignazione appunto è il primo gradino per il passaggio
da suddito con diritto al voto a persona libera con diritto
di intervento per ogni decisione non concordata
nel programma di governo presentato alle elezioni.

Una democrazia moderna deve pretendere, per evitare
i “salva-Berlusconi” e le “originali” procedure  per chiudere
i “salva-Berlusconi”, oggi, e chissà quali altri furbastri
provvedimenti, domani, il rispetto di qualche semplice regola:

1. Una persona con condanna definitiva, anche se rappresenta 
milioni di elettori, non ha titolo a incontrare una qualsiasi carica 
istituzionale per concordare, pubblicamente o in segreto,
una qualsiasi decisione pubblica da prendere nell’interesse
del Paese: in democrazia non esistono persone insostituibili.
Il contrario è un invito a cancellare il limite fondamentale
tra chi rispetta le leggi e chi le leggi ha violato. Ed è questa
una prassi possibile sono in Italia e senza vergogna.

2. Ogni riunione del CdM deve essere pubblica, sempre
in streaming, aperta quindi a chiunque voglia seguirla,
e questo per stabilire una parità di presenza,
pur a seconda del ruolo, tra le persone deputate a decidere
e le persone deputate a seguire/controllare le decisioni.

3. Infine, noti ormai i mali storici e presenti del “leaderismo”,
 è ora di sostituire il Premier unico, salvatore o distruttore
di “Nazioni”, a seconda dei punti di vista, in una parola,
a sostituire il monocratismo (che anche nelle democrazie
moderne altro non è se non l’esito storico del maschilismo),
con il premierato duale, di coppia, un uomo e una donna,
in una parola, il bicratismo.
Il potere decisionale nelle mani di un “singolo
tende a perpetuare l’idea di un potere per “potenti”
tra “potenti”, mentre in una democrazia tra persone alla pari,
in una democrazia conviviale e totale, il potere
è un servizio a tempo per il bene comune,
in trasparenza piena. E il pasticcio arruffone e furbo, a responsabilità 
unica di un Presidente del Consiglio,
è una prova gigante di un potere nelle mani di un “singolo
ad uso dei “potenti”.
E vien da chiedere come è stato possibile giungere a tanto!

O no?

Severo Laleo

martedì 30 dicembre 2014

Il nuovo cuore dell’Europa e le nuove sfide



I giornali riportano oggi –sul finire dell’anno- brani di discorsi
di scambio di saluti tra il Premier d’Italia e il Premier d’Albania.
Entrambi i discorsi meritano spezzoni di citazione.
A futura memoria.

Il primo, l’italiano, dichiara, anche a nome del suo collega: 
"Vogliamo cambiare i nostri paesi e far sì che siano sempre più capaci
di costruire l'ideale europeo … l'Albania è già in Europa: si tratta
di allargare le porte della grande casa europea, perché è giusto e utile.
Siamo molto felici per lo status di candidato dell'Albania, ora bisogna 
correre e far sì che i negoziati siano veloci. Abbiamo deciso di concludere
a Tirana il semestre europeo perché c'è un pezzo di futuro dell'Europa
che verrà e anche di Europa che c'è stata ….Quando qualcuno mette
in discussione l'ingresso dell'Albania e di altri Paesi dei Balcani nell'Ue 
sta sbagliando tutto perché abbiamo bisogno che quest'area non sia solo 
parte, ma sia il cuore dell'Ue, di fronte alle sfide che ci attendono … 
un’Europa come casa della speranza e non solo di vincoli, un luogo
in cui ritrovare il sogno europeo. Che l’Europa sia di casa tra i cittadini, 
non più solo luogo della burocrazia. C’è tanta voglia di un futuro insieme”. 
Nulla da aggiungere: discorso chiarissimo, denso, informato,
da statista del cambiamento, moderno, rapido. E tocca il cuore.

