giovedì 17 marzo 2016

Le trivelle perforano il mare magnum del Pd



Grazie alle trivelle, il Pd è diventato davvero il mare magnum
della Politica Italiana. Anche se, in verità, il caos è profondo
in ogni settore dell’arco partitico, a destra, a centro, a sinistra.
E da tempo. E forse bisogna anche correggere un diffuso sentire.
Questo: si crede, d’ogni parte, che le differenze tra destra
e sinistra siano scomparse. Non è vero. E’ un inganno.
Non sono scomparse le differenze oggettive tra destra e sinistra,
in quanto “luoghi” di deposito di idee e valori e programmi,
ma sono scomparse solo le differenze soggettive tra leader 
e gruppi dirigenti di destra e sinistra, a causa sia di una generale pochezza 
culturale insopportabile, sia di un’appiattita, indifferenziata, omologante 
ambizione di Potere. Il fine è vincere. Anzi comandare.
Agguantare il Potere. Con chi ci sta. A prescindere. 
Con il fine di continuare a detenere il Potere. 
E questa esaltazione del Potere, fatto triste in sé, ha offuscato, 
imperante un diffuso costume politico ad alta maschilizzazione,  
la “cultura della differenza”, rendendo più afona 
la voce di tante donne presenti nella dirigenza politica in ogni settore. 
L’autonomia loquace della differenza si è piegata 
all'esigenza muta dell’obbedienza.

Ieri Monti ha ben elogiato la Merkel, perché governa da grande statista, 
rispettando, al di là di ogni giudizio nel merito,
una sua idea di Governo, senza timore dei sondaggi
e di perdere voti. "Non segue il vento, ma governa".
Con un'idea di Germania, di Europa, di Mondo.
E di bene comune. 
Monti, Merkel. Gente pensosa, seria, oltre i sessanta e i settant’anni.
Al pari di Hilary Clinton, Sanders, Trump.
Ma qual è la differenza tra Trump, Hilary e Sanders? L’età?

Il processo di civilizzazione della società non giunge a segno
attraverso la lotta tra vecchio e nuovo, tra giovani e vecchi,
tra velocità e lentezza, tra arditi e schivi, 
ma attraverso la lotta tra competenti e incompetenti, tra seri e faceti, 
tra riflessione e comunicazione, tra costruzione di lunga durata 
e successo a breve, tra violenza e mitezza. 
Tra i Trump e le Merkel.

Ma quanto ancora bisogna aspettare perché le persone “serie
(la serietà tanto cara al liberale Gobetti), stanche della volgare 
approssimazione politica dell'oggi, e della sua sfacciata disonestà, 
diano inizio a una rivoluzione culturale, etica (semplicemente
in nome dell’onestà) e, attraverso l’esempio, pedagogica, 
nel segno della ricostruzione del pieno rispetto, per una democrazia civile
e paritaria, della legalità, della trasparenza assoluta e del bene comune 
in termini di dignità del vivere?
E dove si rinchiudono, schifati della politica, gli intellettuali?
E’ ora di uscire all'aria aperta, a parlare e ragionare con ogni persona, 
a interrogarsi davanti ai molte/i, a smontare i falsi miti,
a convincere per difendere il bene comune.
Oggi questo bene comune passa sia per la difesa dell’ambiente, 
bene essenziale e indisponibile, impedendo, ad esempio, alle trivelle di ferire
la nostra più invidiata risorsa, la natura dei luoghi,
sia per la difesa della democrazia reale nel rispetto del verdetto
di milioni di italiane/i al referendum del 2011 per l’acqua pubblica, 
anche nella sua gestione, 
sia per la difesa della nostra Costituzione, specie se la sua riforma 
non è tanto il risultato meditato di un interscambio 
tra ogni tipo di cultura politica presente nel paese reale, 
proprio nel rispetto dell’originario spirito della Costituzione stessa, 
quanto un atto di prepotenza/violenza della maggioranza di governo,
testarda nel rifiutare la mitezza del dialogo.

E così oggi il Pd, il più grande partito presente in Parlamento,
e così oggi il Premier, il “più coraggioso degli ultimi quindici anni
(e a parlare è Marchionne, un uomo di successo),
e così oggi il Segretario più decisionista di tutti i tempi del Pd,
tutti insieme, Pd, Premier e Segretario, chiedono alle persone del Pd,
in occasione del prossimo referendum sulle trivelle, di “astenersi”, 
dettando una versione nuova, moderna e veloce dell'andare al mare. 
Nel ricordo di Craxi.
E così il Pd, grazie alle trivelle, diventa un mare magnum,
confuso, caotico, illogico, inutile, pauroso e pilatesco.
Ma con una gran furbizia in petto.
O no?

Severo Laleo


martedì 1 marzo 2016

8 Marzo 2016. Quest'anno le mimose...

Persefone, gioiosa figlia di Demetra, esce nei fertili e colorati campi 
della sua terra,  insieme ad altre compagne,
libere e serene, a raccogliere fiori. Sognando la bellezza.
L'armonia.
E curiosa si allontana,  nella natura amica, per raccogliere
un fiore affascinante, un narciso.
Ma non riuscirà il narciso a donarsi, perché un uomo nero,
apparso all'improvviso dal profondo buio della terra,
coperto di armi violente, la rapisce,
lesto a tornare nel buio, per nulla toccato dalla disperazione 
delle sue grida angosciose.
Per farla sua. Con la forza brutale, senza una parola.
Nel dolore sconfinato della madre Demetra.

L'uomo nero non è morto, vive da sempre nell'antro
di un desiderio violento. Anonimo. 
E uomini neri si nascondono nel buio,
e all'improvviso escono a rapire, dovunque,
la gioia di Persefone, di Kore, delle ragazze.
Per marcare l'antico rito del possesso,
senza una parola, con la forza. 
Contro il dolore di ogni madre.

Nella notte di Capodanno è successo a Colonia, 
nella Germania del XXI secolo. L'uscita gioiosa, per festa, 
di molte ragazze è stata spezzata da un'aggressione vile, sprezzante.
A rapinar con mani gli oggetti del desiderio. Fuori civiltà. 
A queste ragazze, sole per strada a raccogliere, liete,
gli attimi nuovi di vita del 2016,
a queste ragazze, colpite a sorpresa, nel buio,
pur sognanti l'armonia di una città amica,
a queste donne, a ogni Kore dovunque nel mondo,
quest’anno, le mimose dell’abbraccio.

Severo Laleo  


domenica 28 febbraio 2016

Un’idea di Politica nel vuoto volgare dell’oggi




Il 28 febbraio 1986, a Stoccolma,  fu assassinato Olof Palme,
Primo Ministro della Svezia  e leader del Partito Socialdemocratico Svedese. 
Ancora ignoto il colpevole. 
E quindi forse noto!

Le parole sue di seguito mostrano chiara la differenza, abissale,
nel servizio alla Politica,
tra il Vuoto dell'oggi, spesso volgare e arrogante,
tutto dominato da un'idea di Potere,
semplicistica e senza vigore sociale,
e il suo Progetto di Riforma Democratica, tutto fondato,
a prescindere dalle forme dell'agire politico,
sulla solidarietà sociale con il suo potere di empatia.
Qull'empatia oggi indicibile e spesso trasformata in omaggio.
O no?

Ecco le parole di Palme:  
"La mia fondamentale conclusione è la seguente: 
dobbiamo adoperarci per vivere in una comunità 
in cui la solidarietà sociale abbracci tutti i suoi membri 
con un potere di empatia in cui ognuno si fa carico 
della qualità della vita degli altri 
con un sentimento di responsabilità e di partecipazione 
che supera gli egoismi individuali. 
Una società, cioè, in cui non c'è un "loro" e un "noi" ma c'è solo un "noi". 
Questa è l'idea di base di una riforma democratica della politica 
che può trovare un equilibrio tra la giustizia sociale e la libertà individuale".
(Aldo GarziaOlof Palme Vita e assassinio di un socialista europeo, 2007).

P.S.
Trovo oggi, 3 Marzo, in un post di Papandreu su HP, altre illuminati parole 
di Palme a proposito di migranti. Parole d'obbligo per questo Blog, 
in quanto sembrano fissare, una volta per tutte,
un "limite" insormontabile all'egoismo vile di un'Europa 
oggi smarrita, perduta, senz'anima di fronte alla disperazione 
dei nuovi perseguitati della Terra.
Ecco le parole di Palme nella citazione di Papandreu:
"Non dimenticate che quando apriamo le braccia ai perseguitati della Terra, 
non solo creiamo legami d'amicizia permanenti, 
non solo arricchiamo la nostra cultura, 
ma contribuiamo a cambiare le sorti di questi paesi 
che vivono sotto i regimi autoritari". 

mercoledì 27 gennaio 2016

Nota minima per Calabresi, neodirettore, a margine del suo Editoriale



Tutto condivisibile il suo Editoriale. D'accordo  Direttore.
La Repubblica continuerà ad essere un giornale criticamente
impegnato nell'estendere le libertà.
Eppure qualcosa d'antico, sempre lungo la linea immutabile
del conservatorismo, scorre nel suo discorso.
Basti quest'elenco (inevitabile, ma non necessariamente) di persone:
Scalfari (la lezione del fondatore), Mauro (esempio di dedizione),
ora Calabresi (con la sua valigia), e Montaigne, e Lippmann,
e Bornstein...

Perché riteniamo "normale" la solitudine del Direttore
(maschio, quasi sempre, rarissimamente donna, e comunque,
uomo o donna, sempre "gran solitari"!)?

Perché non alleggerire l'eroica solitudine del direttore
con una condirettrice?
Esiste un'ipotesi di innovazione in questo campo?
Ad esempio, una direzione duale: un uomo e una donna.

Forse il monocratismo maschilista è anche una lontana concausa
della "grande banalizzazione" dell'oggi.

O no?

Buon lavoro!

Severo Laleo

Auschwitz, disvelamento e coprifuoco




Oggi, 27 Gennaio, Giorno della Memoria, o anche del Dolore Universale, 
coincidente e con la Liberazione da parte dell'Armata Rossa del Campo 
di Concentramento di Auschwitz, e, per un bizzarro gioco della Storia, 
coincidente anche, nella memoria della Chiesa Cattolica, con la traslazione 
dei resti mortali a Costantinopoli, “tra una folla osannante”, del più accanito 
predicatore cattolico antisemita, San Giovanni Crisostomo,
quasi a ricordare un’origine lontana e comune di un colpevole razzismo, 
appunto, oggi, 27 Gennaio, l’Umanità  conferma, attraverso tante 
e tante manifestazioni,  la sua determinazione,
almeno si spera, nel ribadire la necessità di un’opera
di disvelamento totale e continuo di fronte a ogni tipo di Violenza, 
nella convinzione di evitare, per il futuro, al più gran numero
di persone, l’errore di nascondere e nascondersi per diventare,
in complice silenzio,  “volenterosi carnefici” di Qualcuno.
Ed è giusto ricordare oggi la figura del Pastore Walter Höchstädter,
perché rifiutò di nascondersi e scelse la parola per denunciare
la Grande Violenza.
La Liberazione di Auschwitz disvela al mondo l’orribile esito
finale di ogni pratica di Potere basata sul non riconoscimento
della pari dignità di ogni persona umana, senza eccezione.
In ogni dove è minacciata la dignità della singola persona,
là il germe della violenza prospera e può esplodere.
E spesso a soffrire di più, in ogni lato del Mondo, è la dignità
di donna. Ogni impegno per la pari dignità delle persone
è sempre un impegno contro ogni forma di violenza.