Il secondo, l’albanese, amichevole e concreto, quasi a riempire
di contenuti l’”ideale europeo”, pronto a illustrare “un pezzo di futuro 
dell'Europa che verrà”, anzi il “suo cuore”, deciso a implementare 
il “sogno europeo” e la “voglia di futuro”, tra il sornione e il dritto, 
chiarisce e, a suo agio con l'ironia, puntualizza: "Non vorrei mettere in difficoltà 
Matteo dicendo agli imprenditori venite in Albania perché non ci sono 
i sindacati o venite in Albania perché le tasse sono al 15 per cento
Non voglio mettere in difficoltà il mio amico, dicendo di venire qui 
perché i sindacati ci sono in Italia ma non in Albania". 
Nulla da aggiungere: discorso chiarissimo, denso, informato,
da statista del cambiamento, moderno, con ritmo. E tocca i soldi.
Il primo è un socialista italiano. Gioioso.
Il secondo è un socialista albanese. Allegro.
Insieme sono socialisti in Europa. E “scherzano” insieme. Tra "amici".

Forse un cambiamento serio verrà nell’Occidente, in Europa,
di nuovo dalla Grecia. Il 25 Gennaio.

O no?

Severo Laleo

domenica 28 dicembre 2014

Sinistra Ecologia e Libertà inventa Human Factor: ma perché?



Ma perché Human Factor? Perché SEL, partito di sinistra,
dove sinistra dovrebbe stare, insieme, sia per solidarietà/empatia
nei confronti dei più deboli, sia per realizzazione di programmi
di governo utili ad alleviare i problemi dei più deboli, perché, dunque, 
un partito di sinistra, una sinistra del genere, SEL
deve scrivere un suo nuovo capitolo di futura unità politica
sotto un titolo così privo di chiarezza nella descrizione
della sofferenza degli ultimi?
Human Factor! Qual è la ragione di un parlare così astratto,
così lontano dai bisogni delle persone, così dentro la logica
del “leopoldismo”, almeno per la sensibilità non di pochi?

Al contrario, perché non proviamo noi a tradurre la nostra attenzione, 
pensata e praticata per la “persona” nella sua singolarità 
e nelle sue formazioni sociali, in un titolo più comprensibile
e più “sentito” per tutti? Perché non scriviamo noi una nuova 
pagina di “rivoluzione copernicana”, contro quella di questo Governo 
che scaccia verso l’esterno i “diritti di pari dignità” e pone al “centro” 
la subdola “violenza” del successo del libero imprendere* 
(soprattutto da noi in Italia)? Magari obbligando
tutti i nostri interlocutori, a ogni livello, a porre al “centro
di ogni progetto, di ogni riforma, di ogni interesse, di ogni provvedimento, 
non le “regole nuove -anzi antiche- dell’economia”, ma la “persona” 
nella sua interezza con tutte le sue esigenze
e le sue prerogative, innanzitutto la sua libertà, la sua dignità,
la sua uguaglianza, almeno nei fatti essenziali,  con ogni altra persona, 
in una parola il suo diritto al benessere, cioè a “star bene” con sé e con gli altri, 
attraverso il possesso minimo di “risorse materiali personali” 
e attraverso la possibilità, garantita dalla società, di esercitare 
tutti i suoi diritti alla pari con ogni altra persona?
Eppure basterebbe aprire un fronte politico a tempo indeterminato 
per giungere a fissare un limite alla ricchezza e un limite
alla povertà anche attraverso un sistema fiscale equo,
al servizio del benessere delle persone.
Trasformiamo dunque questo Human Factor in un più “sentito”:
Una politica per le persone”, o parole di più intensa
e semplice sincerità politica.

O no?
Severo Laleo

 *Denuncia Todorov: “La nostra democrazia liberale ha lasciato che l’economia
non dipenda da alcun potere, che sia diretta solo dalle leggi del mercato, senza alcuna 
restrizione delle azioni degli individui e per questo la comunità soffre. L’economia
è diventata indipendente e ribelle a qualsiasi potere politico, e la libertà che acquisiscono
i più potenti è diventata la mancanza di libertà dei meno potenti. Il bene comune 
non è più difeso né tutelato, né se ne pretende il livello minimo indispensabile 
per la comunità. E la volpe libera nel pollaio priva della libertà le galline”.

lunedì 22 dicembre 2014

Una sovranità conviviale per un’opposizione intransigente



Grazie all’originale e sempre interessante rassegna stampa
Cogito, ergo sum - idee e riflessioni contemporaneea cura
della Fondazione Roberto Franceschi, ogni domenica
si ha la possibilità di leggere su svariati campi
del nostro vivere quotidiano più articoli utili a tener vivo
il pensiero e libera l’azione.
Questa volta attira l’attenzione un intervento in campo politico
di Luciano GallinoUno Tsipras per l’Italia” uscito il 16 scorso
su “la Repubblica”.
Scrive Gallino: “Tra coloro che hanno partecipato alle dimostrazioni
per lo sciopero di venerdì 12 dicembre si contano forse numerosi elettori
potenziali per lo sviluppo di una nuova ampia formazione politica,
in grado di opporsi alle catastrofiche politiche di austerità imposte
da Bruxelles e supinamente applicate dal nostro governo. Non si tratta
di fare un esercizio astratto sul futuro del nostro sistema politico.
Se una simile forza di opposizione non si sviluppa, quello che ci attende
è un ulteriore degrado dell’economia e del tessuto sociale, seguito da rivolte 
popolari dagli esiti imprevedibili. Il governo è seduto su un vulcano,
e intanto gioca a far “riforme” che peggiorano la situazione”.
E, per la realizzazione di un fronte di opposizione severa
e convincente all’ottusa austerità dell’Europa, invita
a osservare/seguire i movimenti di opposizione politica
nati, e cresciuti rapidamente, sia pure con modalità differenti,
in Grecia e in Spagna, Syriza e Podemos, i cui programmi
appaiono essere più solidamente social-democratici, concreti 
e adeguati alla situazione attuale della Ue e alle sue cause di quanto 
qualsiasi altro partito europeo abbia finora saputo esprimere”. 
E si chiede: “Al lume delle esperienze di Syriza e Podemos, come
si presenta la situazione italiana? Sulle prime si potrebbe pensare
che quanto rimane di Sel, di Rifondazione, dei Comunisti Italiani, 
insieme con qualche transfuga del Pd, potrebbe dar origine a una coalizione 
simile a quella di Syriza. Purtroppo la storia della nostra sinistra è costellata
da una tal dose di litigiosità, e da un inesausto desiderio di procedere 
comunque a una scissione anche quando si è rimasti in quattro,
da non fare bene sperare sul vigore e la durata della nuova formazione.
Si può solo sperare che la drammaticità della situazione spinga in futuro
a comportamenti meno miopi, ma per farlo bisogna davvero credere 
nell’impossibile. E, alquanto scettico, quasi riducendo il discorso
a una questione di leader, conclude: In ogni caso
non si vede, al momento, da dove potrebbe arrivare la figura di un leader 
simile a Tsipras o a Turrión, colto, agguerrito sui temi europei, capace
di farsi capire e convincere, esponendo al pubblico in modo accessibile
dei temi complessi”.