In Europa, purtroppo, preoccupati noi, non senza qualche ragione, 
di difendere la nostra quieta (non sempre) condizione di vita, 
ogni giorno rischiamo, misconoscendo, con contraddittorie misure 
amministrative e legislative, il nostro livello di civiltà giuridica, 
raggiunto a caro prezzo attraverso la tragicità dell’orrore, di scivolare, 
per paura e pigrizia, di nuovo nel nascondimento.
E ognuno è invitato a chiudere la porta, di nuovo vittima
di un infernale coprifuoco.

O no?

Severo Laleo 

domenica 10 gennaio 2016

La violenza vigliacca del Maschio, a prescindere




La notte del passaggio tra il 2015 e il 2016,  nella Piazza della Stazione,
nella città di Mondo, un centinaio di Maschi, ubriachi e bellicosi,
complice la "Festa", spintona, assale, deruba, scaraventa a terra
un altro centinaio di Maschietti trovati a gironzolare da soli nella Piazza.
Per divertimento, per uscir fuor di noia.
Nasce un parapiglia. Maschi e Maschietti si colpiscono a vicenda.
Volano schiaffi e mazzate. Qualcuno prende anche pietre e panchine.
La Polizia intuisce tutto e interviene.
Carica dappertutto e disperde i lottatori. Senza usare i guanti.
In un'ora tutto torna normale: la piazza di nuovo è di tutti.
Tra Maschi e Maschietti la rissa è inevitabile.
La cultura delle mani è comune. La sopraffazione è un terreno di incontro.
Le Forze dell'Ordine sono pronte a vigilare.

Ma la cronaca di Colonia, una città Mondo con tante sue "anime",
racconta altro. Racconta una violenza vigliacca.
La religione non c'entra, se Religione è, non c'entra l'emigrazione, 
se non indirettamente, non c'entrano la miseria e il disagio, 
pur soffocanti, non c'entra il sesso, perché non è in Piazza: 
c'entra solo ed esclusivamente l'abitudine 
del Maschio Primitivo alla violenza vigliacca.
Sì, vigliacca, perché è esercitata contro chi non ha la cultura
o la forza di una reazione altrettanto violenta:
ieri le donne, altre volte i disabili o i barboni.

Quei Maschi sono sempre gli stessi, in tutto il mondo,
con ogni colore di pelle;  è inutile cercar differenze.
In comune hanno una visione dell'Io Maschio fuori di Civiltà.
Questa violenza vigliacca si sradica solo con l'educazione.
Senza, si sposta semplicemente in altre Piazze.
Eppure, per sradicare definitivamente questa violenza vigliacca,
è necessario trasformare le strutture del Potere nel Mondo,
tutte ancora dominate dal Monocratismo Maschilista.
O no?

Severo Laleo

mercoledì 6 gennaio 2016

Il trionfo ignaro del Maschilismo: la Ferrari non c'entra



Chi ha visto la cerimonia, un po' infantile, con giocattolo finale,
dell'approdo della Ferrari in Borsa,
non può non aver notato, nella sala del Palazzo Mezzanotte,
la folta tribù, esclusiva , di Maschi Plaudenti.
Sorridenti, entusiasti, sprizzanti futuro.
La presenza di qualche donna è solo di "servizio".
Per forza!

E' un'immagine plastica del mito della Competizione,
della Corsa con Gara continua (senza senso),
del mito della Velocità, del mito della Vittoria,
del mito del Lusso, del mito della Ricchezza e dell'Esclusività,
un'immagine di un mondo ormai artificiale,
senza legami con la realtà,
riservato a Maschietti dediti al Divertimento. Perenne.

Ed è un'immagine vera del Maschilismo Industriale,
Perverso, perché ritiene di rappresentare il Massimo.
Ora anche con il sostegno nazionalfascinoso del Governo:
L’Italia c’è! Se ci mettiamo in pista siamo i più bravi del mondo
Appunto!
Un Maschilismo convinto di essere Universale,
un Sogno di tutti, senza esclusioni. Eppure non è così:
il processo di civilizzazione lascerà tra le macerie
gli Autodromi del Mondo!

Forse non esiste ancora la coscienza critica per rompere
il Giocattolo. Perché di Trastullo si tratta. Per i Potenti.
E per i Plaudenti.
O no?

Severo Laleo

sabato 26 dicembre 2015

Barba, Babbo Natale, spettacolo e rivoluzione



Per ribellione e protesta, nel ’68, una generazione di giovani
da imberbe, per un insieme di situazioni, alte e non,
impara a credere nella forza rivoluzionaria della barba,
in ogni sua foggia. Soprattutto se incolta.
E rinuncia a Babbo Natale e ai suoi doni.
E spesso, ancora oggi, la barba rivoluzionaria d’allora
imbianca visi alteri di umiltà e liberi, anche se a volta stanchi.
Per disillusione.

Ma il giovane irriverente di oggi, pronto a battere le mani,
abituato da piccolo ai rumori dell’arte di spettacolo,
ti accusa di conservatorismo, di incapacità di seguire il (suo) cambiamento, 
di essere vecchio, un arnese inutile.
E barboso. E torna a giocare con Babbo Natale
e il suo sacco di regali.

E’ da perdonare. Non conosce la storia e non può immaginare 
quanto sia nobile, benché faticoso, “conservare”,
con la barba, le idee rivoluzionarie di sempre:
tutte le persone sono eguali e hanno pari diritti;
ogni persona ha diritto a una vita degna di essere vissuta,
per luogo e condizioni di abitazione, per strutture di cura
della salute, per occasioni di istruzione/educazione,
per opportunità  di partecipare al tavolo comune del lavoro,
per  possibilità  di gestire un reddito,
per libertà di essere sé stessa.

E non sa, a volte per seguire ambizione, a volte per seguire leaders,
a volte per imitare Babbo Natale, che se il cambiamento non tocca
le forme e le strutture del Potere, il Potere, a sua volta,
sempre uguale a sé stesso, riesce ad avvolgere tutti
nella sua opacità, persino la generazione  del cambiamento.