Indubbiamente il “leader” (sia singolo/monocratico sia duale,
in coppia, un uomo e una donna -è solo un auspicio per il futuro!-)
ha sempre una sua funzione da svolgere, anche di facilitatore
di comprensione di “temi complessi”, ma per un’opposizione intransigente, 
e nuova, e di sinistra, e socialdemocratica, non può essere 
più l’abile “comunicatore/decisore” da spendere nel mercato 
del voto per conquistare/rastrellare consensi grazie soprattutto
ai “suoi”, del leader,  modi/carattere/linguaggio/cultura.
Un leader carismatico non è bastante, per opporsi, a dovere,
al fine di un cambiamento di regole e azioni in Europa,
senza il coinvolgimento diretto e partecipe e sofferente
di una comunità viva di “persone alla pari” in empatia.
Al contrario, il leader carismatico è solo l’ultima opportunità
per il neoriformismo di restaurazione di imporre dall’alto,
a scapito del dibattito democratico diffuso, le sue scelte
contro i diritti delle persone.
Se una speranza s’apre per un’opposizione forte, capace
di indicare le vie per il miglioramento delle condizioni
economiche di tutti, definendo i limiti per una sostenibile diseguaglianza
non è per l’apparizione di un leader,
ma è grazie alla diffusione, nella Grecia della crisi
e della miseria, di nuove comunità di solidarietà;
ed è grazie alla diffusione, nella Spagna degli indignados,
dei circoli di Podemos dove si sperimenta dal vivo
la pratica del protagonismo popolare, in contrasto netto
con altri luoghi della politica italiana dove prevale
il continuo scontro tra rari elettori al seguito di un “capo”.

Gli indignados e i syriziani non sono dei “seguaci
di un leader, sono persone autoliberatesi, per la durezza della crisi, 
dai giochi della “casta politica” e hanno voglia e forza, 
con una partecipazione in piena trasparenza, di trasformare la semplice 
sovranità elettorale di un voto rituale per un leader,
(un voto spesso non “uguale”: la corsa infatti verso sistemi elettorali 
extramaggioritari per la riduzione degli spazi della democrazia
è il progetto più pericoloso del neoriformismo di restaurazione),
in una più radicata, paritaria, senza condizionamenti economici, 
sovranità conviviale. Che è la vera modalità della democrazia.
Ora anche in Italia, leader o non leader, per fortuna sono tantissime 
le persone autoliberatesi,  siatra coloro che hanno partecipato 
alle dimostrazioni per lo sciopero di venerdì 12 dicembre” sia tra coloro
che non hanno partecipato al voto in Emilia e Calabria, e hanno tanta 
voglia di fare democrazia, cioè di esercitare, insieme,
“ la capacità di decidere tra tutti ciò che é di tutti”.

O no?

Severo Laleo

venerdì 12 dicembre 2014

Il buio etico, l’antipolitica pedagogica e il partito nuovo





Una cooperativa, benemerita per il reinserimento dei carcerati,
figlia di un’idea di civiltà, diventa, al contrario -così si scrive-, luogo di incroci 
d’affari mafiosi, senza limiti. Con danno drammatico per i più deboli.
Una classe dirigente, di destra, centro e sinistra, selezionata
-si fa per dire!- per la buona amministrazione, al contrario partecipa -pare-, 
senza senso del limite e del pudore, a suo modo, direttamente e indirettamente, 
al malaffare di sistema mafioso. Con danno drammatico per la democrazia.
Una macchina burocratica, addetta, in più settori dell’amministrazione, 
anche tramite persone insospettabili, al controllo di legalità, 
al contrario facilita, al di là del colore del sindaco,
l’organizzazione mafiaffaristica per godere -a sentire le intercettazioni- 
di stipendi aggiuntivi. Senza limiti e senza l’onor di carica.
Con danno drammatico per la credibilità del Pubblico.
Un partito di governo, a livello locale e non, guidato
da un “nuovo” segretario, impegnato a cambiare
i metodi di gestione di sempre, al contrario continua,
senza limiti -si può dire-, a praticare o a non capire/denunciare
il malaffare e a chiedere pulizia sempre con ritardo
e solo a seguito di inchiesta della magistratura.
Con danno drammatico per la partecipazione alla vita di partito.
La confusione è grande. Ma diventa incomprensibile
quando il Premier, seminatore nuovo di ottimismo non ragionato, 
secondo un’antica e colpevole retorica, per una volta s’intristisce, 
s’adira e annuncia nuove pene e nuove misure di repressione
per i corrotti -si attendono, si spera, rapidi decreti d'urgenza-, 
mentre proprio quei corrotti, al contrario, cenano,
senza timori, al suo desco di partito con mille euro a sedia. 
Con drammatico danno per l’idea di una democrazia alla portata 
di un onesto lavoratore. 
Un danno comunque già perpetrato a suo tempo
contro l’onestà comune, quando non ebbe alcuna difficoltà
a incontrare, per delineare i destini istituzionali del Paese
-almeno questa è versione a nostro uso-, un condannato
per evasione fiscale, indegno di sedere in Senato.
Un drammatico esempio di schiaffo alla sensibilità
delle persone oneste. E un incoraggiamento per molti
a ritenere l’evasione fiscale un reato “tollerabile”.
E più incomprensibile è la confusione se il Presidente
della Repubblica, persona pur degnissima d’ogni rispetto, 
nell’attaccare l’antipolitica lascia, al contrario, nell’ombra 
l’arroganza spesso mafiosa della politica.
Con danno drammatico per le persone indifese,
alle quali altro non è concesso se non rifugiarsi, per disprezzo
del generale decadimento morale, nell’antipolitica.