Forse ancora oggi è bene non inseguire Babbo Natale
e i suoi casuali omaggi e conservare la barba,
specie se è sede di allergie per il Potere fine a sé stesso
e memoria di rivoluzione.

O no?

Severo Laleo

lunedì 14 dicembre 2015

Consulta (e non solo): la cultura nobile del sorteggio



Questo il titolo del Corriere.it di oggi 14 dicembre:
Consulta, 30esima fumata nera. Boldrini: «L’inconcludenza
logora la dignità del Parlamento». L’inconcludenza è vera,
la dignità è da tempo logorata, anzi è già a stracci.
E senza alcun dubbio.
Se per trenta volte il Parlamento si riunisce in seduta comune
e non riesce a eleggere i giudici necessari per il plenum
della Corte Costituzionale, è da mandare a casa.
Sì, per grave danno costituzionale, si potrebbe dire, 
al corretto funzionamento della democrazia.
Scrive la sua nausea Milella nel suo Blog, in Repubblica.it,
quasi disgustata per la generale indifferenza e, opportunamente, 
ricorda i giorni, per ogni giudice, di assenza forzata dalla Consulta:
un giudice ormai manca da 530 giorni (sembra incredibile),
un altro da 314, il terzo da 156.
Una prova di moderno “menefreghismo” istituzionale, da noi endemico, “irrottamabile”, anche in questi tempi dominati
da una nuova generazione di “governo” (nel senso più ampio del termine) campione di velocità, decisionismo, trasparenza, novità
e cambiamento.
In verità è facile predicare il cambiamento, ma se l'origine 
del cambiamento continua a persistere nell'ambizione 
del Potere e non in un Progetto culturale comune e condiviso, 
tutto è ammuina. Con nuova, sì, delusione.
E’ una storia tipicamente italiana, perché solo da noi
la serietà istituzionale troppo spesso cede dinanzi alla tenace arroganza della politica. Per di più senza sanzioni.
Una storia tipicamente italiana, perché sempre più spesso
i rappresentanti dei partiti nel Parlamento non rispondono
più ai doveri istituzionali con personale responsabilità,
ma solo alle decisioni dei “propri” Capi  con libera servitù.
Anche così la Politica, con i suoi riti e nelle sue sedi, continua
a bloccare il processo di civilizzazione di una Società.

Chissà se la cultura di un Paese cambia anche con il cambiare
delle modalità di scelta delle persone in ogni sede decisionale.
Purtroppo, in questo campo, pare si legiferi ancora seguendo,
nella sostanza e nelle apparenze, l’istinto primitivo e prepotente
del Potere Maschile. La lotta è sempre tra Maschi Alfa.
Nonostante tutte le possibili “attenuazioni”.

Forse la dignità delle Istituzioni e delle persone passa solo
attraverso il libero/liberante strumento del sorteggio
e magari anche attraverso la parità assoluta nella Corte
di uomini e donne.
O no?
Severo Laleo


sabato 28 novembre 2015

Quattro amici al bar … a Cinque Stelle




Quando si va a cercare lavoro e fortuna fuori del paese,
la vita cambia, e apre nuovi orizzonti, anche per i più timidi
e tradizionalisti, ma la memoria degli odori, dei giochi, dell’amicizia, 
dall'infanzia alla gioventù, sino ai primi atti
della maturità, non ti abbandona mai, insieme a qualche rito,
anche a tavola, con il pane e il pomodoro (e l’olio delle tue olive).
E sembri così tornare a essere il tuo paese.
Diventano presenti persino i ricordi dei giovanili ardori politici,
dei mega scontri ideologici, a volte fino ai morsi di una rottura 
dell’amicizia, sia pure soltanto per il tempo dell’agitato confronto,
specie durante i turni elettorali.

Ora al bar del Paese, dopo tanti anni di lontananza,
con qualche o tanti capelli bianchi, in quattro,
sereni si sorseggia senza più gli ardori di una volta,
tuffati in una catena chiassosa, continua di ricordi,
senza ordine intrecciati e ricchi di figure.
E’ il segno universale dell’amicizia, godibilissimo,
anche se ognuno ha dei ricordi la sua personale curvatura.
Per fortuna.

Ma senza volere, in sordina, per un inciampo del discorso,
intorno al lavorar dei figli, torna la politica. E, chissà, 
nellìimmaginare gli antichi scontri, ognuno, 
lieto della gioia dei ricordi, si defila vago nel parlare.
Per poco, in verità.
Così Peppe, il compagno, serio una vita, inizia smorzando
ogni entusiasmo per il suo “naturale” Pd, ormai tutto bonus,
Verdini e De Luca;
mentre Raffaele, il bianco fiore immarcescibile, interclassista nato,
con un’anima verde, nemmeno prova a difendere
il suo “naturale” Governo, anzi;
e Matteo, una volta nero di Fini, sempre furioso contro tutti,
onesto per istinto, coglie a volo questo dono amicale di spazio facile
per intervenire distruggendo il suo “non naturale” Governo;
pure Michele, alimentato dalla nonna ribelle a pane e socialismo,
mormorando, ma scandendo le parole, confessa,
almeno sul piano politico, tutta la sua “naturale” delusione
di una vita, e butta là una minaccia:
Mi toccherà votare M5S!”.
 “Embè! -interviene Matteo- Io l’ho già votato! Basta con questi ladri!”.
 “Sì, bisogna voltare pagina -rincara Michele- Io sono iscritto al M5S!”.
E Peppe, sorpreso, per non sbagliar parola, con il capo scuote
il suo annuire, e in cuor suo spera possa il M5S riuscire ad arginare,
con nuove risorse di democrazia e nuovi strumenti di libertà,
la diffusione, nel grande campo della lotta politica
e del governar dell’oggi, di quei germi, vivi e velenosi,
di una pratica dell’agire politico chiaramente violenta, ma subdola,
per comunicazione e trasformismi in sotterfugi, e oppressiva,
per limitazione dei diritti della persona.
Forse la speranza tacita di Peppe diventerà la speranza a voce piena
dei molti.
O no?


Severo Laleo

sabato 14 novembre 2015

Women Are the Best Weapon in the War Against Terrorism




A Parigi, nel centro della civiltà occidentale, e nei luoghi sociali
del comune  gioire, è esplosa terribile la violenza estremista.
Assurda e funesta per noi, liberatrice e vìndice per altri.
Al solito, contro persone inermi e senza difesa.
Violenza atroce, alimentata da odio e Volontà di Eliminazione
del nemico. Violenza suicida/omicida. Violenza devota.
In Nome di Simboli. E di Dominio. Sempre di Capi.

Ognuno, di tanta violenza, potrà rintracciare le cause.
Nella Storia, nella Religione, nella Geopolitica.
La Storia racconta di terrore in ogni epoca e luogo.
E parlano tutte le lingue del mondo gli Ordinatori di Eliminazione.
Le lotte di Religione grondano il sangue della Supremazia.
Ancora strategie di morte detta la Geopolitica per il controllo
di luoghi, appetibili incroci di interessi d’ogni senso.
Si scriveranno pagine infinite per scoprire le cause
e gli intrecci di cause, ma un filo rosso segna tutte le Violenze:
l’assenza del passaggio dalla Natura del Maschio Alfa
alla Cultura della Persona. E del Limite.
  
La modalità di risolvere i conflitti è sempre identica a sé stessa,
dall’Età della Pietra all’iPhone. Ed è propria dell’essere Maschio
prepotente, predialogica e prepolitica: l’assalto, il duello,
la tenzone, la battaglia, la guerra, la tortura, l’uccisione,
l’eliminazione dell’altro.
Muri, Bombe, Embarghi potranno riuscire anche a frenare
e bloccare Violenza e Terrorismo, ma senza il superamento
della modalità del Maschio di risolvere i conflitti 
il processo di civilizzazione non andrà avanti.

The international community must take up the challenge
to combine militarized action with governance, human rights,
and development — including women’s empowerment and gender equality. 
Drones, airstrikes, and boots on the ground can halt
the advance of extremist groups, but these tools cannot defeat radical ideologies 
nor build resilient families and communities. Empowered women are the best 
drivers of growth and the best hope for  reconciliation. 
They are the best buffer against
the radicalization of youth and the repetition of cycles of violence. 
Women and girls are the first targets of attack — the promotion
of their rights must be the first priority in response”.

Forse le autrici di questo brano, Phumzile Mlambo-Ngcuka
e Radhika Coomaraswamy, esprimono un’idea nuova 
per andare oltre il solito destino di guerra. 
E possono solo compatire il grido di continuismo antico del povero Hollande:
Siamo stati aggrediti, ora saremo spietati”.

O no?
Severo Laleo



giovedì 12 novembre 2015

Questo non è un Paese



1. Premier Titani
Un ex Premier, anticomunista allegro, 
s'affretta, con notevole ritardo, 
a denunciare, corrucciato, 
il non rispetto della parola data 
da parte di un Premier in carica, anticomunista triste, 
pronto a ridurre, sorridente,
l'accusa nazarena in barzelletta ,
circa la modifica della Legge Severino, 
già approvata da un governo tecnico, anticomunista neutro,
con l'esclusivo fine di ridare un minimo di dignità 
alla Politica. 

2. Fierezza di Legalità
Un Governatore di Regione, incandidabile, 
sempre per la Legge Severino, riesce, 
complice un Pd veloce e incoerente, a governare, 
povero il devoto Braccio Destro operante, 
grazie anche a una Sentenza di una Giudice 
(il darsi da fare maneggione non ha sesso!) 
con coniuge molto interessato a raggiungere 
un apice di carriera 
nella conduzione di un'Azienda Sanitaria 
per la gioia di ogni paziente in attesa di ricostituzione della salute.

3. Conversione 
Un abate di convento trasforma "ora et labora"
nei consumi di lusso di una vita.

Questo non è un Paese, è un coacervo di egoismi. 
Malamente.
O no?

Severo Laleo

giovedì 8 ottobre 2015

Un Referendum per la cultura del limite



Quando si andrà a votare, nel giorno del Referendum,
contro questa Riforma della Costituzione,
se mai giungerà alla sua definitiva approvazione,
non sarà perché si sarà letto e disapprovato il testo
della nuova Costituzione,
non sarà per seguire una parte politica,
non sarà perché si ritiene, a ragione, la vecchia Costituzione
comunque migliore della sua Riforma,
no, sarà semplicemente perché non sarà cancellata dalla mente
quella hybris così largamente seminata nel terreno della Riforma,
quel misto, cioè, di violenza, verbale e di atti, nel metodo
e nella sostanza, durante tutto il percorso legislativo,
quel misto di eccesso/superamento di ogni limite,
nella confusione dei ruoli tra Parlamento, Governo e Partiti,
quel misto di furbastra e ipocrita prevaricazione,
figlia di un’attitudine, moderna e apolitica, di “far fuori gli altri”,
nella gestione delle Norme Regolamentari e di Garanzia,
quel misto di dismisura ad arte nelle affermazioni di propaganda,
tipo l’infantile iperbole bugiarda: “Da settanta (sic!) 
anni la Costituzione attende la riforma!”,
quel misto di allegria, senza freni inibitori, della brigata
dei trasformisti nel taxi di Verdini, ognuno con le sue qualità,
rare in verità, sebbene diffuse, e sotto i baffi vezzeggiate,
dalla cultura servile di un popolo senza educazione liberale,
sempre pronto a schierarsi, a prescindere,
dalla parte dell’Uomo della Provvidenza (si fa per dire!),
e mai con Piero Gobetti (e si capisce, quanti dei nuovi liberali
si ispirano al pensiero limpido e gentile di Piero Gobetti?),
quel misto di tracotanza maschilista, non quella della strada, 
storicamente comprensibile, ma quella, insopportabile,
orgogliosa di sé e del suo Potere, nella gestualità inguinale
di un D’Anna a sostegno della sua solerzia a ingoiare
una “fetenzìa” di Riforma,
quel misto di orgoglio senza fine nella transumanza politica
di un Barani, da Craxi a Berlusconi, da Berlusconi a Verdini,
da Verdini a Renzi, con la sua ferrea convinzione di rendere
un servizio al Paese vestendo ora anche i panni di nuovo
Padre Costituente, senza rinunciare, dall’alto del suo scranno senatoriale, 
a una performance di antica mimica da bordello.
No, questa Riforma, con tutto il suo armamentario da hybris,
non merita l’approvazione delle persone serie.
E la serietà è un tratto irrinunciabile della cultura del limite.
O no?
Severo Laleo