Ora propria questa antipolitica non è un’antipolitica eversiva
per precisa scelta di rottura e di scardinamento istituzionale, 
ma solo un’antipolitica pedagogica per disperazione,
specie se nell’Emilia Romagna, regione di grande tradizione
democratica, la maggioranza grande della popolazione
si rifiuta di partecipare al voto. “Antipolitica è patologia eversiva”, 
quasi grida il nostro Presidente. E’ vero, in tempi normali, ma diventa oggi, 
in Italia, constatazione fuori contesto.
Anzi è una diagnosi senza anamnesi. Eppure l’anamnesi è nota
al Presidente Napolitano, perché già uomo del Pci.
L’antipolitica, praticata spesso dall’opposizione e, secondo
i comodi, anche da forze di governo,  è sì patologia eversiva
ma è l’esito di un virus eversivo, alimentato da quella diffusa contiguità 
tra politica e malaffare, da quell'uso personale/padronale del voto e dei partiti,
e da quella testarda non-soluzione della questione morale 
proprio nei termini definiti tanti anni fa,
ancora da una persona del Pci, mai dimenticata, E. Berlinguer.

Per uscirne non basta l’inasprimento delle regole processuali
e penali, ma serve il rispetto delle regole democratiche
dentro l’organizzazione politica del partito “nuovo”,
trasformando la subalterna sovranità elettorale,  
ricca solo di un voto a seguito di un leader padrone,
nella paritaria sovranità conviviale, libera di decidere
a seguito di dibattito democratico tra persone alla pari.
Un partito nuovo e una nuova società a sovranità conviviale,
oltre la vuota sovranità elettorale, non è più compatibile
con il mito del leader pigliatutto, e non è più compatibile
con una legge elettorale con premio di maggioranza
e con eletti nominati.
La Politica non è gioco, non è una partita di calcio,
non è un patto di potere, non è affari tra potenti,
non è una compravendita, non è una lotta di ambizioni
senza limiti. La Politica è l’etica agita nella vita pubblica (Crick),
e ha urgente bisogno di un “luogo reale”, fisico, dove regole
nuove e trasparenti rendono possibile una relazione “alla pari
tra le persone, un “luogo reale” dove la dirigenza sia scelta,
almeno per il 50%, per “sorteggio”, dove uomini e donne,
in spirito di servizio, siedono “in pari numero” nei posti di guida, 
non per graziosa concessione, ma per norma deliberata,
dove siano definiti tempi e rotazione degli incarichi,
dove non si elegga a “capo” un “singolo”, spesso un maschio,
ma una “coppia”, un uomo e una donna (si tratta di passare 
dal monocratismo maschilista di sempre al bicratismo di genere del futuro, 
a una forma duale di direzione, dove non sia l’”IO” a dominare, 
ma il “NOI” a cooperare), dove il finanziamento sia, 
da una parte, pubblico (la responsabilità, anche economica,
della continuità democratica è un bene/dovere del Paese),
dall'altra, privato, ma possibile solo a iscritte e iscritti.
Se i partiti e i movimenti sono senza regole di democrazia, trasparenti 
e controllabili,  se non hanno un luogo di condivisione 
delle idee, se non sperimentano, anche dopo aver usato la rete, 
l’ardire del conoscersi/comprendersi, guardandosi negli occhi,
non potranno mai essere in grado di estendere la democrazia
e di costruire una “sovranità conviviale”.
In trasparenza piena e assoluta.
O no?