lunedì 7 settembre 2015

Se Ravenna la città amica delle donne



Sabato 5 Settembre, rapida visita di Ravenna.
Biblioteca “Casa di Oriani”, mercatino in Piazza San Francesco,
arancini al Bar Palumbo, passeggiata, verso i monumenti
Patrimonio dell’Umanità, per via Ricci.
All’improvviso il mio phabletcamera si blocca, d’istinto,
per un’istantanea, a una minuscola, discreta, semplice targa
di gentil senso: una rosa rossa, mosaico of course, in campo verde
a esprimere un’idea, una volontà, una propensione, una scelta,
un programma, una realtà: “Ravenna, città amica delle donne”.
E subito il Samsung s’agita con whatsapp per un ampio
giro a “condividere”. Ottimo, Ravenna!

Eppure, appena il tempo di giungere, per un caffè,
a Piazza del Popolo, e la città amica delle donne svanisce,
incredulo il lettore, tra le parole di un editoriale
di Federica Angelini sul giornale “Ravenna e dintorni”,
dal titolo “Le donne, le elezioni e il progresso”,
per caso sfogliato al bianco tavolo d’angolo del bar.

Scopri così che la città amica delle donne non riesce
a esprimere una candidatura femminile per la guida
della città. Forse è perché, scrive Angelini, ascoltando in giro,
le donne, anche quando ci provano, poi mollano: perché sono
più intelligenti e capiscono che non ne vale la pena, perché scoprono
che la vera essenza della vita è nella famiglia o negli affetti,
perché la politica è per stomaci forti e livelli di testosterone alto”.
E amara conclude: “C’è solo da sperare che non sia vero quello
che ci siamo raccontati per anni: e cioè che avere delle donne
nelle stanze dei bottoni può essere utile a raggiungere decisioni
più equilibrate e di maggior successo. Oppure tocca sperare
che a casa i mariti si consultino con mogli, madri,
compagne e sorelle. Difficile chiamarlo progresso”.

D’accordo Angelini! Pare così, purtroppo! Il Progresso
è ancora da costruire. Anche perché fino a quando la Politica
sarà dominata da Maschi Alfa, temuti e riveriti
da maschi perdenti e petulanti, fino a quando il vertice
di un Potere sarà affidato a un Monocrate,
uomo o donna, non importa (il monocratismo nelle istituzioni
è comunque l’esito storico del maschilismo, non altro),
fino a quando testosterone e stomaci forti (quindi smisurate ambizioni) 
si contenderanno il Comando, la Guida,
la Direzione, fino a quando le donne saranno chiamate,
per decisione ad libitum di un qualche Monocrate,
spesso maschio, e non da una civile norma giuridica,
a partecipare in numero pari in ogni sede di governo,
non si potrà parlare di progresso. Almeno in Politica.
Chissà, forse sarà bene sperimentare il bicratismo.
O no?

Severo Laleo

venerdì 4 settembre 2015

La Chiesa di fratelli e sorelle



Non so se in Chiesa, durante la Santa Messa, operino ladri di borse.
E’ possibile, anche se non ho mai sentito racconti
di imprese di rapidi mirabolanti furti.
Eppure, veder partire da consunti banchi di cipresso
frotte mute di persone, d’ogni età, vigore e postura,
per giungere all’altare,
nella gioia di incontrare/ricevere il Corpo di Cristo,
tutte, stretta la borsa ai fianchi,
distorce intero il senso di ogni “fraternità
e dà la misura della pesantezza della terra in ogni cuore.

Forse nemmeno la fede in Dio basta a cancellare
la paura verso i fratelli. Specie se si è poveri!
O no?
Severo Laleo


martedì 11 agosto 2015

Società civile e civiltà del Pd



Il nostro Premier, e segretario del Pd, giustifica la sua personale
e indifendibile pratica di lottizzazione della Rai
con un ragionamento, come dire, via,“imbroglione”.
Ecco le sue parole:
Questa retorica della società civile da contrapporre al partito
(come se il Pd fosse la società incivile) per me è insopportabile...
Non è che se uno non si è mai iscritto a un partito è società civile
e invece chi fa il militante alle feste dell’Unità o ha una tessera 
in tasca è incivile”.
Proprio così.
Ma, oggi non è più tempo di sorrisi o battute,
nemmeno per i militanti, i quali ben comprendono 
la differenza di senso delle parole
nei diversi contesti; il ragionamento “imbroglione”,
pregno di semplificazione estrema e di chiara manipolazione, 
questo sì insopportabile per una persona libera,
diventa anche pericoloso per un corretto discorso politico, 
in una democrazia e alla pari.
E quanto, purtroppo, a livello di civiltà nella maggioranza del Pd, 
considerato il sonoro e diffuso ridere, in una riunione politica della Direzione, 
alla volgare battuta di De Luca contro il giornalista Gomez
si potrebbe sostenere essere comunque basso. Molto basso.
O no?
Severo Laleo

Per una cultura del limite: una riflessione di Luigino Bruni

La riflessione di Luigino Bruni, “Il grande cantico dell'umiltà.
L’umiltà è fondamentale per vivere e resistere durante 
le grandi prove”, uscita su Avvenire dell’8 Agosto, e qui riportata 
dalla rubrica/blog Cogito Ergo Sum” a cura della Fondazione 
Roberto Franceschiinvita, attraverso l’elogio della virtù dell’umiltà, 
tutti noi al senso del limite. E denuncia: oggi, in grandi imprese 
e organizzazioni, per fare carriera ed essere valorizzati occorre 
dare sfoggia dei propri meriti, mostrare mentalità 
e atteggiamento "vincenti", essere più ambiziosi
degli altri colleghi-concorrenti”. Purtroppo questo succede 
anche in Politicaper la scelta, orgogliosamente dichiarata,
da parte di una nuova, veloce, insofferente classe dirigente,
di lasciarsi guidare da un’ ”ambizione smodata e senza limiti”.
Sì, un’ambizione “smodata e senza limiti” apre al rischio 
di generare hybris. O no?
Severo Laleo

Luigino Bruni : Il grande cantico dell'umiltà
Il grande cantico dell'umiltà
L’umiltà è fondamentale per vivere e resistere durante le grandi prove.
Luigino Bruni


E quando miro in cielo
arder le stelle;
Dico fra me pensando:
A che tante facelle?
Che fa l’aria infinita,
e quel profondo
Infinito Seren?
che vuol dir questa
Solitudine immensa?
ed io che sono?
(Giacomo Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell'Asia)


L’umiltà è una di quelle virtù che l’economia e le grandi imprese non amano pur avendone un bisogno vitale. La nostra cultura, sempre più modellata sui valori aziendali, non riesce a vedere la bellezza e il valore dell’umiltà, che così viene "umiliata". Le virtù praticate e alimentate dalle grandi imprese e organizzazioni si nutrono, infatti, dell’anti-umiltà. Per fare carriera ed essere valorizzati occorre dare sfoggia dei propri meriti, mostrare mentalità e atteggiamento "vincenti", essere più ambiziosi degli altri colleghi-concorrenti. Bisogna cercare e desiderare ciò che si trova in alto, e fuggire dal basso dove c’è la terra, l’humus, l’humilitas.
 

Il nostro non è un tempo umile. Le generazioni passate e quelle che stanno tramontando, conoscevano e riconoscevano molto bene l’umiltà. Avevano imparato a scoprirla nascosta nella terra, facendo l’esperienza del limite che fa veramente solo chi conosce la terra con le mani. È toccando i mattoni, il legno, gli attrezzi duri del lavoro, i panni poveri, il poco cibo, le macchine nelle fabbriche e nelle officine, che ci si scopriva terra, e dialogando con essa si apprendevano i mestieri e il mestiere del vivere. La cultura delle generazioni che avevano conosciuto le grandi guerre e gli olocausti, riuscendo a salvare la fede in Dio e nell’uomo, era una cultura umile, perché quegli uomini e quelle donne amavano, stimavano, premiavano l’umiltà.
 

L’umiltà è una virtù della vita adulta. I bambini e giovani non vanno umiliati allo scopo di farli diventare umili. L’umiliazione provocata dagli altri non produce umiltà, ma mille malattie del carattere. La sola umiliazione buona è quella che ci arriva dalla vita senza che nessuno ce la procuri intenzionalmente. Si preparano i bambini e i giovani all’umiltà mettendoli in contatto con la bellezza, con l’arte, con la natura, con la spiritualità, con la poesia, con le fiabe, con la grande letteratura. È incontrando l’infinito che ci si scopre finiti, ma abitati da un soffio di eternità, e quando l’esperienza di toccare l’infinito è accompagnata dalle espressioni più alte dell’umano, la finitezza non schiaccia, ma eleva, il limite non mortifica, ma fa vivere. Quando alziamo gli occhi e sentiamo il cielo "infinito e immortale", si forma in noi il terreno dove l’umiltà può sbocciare.

L’umiltà, poi, si forma nel rapporto con i propri pari: nel confronto con i compagni, con i fratelli e le sorelle. La riduzione del numero e della biodiversità dei compagni dei nostri bambini, sostituiti da incontri "funzionali" (piscina, musica …) e soprattutto da troppi rapporti "onnipotenti" con le macchine (tv, smartphone, tablet…), inevitabilmente modifica e riduce le occasioni per le buone esperienze del limite, e quindi minaccia lo sviluppo dell’umiltà. Un incontro essenziale per la nascita dell’umiltà è quello con la morte e con la malattia, fin dai primi anni di vita. Nascondere ai bambini la vista dei nonni e dei parenti morti, non portare i ragazzi ai funerali e a visitare parenti e amici malati, allontana e complica l’incontro con la legge della terra e non favorisce la maturazione dell’umiltà. Una educazione senza limite e senza limiti non può educare all’umiltà.

Molti anziani e vecchi sono testimoni e maestri di umiltà, perché la vita ha avuto il tempo necessario per renderli umili. Nelle civiltà precedenti la nostra, la loro presenza era essenziale anche per il magistero di umiltà che esercitavano. La distanza dalla prima terra che li aveva generati e la prossimità alla seconda che li attendeva, offriva una prospettiva diversa e co-essenziale sul vivere, che poteva essere donata a tutti. Anche per questa ragione il mondo delle grandi imprese, costruito su registri psicologici adolescenziali e giovanili (da qui il grande uso di metafore sportive, quasi tutte improprie), non conosce né capisce l’umiltà.

Nell’umiltà si vede nella sua massima espressione una legge universale che ritroviamo al cuore di molte virtù e di altre cose grandi della vita: si diventa umili veramente senza accorgersene. L’umiltà arriva mentre cerchiamo altro: la giustizia, la verità, l’onestà, la lealtà, l’agape. Non può essere programmata, ma può essere desiderata, stimata, attesa come dono dalla vita. E attendendola prima o poi arriva, sorprendendoci. E spesso giunge nei momenti di maggiore debolezza, dopo un fallimento, un abbandono, un lutto, quando da dentro l’umiliazione fiorisce l’umiltà. L’amore per l’umiltà è alla base di ogni vita buona, perché consente di non appropriarsi delle proprie virtù e dei doni ricevuti.