Severo Laleo

domenica 7 dicembre 2014

“Un bacio, grande capo” e la sottile lezione dai “senegalesi”




Credo non sbagli la Campana, anzi, ha tutte le ragioni del mondo
quando sostiene che “capo”  è epiteto diffuso e bonario.
Quasi affettuoso. E senza malizia. E’ una questione di costume.
Sì, un costume italiano. E solo in Italia è davvero molto diffuso.
Non c’è niente di male, appunto.
Io dico sempre così –si giustifica la Campana-  che c’entra?”
Gli italiani, si sa, sono un popolo di tanti piccoli “capi”,
spesso al servizio di un altro “grande capo”, sempre maschio,
qualunque colore vesta, qualunque ruolo svolga.
E’ una vecchia colpa, tragica, incorreggibile
solo attraverso la politica, perché ogni “capo”, anche se nuovo,
continua a vestire i panni del “capo” salvatore.

E il fatto è ben noto anche ai nostri “fratelli senegalesi”.
Invero, gli ambulanti di origine africana e non solo,
quando in strada si rivolgono al maschio italiano
per aprire un contatto di “vendita” di rapida mercanzia,
usano, tra il simpatico e l’adulatorio canzonante,
il termine "capo":  "Capo, un attimo solo, capo..."
"Grazie, grande capo!" "Ciao, capo!"
Chissà forse per ottenere più facilmente udienza, attenzione,
e buona disposizione d'animo. E forse perché tutti i “senegalesi”,
qualunque sia la terra d’origine,
hanno ben capito il vizio d’animo di noi italiani,
e hanno intuito la nostra aspirazione a diventare/essere “capi
così, a furia di dire “capo, capo”, solleticano il nostro infantilismo.
E giocano con noi, sorridenti, ma senza farsi “schiavi”.
Mai. E per fortuna di tutti.

Ma il popolo italiano è per la gran parte ancora un popolo di “capi”,
è ancora un popolo non abituato a confrontarsi alla pari con gli altri,
nel rispetto di regole civili, trasparenti e uguali per tutti,
e per questo, quando non ha/afferra il comando del capo,
spesso arretra per viltà a schiavo.
E di fronte a un altro “capo” ha sempre paura di perdere,
e per non perdere, in silenzio e complice,
 acquatta a rate la sua intelligenza al potere del “grande capo”.
E chiede/accoglie benevolmente i suoi “favori”, chiudendo un occhio,
se non entrambi. “Familismo amorale” e “danarismo avvilente”.

E’ anche un comportamento figlio del metodo del “ghe pensi mi”,
in Italia sempre all’opera, arrogante, veloce, senza lacci e laccioli.
In una parola italiana, un comportamento mafioso.

Forse quando in Italia crescerà la cultura liberale, a destra e a sinistra, 
e risolta sarà per regole e abiti la questione morale,
nessun “senegalese” dirà più per strada “grande capo”.
E nessuna “campana” suonerà più baci per il suo “capo”.
E sarà il giorno della democrazia tra persone libere, alla pari,
senza gore di mafia.

O no?

Severo Laleo

mercoledì 3 dicembre 2014

Gruber, Cassese e il governo duale



L’altra sera a Otto e Mezzo l’ospite d’onore, il giurista irpino Sabino Cassese
giudice emerito della Corte costituzionale, chiacchierato quale possibile 
Presidente della Repubblica, nelle risposte alle domande, anche puntuali, 
della Gruber ha voluto tenere un atteggiamento benevolo, quasi ecumenico,
nei confronti del Governo e, in qualche passaggio, è sembrato persino 
carezzevole nei confronti del Presidente Renzi.
Per fortuna una corretta Lina Palmerini, osservatrice attenta
del Sole 24, con severo garbo, è riuscita spesso a riportare
il discorso politico dal gioco delle relazioni alle pieghe incrostate
di una difficile realtà.

E a proposito della capacità di innovare del Presidente Renzi,
il giurista Cassese ha voluto ricordare la novità della nomina
nel Governo di un numero di ministre pari al numero dei ministri.
Per l’Italia, certo, una novità.
E la scelta era rimarcata dal fine giurista Cassese con un sorriso
bonario, quasi a conferma del segno inconfutabile del grande cambiamento; 
e l’ottima Gruber, colpita nel suo campo, ha subito espresso la sua condivisione.

Eppure in tanto entusiasmo qualcosa non funziona.
Sia il fine giurista sia l’ottima Gruber, espresso concorde l’apprezzamento, 
di malcelato elogio l’uno, di partecipazione
di genere l’altro, restano prigionieri di un’antica e “naturale
visione del monocratismo, esito storico del maschilismo,
in quanto legano la formazione di un governo con pari numero
di ministre e ministri non a una necessità/obbligo di civiltà politica
ma alla solitaria scelta/decisione/concessione
del potere monocratico –in Italia sempre e solo maschile-
del Presidente del Consiglio, e soddisfatti non riescono
a guardare avanti. Oltre.
La formazione di un governo di uomini e donne in pari numero 
non può essere lasciata in un paese moderno, civile, avanzato,
a un qualsiasi presidente di turno, ma deve essere stabilito
per legge, senza possibilità di scelte discrezionali.
Di più, guardando avanti, se la stessa Presidenza del Consiglio 
fosse organo non più monocratico, ma duale, bicratico,
di coppia uomo/donna, i cambiamenti e in termini di educazione
alla parità, con quel che ne consegue, e in termini di un più maturo confronto 
politico (con una mitigazione del narcisismo a volte esasperato dei leader), 
e, infine, in termini di pienezza umana sia nella comprensione dei bisogni 
sia nella realizzazione delle decisioni, sarebbero facilmente intuibili 
e comunque auspicabili. Altrimenti il “vecchio” continua a resistere
anche quando si prendono decisioni nuove.

O no?

Severo Laleo

domenica 30 novembre 2014

Solidarietà, genitorialità e crisi economica



Firenze. Piazzale  Coop. Un giorno di sole di Novembre.
Una sorridente giovane e un giovane scattante,
vispi nella capigliatura brillante,
diversi per colore di pelle, ma entrambi colorati d’azzurro,
grazie a una fasciatutina dell’unhcr,
con rapidi movimenti vigilano all’entrata,
attenti e pronti all’incontro.
Già di lontano squadrano l’avventore,
muovono qualche passo in apparenza distratto,
e improvvisamente eccoli gioiosi davanti a te
a chiederti un contributo di solidarietà per i Rifugiati.
Le risposte sono le più disparate, sempre cortesi.
Grazie, oggi son di fretta.” “Ho già donato.”
Qualche battuta e via.
Eppure la risposta del signore dai capelli grigi
è più articolata. Ed è tanto sincera quanto amara.
Non ho nulla da donare, davvero, e seppure ho qualcosa
la darò a mio figlio, che non ha ancora un lavoro.
Mi dispiace”.
Il giovane scattante di colpo si blocca. Muto.
La sorridente giovane, mentre il signore dai capelli grigi
va via, forte gli lancia un “Grazie lo stesso”. Mesto.
E oggi sui giornali sia la cronaca di una continua guerra
tra i poveri sia un “13,2% Disoccupazione mai così alta”.
Una perversa crisi economica intristisce la solidarietà.
O no?

Severo Laleo