L’umiltà è una virtù "indicibile", ed è radicalmente relazionale: sono solo gli altri che possono e devono riconoscere la nostra umiltà, e noi riconoscere la loro, in un gioco di reciprocità che costituisce la grammatica della buona vita civile. È invisibile, ma realissima, e la sappiamo riconoscere – anche se non siamo altrettanto umili, anche se non lo siamo affatto ma desideriamo esserlo: desiderio di umiltà è già umiltà. I suoi frutti sono inconfondibili. Il primo è la "gratitudine"sincera nei confronti della vita, degli altri, dei propri genitori, che nasce dalla consapevolezza che i miei talenti, i miei meriti, la mia bellezza, sono dono, "charis", grazia. L’umiltà è prendere atto della verità sul mondo e sulla vita. Nasce naturalmente, è un atto dell’anima, non richiede sforzi della volontà, è il riconoscimento di quanto emerge un giorno come evidente. Si capisce che nelle cose più belle e grandi la nostra parte è molto piccola, infima, perché ciò che siamo e possediamo lo abbiamo semplicemente ricevuto dalla generosità della vita.

Tutto è grazia. Ma per arrivare a questo atto naturale e radicale di gratitudine è necessario un esercizio etico di amore alla verità, che dura tutta l’esistenza adulta, e termina – con quell’ultimo atto di gratitudine – quando ci si congeda, solo riconoscenti e finalmente umili, da questo mondo. L’umiltà allora non è altro che accesso a una verità più profonda. Per questo è un dono immenso. L’umile è sempre grato. I suoi "grazie", rari perché preziosi, nascono dalla consapevolezza della bellezza e della bontà di chi gli vive accanto – c’è una bellezza più profonda e più vera delle persone e del mondo che si svela solo agli umili. E solo l’umile sa pregare.

Un secondo segnale della sua presenza è la capacità di dire "scusa" e "perdonami". Ci sono dei conflitti che non si sanano perché ciascuno è soggettivamente convinto di essere totalmente dalla parte della ragione e così attende che sia l’altro a chiedergli scusa. Ma poiché la certezza della ragione è reciproca, si resta bloccati in trappole relazionali che finiscono per inghiottire famiglie, amicizie, comunità, imprese, a volte interi popoli. Per uscire da queste trappole c’è bisogno di almeno "una" persona umile, capace di chiedere scusa anche quando pensa di non essere responsabile del conflitto – e magari non lo è veramente. Fa il primo passo della riconciliazione perché gli interessa ricostruire il "rapporto" malato, prima e di più di vedere riconosciute le responsabilità e le colpe dei vari soggetti coinvolti. Perché sa che solo dopo avere ricomposto il rapporto sarà possibile e necessario ricostruire anche la trama delle responsabilità per i fatti accaduti.

Pronunciare questi "scusa" e "perdonami" è particolarmente difficile, e quindi molto prezioso, nei rapporti gerarchici. È difficile dire con umiltà "scusa" a un nostro responsabile: è molto più semplice non dire nulla, o dirlo per paura o per opportunismo. Ma è ancora più difficile per un direttore chiedere scusa a un proprio dipendente. Nessun regolamento dell’impresa e nessun codice etico glielo chiede. Ma poche parole come un "perdonami" detto da un manager a un lavoratore della sua squadra dà qualità etica e umana all’intero gruppo di lavoro. Sono queste parole che creano spirito di solidarietà e persino di fraternità nell’équipe di lavoro, che riesce a dare tutto nei momenti di difficoltà solo se, e quando, i suoi membri sentono di condividere tutti lo stesso destino, di essere uguali prima delle differenze di stipendio e di responsabilità. Un "grazie" e uno "scusa" sinceri e umili detti da un manager generano più spirito di gruppo di cento corsi di "team building" (formazione di un gruppo di lavoro), che in assenza di queste parole profonde finiscono per assomigliare troppo ai giochi dei nostri figli pre-adolescenti. L’umiltà, però, come altre parole grandi della vita, rende più forti e resistenti mentre ci rende più vulnerabili. Ringraziare e chiedere scusa nella verità fa manager e dirigenti più fragili in un mondo dove l’invulnerabilità è il primo valore. È come mostrare una ferita, propria e dell’altro, per volerla curare. Ma queste ferite, nel registro tutto maschile delle relazioni d’impresa, non hanno né senso né spazio. E così non guariscono, vengono nascoste, si infettano, e intossicano tutto il corpo.

Il mondo aziendale occidentale soffre una grave indigenza di nuove classi dirigenti perché ci manca tremendamente una cultura dell’umiltà, cancellata da prassi e ideologie ispirate all’anti-umiltà, dove l’umile è soltanto un "perdente". La prima lezione dei corsi di leadership dovrebbe essere sull’umiltà. Una lezione che manca ovunque per carenza di docenti e perché l’umiltà non può essere insegnata nelle business school; ma soprattutto manca perché se si iniziasse a lodare l’umiltà e le sue sorelle (la mitezza, la misericordia, la generosità…) l’intera cultura della leadership con le sue tecniche verrebbe completamente ribaltata. L’umiltà educa alla sequela. Un responsabile che non sia stato formato alla sequela – degli altri, di ogni altro, dei poveri, della parte migliore e più vera di sé – non sarà mai una buona guida, un leader.

Il valore di un’intera esistenza si misura dall’umiltà che è riuscita a generare. L’umiltà è fondamentale per vivere e resistere durante le grandi prove. Quando la vita ci fa cadere e tocchiamo la terra (humus), non ci facciamo troppo male e riusciamo a rialzarci se abbiamo imparato a conoscere la terra e siamo diventati suoi amici. Senza umiltà non si raggiunge nessuna eccellenza umana, non si apprende bene nessun mestiere, non si diventa mai veramente adulti. È l’ultima parola di ogni Cantico delle creature.